Lo so, lo so… Quando lo vedi giocare e sbagliare gol come quello di domenica ti viene voglia di prenderlo a calci nel sedere. Domenica volevo abbandonare lo studio quando ha mancato il colpo del ko a Firenze… E se è vero che un giocatore non lo giudichi da un calcio di rigore, è vero che un attaccante lo giudichi soprattutto dai gol che fa. Non c’è dubbio che Kevin Lasagna in questo senso sia un’enorme delusione o se volete un investimento sbagliato. Lo volle Juric che sperava di tramutarlo in altra cosa. Di farlo giocare cioè anche spalle alla porta, un po’ più con la squadra, di evolverlo al di là dello scatto bruciante. Scommessa persa, forse già abbandonata dallo stesso Juric dopo pochi mesi. Lasagna è quel giocatore lì, rapidissimo nel ribaltare il fronte, contropiedista perfetto, un’iraddidio quando parte, un demonio imbrocchito davanti alla porta. Tudor, che ha fatto miracoli là davanti con il trio delle meraviglie, non è riuscito a costruire un capolavoro anche con Lasagna. Però, c’è un però… Lasagna non sarà Luca Toni, né Simeone, ma sicuramente non è nemmeno quel brocco clamoroso che viene descritto. Se andiamo a rivedere con calma e senza l’ansia agonistica del momento la gara con la Fiorentina, vedremo che in realtà Lasagna ha giocato una partita ottima, entrando in tutte le azioni importanti, causando il rigore che ha permesso a Caprari di andare in doppia cifra. Avesse pure segnato, e non c’è dubbio che doveva farlo, sarebbe stato il migliore in campo. C’è una bella differenza, comunque ad avere lui in panchina rispetto ad altre figurine passata da qua in precedenza ed è una testimonianza tangibile anche della progressione che ha fatto il Verona in questi ultimi tre anni. Credo che Lasagna non sia il giocatore giusto per questo Verona e che bisognerà cercarne un altro con caratteristiche diverse che sia veramente il vice Simeone (sempre che Simeone rimanga qui). Ma penso pure che Kevin non sia da buttare nel cestino come carta straccia, svalutandolo per partito preso.
IL VERONA CHE VERRA’
Comunque andrà sarà un successo. In qualsiasi modo finisse questa stagione, il Verona ha raggiunto un risultato storico. Salvarsi per il terzo anno di fila in serie A rappresenta un crocevia della storia della società scaligera, che mai negli ultimi trent’anni è riuscita a stabilizzarsi nella massima serie. Non solo il Verona ce l’ha fatta ma nelle ultime tre stagioni ha divertito moltissimo coniugando al contempo straordinari risultati economici.
Eppure quello che si affaccerà sarà un campionato durissimo, forse ancora di più rispetto a questi ultimi tre. Certo, il Verona partirà in vantaggio. Non certo come la squadra “disperata” data a Juric dopo il ritorno in serie A, ma le insidie e i pericoli non mancheranno.
Come abbiamo scritto la scorsa settimana il rinnovo di Tudor è scontato. Il contratto del tecnico croato prevede un rinnovo automatico alla salvezza matematica, quindi basterà aspettare questa condizione per vedere realizzato il Tudor-bis. La storia ci insegna che i contratti non sempre hanno valore, conta più la volontà delle parti, ma i pare che Tudor e la società vadano d’amore e d’accordo e basterà un ritocco all’ingaggio per farlo restare in gialloblù.
Partendo da questo presupposto, lo schema di Setti non cambierà: monte ingaggi calmierato, cessioni eccellenti, acquisti oculati. Facile prevedere che tre giocatori, almeno, partiranno: Barak, Casale e Tameze. Simeone sarà riscattato, ma resterà se non dovessero arrivare offertone da mal di testa (oltre i 30). Dipenderà molto dalle condizioni e dalle valutazioni con cui saranno ceduti i tre gioielli. Diciamo che è ipotizzabile una cifra vicina ai 40, 45 milioni di euro (25 Barak, 10 Casale, 10 Tameze), soldi che serviranno poi per trovare sostituti all’altezza. Lavoro durissimo che toccherà a Tony D’Amico, abituato a fare le nozze con i fichi secchi. I rischi di un lavoro simile sono dietro l’angolo: ti può riuscire un colpaccio alla Amrabat, puoi sbagliare qualche valutazione come con Hongla. E’ uno dei rischi del Verona che deve sempre spingere le proprie scommesse al massimo per vivere.
