LA GOMORRA DEL PALLONE INSEGNA…

 

Puntualmente sono già stati scarcerati i pochi fermati del branco protagonista della “Gomorra del pallone”: cioè dell’assalto al treno alla stazione di Napoli e poi allo stadio Olimpico di Roma. Decisione “perfetta”, la scarcerazione immediata, per confermarli nella certezza dell’impunità e quindi per mettere questi guappi e i tanti loro simili nella condizione di perpetrare la violenza all’infinito. “Perfetta” anche la motivazione addotta il giorno prima dai responsabili delle forze dell’ordine che hanno assistito immobili ed anzi accompagnato il duplice assalto: “Non siamo intervenuti per evitare il peggio”. Imbecilli: è proprio non intervenendo che si crea il peggio, altrochè evitarlo. Quando lasci che venga occupato un edificio e creato un centro sociale – e non intervieni subito a sgombrarlo per paura degli scontri e delle critiche, e non denunci e non fai condannare al piu presto tutti gli occupanti – succederà che questi andranno ad occupare le case pubbliche e pretenderanno di decidere loro a chi assegnarle; pretenderanno di essere loro a stabilire chi può manifestare perchè “democratico” e chi no; si sentiranno sempre più i padroni delle città. Di peggio in peggio, come accaduto a Padova, a Venezia, a Bologna, a Roma (anche con i centri sociali della destra). E lo stesso vale con i guappi delle varie tifoserie: dovevano essere randellati subito, dovevano subire condanne esemplari. Invece, “per evitare il peggio”, si resta a guardare mentre agiscono indisturbati e sempre più tracotanti.

Oso ricordare che chi dirottò un traghetto, in modo soft senza né minacce né violenze, per andare a protestare sul campanile di San Marco, fu condannato ad anni di carcere. La turba dei guappi napoletani ha dato l’assalto ad un treno, se ne è impossessata terrorizzando e minacciando i passeggeri, pestando i ferrovieri, a Roma è salita su quattro autobus (messi premurosamente a loro disposizione, come si fa con i rapinatori di banca che minacciano di uccidere gli ostaggi se non hanno garantita la fuga), ha dato l’assalto allo stadio sfondando i cancelli ed andando a prendere posto dove voleva. Su centocinquanta circa ne sono stati fermati sei e subito rilasciati. Possiamo chiedere che tutti e centocinquanta vengano trattati minimo come i Serenissimi?

Come dimostra la vicenda inglese degli hooligans, un Paese serio riesce a riportare alla civiltà in poco tempo e in via definitiva questi animali. Bisogna colpire col pugno di ferro anzitutto i loro complici, cioè le società calcistiche; colpirle duro nel portafoglio; quando invece continuiamo a foraggiarle con sconti e dilazioni fiscali o con diritti televisivi garantiti dalla Tv di stato, cioè dalla politica. Un presidente come De Laurentis, che si è detto dispiaciuto per i disagi subiti dai suoi tifosi guappi, va radiato a vita dal mondo del calcio. E poi bisogna usare il pugno di ferro con i protagonisti della violenza. Usarlo subito e con la massima decisione, perchè solo così si evita il peggio.

Un Paese serio, dicevo. Ma il problema è tutto qui: non siamo un Paese serio. Non abbiamo uno Stato capace di garantire la sicurezza ed i diritti dei cittadini (nemmeno dei passeggeri di Trenitalia). Adesso che parliamo di guappi, di Gomorra del pallone, cioè dei nostri violenti, e non di rom né di romeni né di magrebini, possiamo finalmente capirlo invece che nascondere tutto dietro la cortina fumogena del razzismo: siamo un Paese impotente, incapace di fronteggiare qualsiasi emergenza di ordine pubblico, sia straniera che italiana. Ed è naturale che un Paese, che non riesce a mettere in riga nemmeno i guappi del calcio, oltre che essere storiamente in balia delle mafie, diventi la terra d’elezione della feccia dei quattro continenti. Feccia che, ovviamente, evita la concorrenza e quindi si installa di preferenza nelle regioni non controllate dalle mafie, cioè al Nord e al Centro.

