Scontata l’assoluzione di Marco Cappato dall’accusa di aiuto al suicidio del dj Fabo. Sullo sfondo c’è un profondo cambiamento culturale del quale – piaccia o no – non si può che prendere atto.
Per secoli la vita non apparteneva all’individuo. Per i credenti apparteneva a Dio e lui solo poteva decidere. E per i laici apparteneva allo Stato che – tanto per dire – poteva anche decidere di mandarti a morire in guerra; e non esisteva obiezione di coscienza.
La nuova cultura, i nuovi valori oggi stabiliscono che ogni persona ha diritto di decidere della propria vita, cosa farne e quando e come porvi termine. La magistratura, la Corte costituzionale ha solo anticipato (come spesso avviene) la politica che ora dovrà prenderne atto, varando una nuova legge conseguente.
Si spiana la strada all’eutanasia? Certo. Ma anche questo è un dato di fatto: ho il pieno diritto a decidere della mia vita, non solo quando sto male affetto da una malattia incurabile; pure quando sto bene e posso comunque decidere se continuare a vivere o no. O deve deciderlo Dio o lo Stato?
Si può aiutare senza problemi il suicidio di chi lo richieda.
Se mai sorge una domanda contraria: abbiamo diritto di contrastare, di impedire il suicidio, di chi abbia liberamente scelto di togliersi la vita?
Oggi i siti celebrano un operaio dei trasporti pubblici milanesi che ha abbracciato una ragazza che stava gettandosi sotto il metrò, impedendole di togliersi la vita. Ma siamo sicuri che avesse il diritto di farlo, di impedire la sua libera scelta del suicidio? Va celebrato o va processato per ostacolo all’esercizio della sacrosanta libertà individuale?
Domandina intrigante in linea col progressivo suicidio della nostra civiltà.