La stagione sarà particolarmente complicata per la compressione del calendario causa mondiali in Qatar (dal 21 novembre al 18 dicembre). Il Verona si ritroverà in ritiro ai primi di luglio, sarà in campo prestissimo per la coppa Italia, il campionato inizierà a metà agosto. Difficile che Tudor abbia la squadra al completo prima di settembre. Il Verona sarà insomma un cantiere aperto per tutta l’estate.
Tudor dovrà essere bravissimo a lavorare in queste condizioni e a tenere la squadra motivata. Resteranno con lui i senatori Veloso, Lazovic, Faraoni. Ci saranno Caprari, Montipò, Simeone, forse Gunter e Ceccherini. Resteranno Praszelik e Retsos, tornerà Magnani che forse verrà girato altrove. Partisse Lasagna, arriverà una giovane punta che sia l’alter ego di Simeone. Bisognerà cercare un nuovo Tameze, un nuovo Barak, mentre in difesa verrà lanciato Coppola. Tanto lavoro e molte facce nuove. Molto dipenderà anche da Setti e dalla sua volontà di “alzare” l’asticella. Se il 70 per cento di quei 45 milioni venissero reinvestiti sul mercato non c’è da disperarsi.
ECCO PERCHE’ SETTI FARA’ SEMPRE MEGLIO DI UN VERONESE
La chiave di lettura me l’ha data durante Supermercato Stefano Magrini, imprenditore veronese che per anni ha sorretto il volley a Verona assieme ad altri soci. Magrini ha spiegato in poche parole perché Maurizio Setti farà sempre meglio di un veronese alla guida del Verona: “Setti non è tifoso del Verona. E questa è la chiave. Quello che apparentemente un difetto” ha detto Magrini “è in realtà il suo miglior pregio. Il fatto di non farsi coinvolgere nelle vicende del Verona in maniera pesante gli consente di avere una visione della realtà distaccata e quindi di prendere decisioni che non sono di “pancia” ma sempre aziendali. Inoltre non si lega agli uomini. Non ha debiti di riconoscenza nei confronti di nessuno che lavora con lui, non c’è affetto, ma solo un rapporto di lavoro. Credetemi, io l’ho vissuto nel mio piccolo sulla mia pelle. Il volley mi aveva così assorbito che non vivevo più. Volevo sempre migliorare e sono finito in una spirale che mi impediva di vedere le cose in maniera aziendale. E così ho fatto tanti errori che poi ho pagato caro”.
Qualche settimana fa raccontavo di un Verona “distaccato” dalla città e dai tifosi, se vogliamo una delle cose che mancano a Setti per essere “perfetto”. Magrini però mi ha dato una chiave di lettura diversa. Quella freddezza è figlia di un presidente che non si vuole “scottare” e che fa di tutto per non diventare tifoso per non rischiare di perdere la testa. Mi chiedo se non sia possibile una via di mezzo, cioè un Verona più vicino alla gente e un Setti meno “freddo”. Ma forse è proprio come la storia di Icaro: se ti avvicini troppo al sole (della passione) si scioglie la cera delle ali e tu cadi impietosamente.
AVETE FATTO LA STORIA. ORA POTETE DIVENTARE UNA LEGGENDA
Nella storia questo Verona ci è già entrato. Negli ultimi 30 anni nessun Hellas era mai riuscito a salvarsi per tre anni di fila in serie A e questo traguardo rappresenta una svolta epocale, molto più grande di quanto possa sembrare. Un giorno, dopo il ritorno miracoloso in serie A del Verona di Aglietti, scrissi che Setti si sarebbe meritato l’applauso e l’ammirazione dopo aver consolidato la società in A, senza lucrare sui paracaduti, con una vera crescita. Tre anni dopo è giusto tributare al presidente questo applauso che lui sa non provenire da un ruffiano ma da chi non gli ha mai risparmiato nessuna critica in passato.