Si capisce così quanto poco senso abbia fare i confronti statistici e dire che la Germania ha milioni di immigrati in più, che in Svizzera sono già il 20%. Dimenticando di aggiungere che questi sono Paesi seri, dove è impensabile che una banda di ultràs si impossessi impunemente di un treno. In Germania possono vivere 4-5milioni di turchi, perchè vivono da tedeschi nel rispetto delle leggi. Da noi bastano cento magrebini o centocinquanta guappi per metterci alla corda.

 

GLI AVANGUARDISTI DELL’ISLAM

 

Giusto qualche giorno fa, nel blog precedente, esprimevo la speranza che non ci costringano a diventare fondamentalasti. Speranza vana perchè sono già in azione i nostri “avanguardisti dell’Islam”, come ci dimostra quanto accaduto al museo veneziano di Ca’ Rezzonico dopo che un guardiano si era permesso di ricordare ad una donna mussulmana con indosso il niqab (il velo integrale che lascia scoperti solo gli occhi) che – regolamento alla mano – “non è consentito l’ingresso a viso coperto”.

Sorprendete, e significativa, è stata già la reazione della donna velata che ha protestato vivacemente (ce la immaginiamo una donna occidentale che protesta perchè a Riad le dicono di togliersi la croce dal collo? Obbedire e in silenzio…). Ma cioè che lascia allibiti è la pronta discesa in campo dei nostri avanguardisti islamici. A cominciare dal direttore di Ca’ Rezzonico, Filippo (Mohamed?) Pedrocco che definisce l’azione del guardiano “un fatto sgradevole, discriminatorio e stupido non condiviso né da me personalmente né dal resto della direzione dei musei civici” e preannuncia che “prenderemo i provvedimenti necessari nei confronti del guardiasala”. Capito? Nel nostro Paese puoi rubare tranquillamente lo stipendio, fingendo di lavorare, e nessuno ti dice nulla. Ma, se osi ricordare ad una donna mussulmana ciò che prevede il regolamento dei muesei veneziani, ti definiscono subito razzista e stupido, e minimo ti arriva una punizione e magari anche il licenziamento da parte del solerte avanguardista islamico che dirige il museo.

Avanguardisti islamici sono poi quei mezzi d’informazione che, da un episodio che dovrebbe appartenere alla normale prassi quotidiana, passando quindi inosservato, hanno invece montato il caso. Emuli delle nostre fanciulline della televisione di stato. Le ricordate le varie Lilli Gruber, inviate a Bagdad o in altri Paesi islamici, che puntualmente vanno in vidio con il velo in testa? Nessuno impone loro di metterselo, è una loro libera scelta, a loro piace ammiccare, far capire da che parte stanno…Insomma è un esempio tipico di “fellatio non petita” al fondamentalismo.

Tra i nostri avanguardisti islamici va annoverato lo stesso sindaco di Venezia Massimo Cacciari che – al solito molto liberal- ha sentenziato: “ognuno si vesta come vuole!” (Magari andrò a rovarlo in mutande nel suo ufficio a Ca’ Farsetti perchè mi confermi di persona l’assunto…). Ma qui non è questione di essere né liberal né tolleranti. E’ fuori luogo invocare la reciprocità tra Stati, e quindi sostenere che noi concederemo in Italia la libertà di culto agli islamici solo quando loro l’avranno garantita ai cristiani nei loro Paesi. Però, se non vogliamo diventare dei coglioni integrali, dobbiamo almeno pretendere il rispetto reciproco qui, nel nostro Paese, a casa nostra. E non accettare – come denunciava Oriana Fallaci – che il Battistero della sua Firenze venga lordato di urina ed escrementi. E non accettare supinamente che nelle nostre città – non a Teheran né ad Istambul – le chiese debbano essere sprangate e protette per evitare il saccheggio sistematico. Non sono una persona particolarmente pia, ma una volta, nella mia città e altrove, mi piaceva mettere il naso nelle chiese: respirare l’atmosfera, guardare un affresco o gli arredi. E potevo farlo a tutte le ore. Oggi è impossibile: sono tutte e sempre sprangate, tolto l’orario delle messe, per evitare che portino via tutto pestando anche i sacerdoti che tentassero di opporsi.