Setti è stato bravissimo negli ultimi tre anni, coniugando risultati sportivi e risultati economici. Ha costruito una macchina perfetta dopo aver voluto Juric come allenatore, l’uomo che ha girato il destino dell’Hellas, trovando però terreno fertile in una società in cui ha potuto lavorare benissimo e in profondità.
Al fianco di Juric è cresciuto e maturato Tony D’Amico, un ragazzo intelligente che ha imparato in fretta dai propri errori e che nell’ultimo Verona, il più bello della gestione Setti, ha avuto un ruolo fondamentale. Uscito dal mantello protettivo di Ivan Juric, D’Amico ha assunto i panni del condottiero silenzioso, non mollando mai di un centimetro nello spogliatoio, uomo di riferimento assoluto del presidente. D’Amico ha costruito questo Verona in tre mosse dal mio punto di vista eccezionali. 1) Ha ceduto il gioiello Zaccagni e preso il gioiello Caprari. 2) Ha corretto con senso della realtà e grande senso di responsabilità l’errore di aver scelto Di Francesco, prendendo al suo posto Tudor. 3) Ha preso dal Cagliari un giocatore perfetto per il Verona come Simeone. Questo campionato porta la firma di D’Amico, senza dubbio.
Fatta la storia, ora però il Verona ha l’occasione di diventare una leggenda. E’ il momento di provare a ottenere qualcosa che intere generazioni di tifosi veronesi non hanno mai visto: l’Europa. Mai come oggi, come quest’anno il Verona ha questa incredibile possibilità. Ottenuta la salvezza, con animo spensierato e leggero, consci che comunque vada sarà un successo, questi ragazzi e quell’omone che li guida dalla panchina con finta freddezza e distacco, possono provare ad accendere il nostro sogno più grande. Provateci seriamente, ragazzi: per non avere rimpianti e perché una città intera non aspetta altro.
LA FIERA DELLE OCCASIONI MANCATE
Detto che: 1) la salvezza è ormai sicura. 2) Questa squadra è la più forte mai costruita da Setti. 3) Giocare per il quarto anno consecutivo in serie A è una tappa storica… Detto tutto questo il campionato del Verona rischia di diventare una grande fiera delle occasioni sprecate.
Troppi punti buttati al vento, troppe rimonte subite, troppi gol fotocopia, troppi errori dalla panchina. Roma non è stata l’unica gara finita con un giramento di palle (eoliche), pareggio giunto dopo dominio incontrastato dei gialloblù. Ora ovviamente se guardiamo al bicchiere mezzo pieno, c’è da mettere una firma per un punto all’Olimpico contro la Roma. Ma non dopo una partita così, non dopo una prestazione del genere, non dopo essere andati in vantaggio per 2-0. Così fa male e fa ancora più male pensare ai punti buttati al vento da questa squadra. Vogliamo fare due conti della serva? Lasciamo stare le tre giornate iniziali, in cui comunque qualcosa si è lasciato per strada. Pensiamo ai punti buttati con la Salernitana, al pareggio col Genoa, alla sconfitta con il Milan, a quella con l’Atalanta. Mettete all’attuale classifica 7/8 punti in più e guardate cosa salterebbe fuori.
Certi treni, certi campionati, certi spogliatoi non sono così semplici da creare, non ripassano due volte. Lo dica Tudor al fratello Igor, quello che fa i cambi a metà gara sconvolgendo inutilmente un equilibrio perfetto. Tudor è quello bravissimo che prepara da dio le partite, che non sbaglia una mossa, che ha disegnato un attacco stellare, che tiene in mano lo spogliatoio e il gruppo e che ha addirittura migliorato il lavoro di Juric. Igor è quello che scombina tutto e che si diverte a farci incazzare. Peccato che ogni tanto il primo resta nello spogliatoio e arriva l’altro a rovinare i nostri sogni.
COSA MANCA AL VERONA PER ESSERE MAGNIFICO
Stiamo vivendo anni meravigliosi calcisticamente parlando. Eppure ci manca qualcosa. Terribilmente. A noi che abbiamo vissuto epoche dorate, quando la squadra era dentro la città, quando si potevano toccare con mano i campioni, quando ci facevamo firmare le bandiere e le sciarpe. E’ l’ultimo step, ma il più importante, quello che ancora manca a Setti e forse mancherà per sempre a questa società. Il Verona è una cosa altra, avulsa da noi, non ci appartiene se non alla domenica per poco tempo, troppo poco per farci infiammare l’anima per farlo sentire interamente nostro.
L’Hellas si allena a Peschiera, ormai in un bunker chiuso, fuori dal mondo, fuori da tutto. Allenamenti blindatissimi ora per il Covid, prima per trattenere i segreti di schemi astrusi che alla domenica in campo si rivelavano porcate assolute. La pandemia è un alibi che va bene a tutti, mettiamocela via. Non rivedremo mai più le porte aperte di un allenamento, neanche quando finirà questo tormento.
Le interviste, tranne quelle pre-confezionate per i media che intrattengono rapporti commerciali con la società non esistono più. Esiste una comunicazione social che più volte ho definito fine a se stessa. il Verona si promuove come se fosse un’auto da vendere, come un tortellino, come un vestito. Il tifoso viene tenuto distante, costretto a essere un cliente, un fruitore di un prodotto, costretto persino a digerire in silenzio l’abominio di un’orribile maglietta verde bianca. I giocatori passano da qui e se ne vanno senza lasciare niente. Kalinic, un campione, è andato via dopo uno scarno comunicato alla fine di una partita a mercato chiuso.
Sembra quasi che Setti non voglia portare il Verona dentro la città temendo che faccia la fine di Icaro quando si è avvicinato troppo al sole. Esiste un negozio, a due passi dall’Arena, ma è da tempo immemorabile che non ci va nessuno, sia Tudor o sia Simeone solo a ricordarci che il negozio è ancora aperto.
In sede le facce veronesi le contiamo sulla punta delle dita e nessuno occupa posti di responsabilità. Scrivo ciò proprio stasera dopo un 4-0 in cui fortuna e audacia si sono date una mano, perché sarebbe facilissimo fare come quei lacchè che da tempo credono di essere la voce della società solo perché scodinzolano quando il padrone gli mostra la pallina da riportare e dire sempre che tutto va bene anche quando dal cielo non piove proprio acqua pura. Gli stessi che peraltro affermavano certi qualche settimana fa che Kalinic non se ne sarebbe mai andato da qui.
Ma chi ama il Verona non è chi lascia scie di saliva dove cammina Setti. Ma chi fa notare gli errori e cerca di correggere la visione e la rotta. Che oggi, da questo punto di vista è miope e sbagliata. Il Verona, il nostro bellissimo Hellas, va riportato dentro la città, dentro le nostre mura. Prima che sia troppo tardi.
QUANTI BRUTTI PENSIERI… CON L’UDINESE BISOGNA SCACCIARLI VIA SUBITO
Primo brutto pensiero. A 33 punti non s’è vista la fame, la rabbia, la cattiveria che rendono speciale una squadra normale. Secondo brutto pensiero: gli infortuni di Caprari e Faraoni, comunicati solo all’ultimo secondo. Terzo brutto pensiero: Casale e Barak strombazzati uomini mercato che fanno flop. Quarto brutto pensiero: l’impiego di Lasagna titolare che fa scoppiare il caso Kalinic che lascia la squadra dopo la partita (mai visto sulla faccia della terra).
Ci sta perdere con la Juventus. Non è la prima volta, non sarà l’ultima. E il Verona non è stato disastroso, solo “normale”. Ma la serata ci ha lasciato quel sapore lì, come di qualcosa andato a male. Saranno state le orribili magliette verdi bianche su pantaloncino nero (diciamo basta con forza a questo scempio), sarà stata la nebbiolina o sapere di affrontare la Juve senza i tuoi uomini migliori, ma la sconfitta ha preso il gusto del latte dimenticato in frigo per un mese.