E mentre a Verona, a Padova, a Venezia i nostri luoghi di culto sono costantemente sotto assedio – nell’indifferenza dei mezzi d’informazione – il problema, lo scandalo, l’emblema dell’intelloranza religiosa e della discriminazione, sarebbe che un guardiano abbia chiesto ad una donna islamica di scoprire il volto se vuole entrare in un museo!? Qui non è questione di essere liberal: è questione di non essere “coglional”, come i nostri avanguardisti islamici, come Filippo (Mohamed) Pedrocco.

 

 

ALEMANNO, SINDACO DI BAGDAD?

 

Roma come Bagdad. Dopo l’aggressione subita da una coppia di cicloturisti olandesi, massacrati di botte da due rumeni e lei anche stuprata, il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha sostenuto che se l’erano andata a cercare, nel senso che avevano campeggiato in un posto pericoloso. L’infelice affermazione di Alemanno mi ha fatto ricordare il sequestro di Giuliana Sgrena: anche in quel caso si disse che la giornalista del Manifesto se l’era cercata, nel senso che si era recata in una zona della città notoriamete a rischio rapimenti e per incontrare personaggi altrettanto notoriamente collegati alla pratica del sequestro di cittadini occidentali.

L’accusa alla Sgrena poteva starci perchè Bagdad è, e soprattutto era allora, la città forse più pericolosa del mondo. Ma Alemanno non è il sindaco di Bagdad: è il sindaco di una grande capitale del mondo civile, culla della cristianità; città che non è teatro di guerra; e dove due turisti stranieri, che campeggiano abusivamente, possono ipotizzare al massimo di venire multati; ma non certo massacrati e stuprati da “belve” che girano indisturbate. Anche la povera Giovanna Reggiani scese ad una stazione e in una zona periferica degradata. Ma cosa avremmo detto se l’allora sindaco Veltroni avesse sostenuto che se l’era andata a cercare? Cosa avrebbe detto Alemanno da esponente dell’opposizione?

Veltroni allora affermò che bisognava mettere in gabbia “le belve” e rispedirle di corsa a casa loro. Sembrava quasi quello che dovrebbe essere un Alemanno, cioè un esponente della destra legge ed ordine. L’attuale sindaco di Roma sembra invece il clichè di un Veltroni, convinto cioè che il degrado si combatta con le chiacchiere o con le commissioni Attali; teso a scimiottare Obama o Sarkozy, come sempre scimiottano coloro che hanno complessi di inferiorità politico-culturale.

Anche le nostre città venete presentano zone degradate, dove è rischioso circolare, dove i cittadini a ragione non ci vanno più o ci vanno malvolentieri. Ovviamente non ci basta che i nostri sindaci mettano tanti bei cartelli col segnale di pericolo: vogliamo che facciano tutto il possibile per combattare il degrado e renderle nuovamente sicure ed agibili per tutti. Questo vale a maggior ragione per Roma e per i romani che hanno scelto Alemanno sperando nella svolta. Non certo per sentirsi dire che la loro città è ridotta come Bagdad.

 

 

LIBERTA’ FEDERALISMO E TRADIMENTI

 Corrado, nel blog precedente, ha fatto un’osservazione che trovo fondamentale e che trasferisco qui per poterla analizzare e discutere. Corrado sostiene che non solo l’aumento spaventoso dei pubblici dipendenti rispetto agli anni Sessanta non ha garantito ai cittadini nuovi servizi reali, ma inoltre – aggiunge – “tutto questo si traduce quasi sistematicamente in una riduzione delle libertà personali”. Concordo in pieno, trovo questa osservazione fondamentale anche per la scelta del modello politico preferibile: il numero eccessivo di statali non solo costa uno spropoposito, non solo non produce servizi aggiuntivi apprezzabili per i cittadini ma – soprattutto – limita sempre più pesatemente la loro libertà. Per il semplice motivo che uno stato sempre più pesante interferisce in maniera sempre più pesante (ed indedita, e del tutto inutile) nella vita del cittadino.