Non sarà che ora, a salvezza quasi acquisita, ci dovremo sorbire un Verona senza obiettivi che vivacchia in attesa di maggio e del prossimo mercato con giocatori che si preservano e altri con la valigia in mano? Dio ce ne scampi per favore. Noi abbiamo fiducia che non sia così perché in realtà c’è ancora tanto in ballo: il piazzamento in classifica che vuole dire soldi in più e più banalmente la valorizzazione dei giocatori migliori (Barak e Casale se giocassero da qui alla fine come ieri sera farebbero la fine di qualche criptovaluta farlocca). Già con l’Udinese capiremo se i cattivi pensieri e il gusto acido che ci ha lasciato questa gara, hanno un senso.
NOI VOGLIAMO #CAPRARIINNAZIONAL
Gianluca Caprari rappresenta il miglior affare di Tony D’Amico da quando è ds al Verona. Meno appariscente rispetto ai Rahmani, Kumbulla, Amrabat e Barak, è sicuramente la sua idea migliore.
Caprari arriva a Verona per sostituire un monumento come Zaccagni che appariva insostituibile dopo le prime tre giornate in cui aveva retto quasi da solo il Verona. La sua cessione alla Lazio fu una ferita per i tifosi e un de profundis per l’ambiente che nel frattempo faceva i conti con il Verona ancora bloccato a zero punti.
Caprari era solo un palliativo a quel doloroso addio, un “giocatorino” talentuoso che aveva sì qualche bel colpo, ma che fino al suo arrivo in gialloblù aveva sempre tradito le attese. Figurarsi se poteva prendere il posto del romagnolo tutto sale e pepe e social.
Tony D’Amico che invece sa sempre coniugare le nozze con i fichi secchi, ci credeva. Sapeva che nell’ambiente giusto, con la fiducia giusta, con la responsabilità sulle spalle, Caprari poteva far dimenticare Zaccagni. E così fu. Caprari iniziò la sua stagione con una gara meravigliosa con la Roma, continuò con lo Spezia in casa, non si fermò più. Trovando così anche quella chimera chiamata continuità, l’unica parte, la più importante, che mancava al suo repertorio.
Oggi Caprari è un giocatore nuovo, più maturo, più consapevole. Non so se più bravo di Zaccagni, forse sì. Sicuramente una delle più belle sorprese del campionato dell’Hellas di cui diventerà a tutti gli effetti un giocatore con una spesa tutto sommato modica di 5,5 milioni di euro, un riscatto obbligatorio già fissato con la Samp. In prospettiva un altro giocatore che potrebbe valere tantissimi soldi ma che potrebbe anche diventare, perchè no? un punto fermo.
Intanto però, Caprari non può essere dimenticato da Mancini e dalla nazionale italiana. Non si può non convocare in maglia azzurra un simile talento che in mezzo a tanti mediocri pedatori potrebbe veramente far comodo. Il gol di tacco alla… Mancini è più che un messaggio lanciato al Ct. Una vera e propria petizione popolare: noi vogliamo #Caprariinnazional…
E COSI’ SETTI MANDA AVANTI LA BARAK
Visto com’era semplice? Metti Tameze a centrocampo, inserisci Barak sulla trequarti, usi Kalinic per il finale e… voilà il gioco è fatto. No, in realtà non è stata così semplice, è stata una vittoria soffertissima e meritatissima che sana in un colpo di spugna la ferita aperta dalla sconfitta con la Salernitana in casa e proietta il Verona verso la salvezza.
Ecco, in tanti, compreso il mio amico Francesco Barana, si chiedono cosa ne sarà del Verona conquistata la salvezza. Saremo costretti ad assistere a noiosi finali di stagione che mal si adattano allo spirito perennemente sulle montagne russe del tifoso del Verona?
Argomento che mi appassiona fino ad un certo punto e che proietterò in là nel tempo, il giorno dopo in cui il Verona conquisterà la possibilità di giocare il suo quarto anno in serie A.
Ora mi pare troppo importante questo consolidamento di una società che non ha trovato pace per trent’anni ed infatti è più di trent’anni che non disputa quattro stagioni consecutive nella massima serie.
Ci sarà pure un perché a questo dato e sicuramente ci fa capire come la storia del Verona dopo gli anni ’80 favolosi è stata costellata di delusioni più che di gioie. L’ultima volta che abbiamo giocato in Europa fu a Brema e i ragazzi si ricordano la trasferta di Busto Arsizio più che la mitologica transumanza verso Belgrado.
Ora come ora questo è il massimo che possiamo chiedere a Setti, sperando che le tre reti di oggi possano far lievitare ancora la quotazione di Barak così da dare al Verona ancora la possibilità di investire e crescere. Sarà dal prossimo anno che vedremo veramente la voglia di Setti di migliorare il Verona. Oggi il presidente ha giocato la sua 250° gara in serie A, evento prontamente rilanciato dai social del club ed è giusto così. Domani però si potrà alzare l’asticella e chiedere anche di raggiungere obiettivi che non siano solo la salvezza. Tempo al tempo. Oggi intanto scrosciano solo applausi. Anche per mister Tudor, tornato nei suoi panni consueti. In fondo era così facile…
SETTI E’ UN BENEFATTORE DEL VERONA. E VI SPIEGO PERCHE’
Tremilionisettecentoottantomila euro. Una cifra altissima, da top manager di multinazionale. E’ lo stipendio di Setti, amministratore unico del Verona. In tanti si sono scandalizzati per questi soldi, io no. Anzi, ritengo Setti un benefattore del Verona e ora vi spiego perchè.
La storia recente del Verona forse non è chiara a molti di voi. L’Hellas ha rischiato di sparire perchè nessuno in questa città se lo filava. Dopo i Mazzi, era arrivato Pastorello con l’aiuto di Tanzi e dopo Pastorello per salvare il Verona dovette arrivare Arvedi e successivamente Martinelli.
A quel tempo, il Verona pareva un peso, un fardello, un orpello inutile che forniva solo fastidio con quella tifoseria mal sopportata, razzista e contestatrice. La più brillante idea che partorì la nostra città in quel tempo fu di fare una fusione, unendo il Chievo di Campedelli, allora esempio e modello e la tradizione dell’Hellas.
La fusione sbattè contro un muro costruito dai tifosi, Martinelli cambiò rotta, risanò il Verona, tornò grazie a Mandorlini in serie B. Ammalato e stanco, il presidente di Castelnuovo del Garda, cercò disperatamente di far uscire il Verona dall’isolamento. Ma senza riuscirci. Nessuno in quel momento storico ebbe il coraggio, la capacità imprenditoriale, la lungimiranza di capire il potenziale del Verona. Solo Setti. In quel senso, lo possiamo considerare un visionario. Piccolissimo imprenditore di Carpi, forse con potenzialità minore rispetto allo stesso Martinelli, sicuramente molto più piccolo della stragrande maggioranza delle imprese veronesi, Setti aveva ben chiara una cosa. Se ben gestito il Verona è una miniera d’oro.
Lascio perdere qui il percorso che Setti ha fatto per ottenere i risultati di oggi. E’ stato un percorso travagliato, pieno di errori, ma che il presidente ha sempre corretto con tremenda puntualità, tagliando teste e liberandosi di coloro che lo avevano mal consigliato.
Resta il fatto innegabile, che grazie a fiuto, istinto, fortuna, lungimiranza, concretezza, il Verona oggi è una società che ha i conti a posto e produce utili. Lo stipendio enorme di Setti altro non è che il risultato di tutto ciò.
Setti ha dimostrato urbi et orbi che il Verona non è un peso ma uno straordinario marchio, che tra l’altro avrà ulteriori sviluppi nei prossimi anni. Nessuno potrà più dire da Setti in poi che il Verona è un buco nero in cui qualche sprovveduto ci mette i capitali di famiglia, rovinandosi. In realtà il Verona è una macchina da soldi e Setti lo ha dimostrato e probabilmente lo dimostrerà ancora quando lo rivenderà a 80, 90 100 milioni di euro a qualche fondo straniero. Quei soldi, insomma, Setti se li merita, alla faccia di chi voleva far sparire il Verona.