Questo vale anche là dove la pubblica aministrazione ha un’efficienza imparagonabile alla nostra pubblica amministrazione borbonica (anche in Veneto): penso alla Germania o alla Francia. Perchè in ogni caso il modello statalista, o socialista, o socialdemocratico, che chiamar si voglia, è penalizzante e diseducativo per l’individuo. Nel senso che presume un cittadino di serie B, una specie di figlio minorato che non cresce, che non matura, che tale resta per tutta la vita e che quindi – come recita

la formula classica del welfare socialdemocratico – ha bisogno di essere assistito “dalla culla alla tomba”. A questo cittadino, che consideri un minorato irrecuperabile, non puoi dare i soldi in mano perchè li spepererebbe in maniera irresponsabile; e quindi devi essere tu Stato a trattenerteli, con una tassazione pesante, per garantirgli la pensione, la sanità, le assistenze e i servizi vari. Mi sembra chiaro che la più grave di tutte le limitazioni della propria libertà è essere trattato dallo Stato come un minorato.

Senza aggiungere che un modello socialdemocratico degradato in salsa italiana procura anche le risorse che consentono di vivere di politica a quel numero spropositato di persone che, solo nel nostro Paese, vivono appunto di politica. (Cominciamo a tagliare la trippa, cioè le risorse che finiscono nella casse pubbliche, e cominceranno a calare anche i gatti…)

All’opposto il modello liberale si pone l’obiettivo di far crescere l’individuo, di renderlo adulto e responsabile. Gli procuri un’educazione iniziale, ma poi vuoi e credi che sia in grado di autogestirsi; e quindi gli lasci anche in mano i soldi perchè sia lui a scegliersi e pagarsi un fondo pensione piuttosto che un’assicurazione sanitaria. Non solo eviti di costruire baracconi pubblici inutili e dispendiosi come l’Inps, ma soprattutto valorizzi la persona, la fai crescere anche esponendola ai rischi che sempre comporta un’assunzione di responsabilità. Mentre col modello statalista-socialdemocratico magari la tuteli di più ma proprio perchè la condanni ad essere perennemente sotto tutela.

La scelta tra modello liberale o statalista è fondamentale. Tanto che è secondaria perfino la riforma federalista se prima non abbiamo chiarito quale federalismo andiamo a costruire: quello liberale o quello statalista? La mia paura cioè è che gli amministratori locali di regione e comuni, messi dalla riforma federalista nella condizione di trattanere più risorse nel territorio, utilizzino queste risorse per appesantire la loro macchina amministrativa (federalismo statalista) quando invece è necessario alleggerirla (federalismo liberale). Il sindaco di Verona Flavio Tosi denuncia spesso la scandalosa situazione del comune di Napoli che, percentuamente al numero di abitanti, ha dieci volte i dipendenti del comune di Verona. Perfetto. Purchè da un alto e un basso non ne esca quella via di mezzo che trasformerebbe Verona in una mezza Napoli…Per essere chiari fino in fondo: non solo va falcidiato il numero dei comunali di Napoli ma va ridotto anche quello di Verona, che è comunque già inutilmente sovrabbondante; altrimenti andiamo a realizzare il federalismo statalista.

Ultima considerazione dedicata al tradimento consumato in questi mesi dal duo Berlusconi-Tremonti: più soldi in tasca sono la condizione fondamentale perchè il cittadino possa esercitare la propria libertà. Se non glieli restituisci lo lasci in balia dello statalismo, lo consideri un minorato da tenere sotto tutela. Senza la riduzione delle tasse non c’è né libertà né Popolo della Libertà. Berlusconi la libertà l’aveva fatta intravvedere nel 2001 quando promise (senza mantenere) che avrebbe fatto scendere l’aliquota massima al 33%. Oggi invece col suo ministro Tremonti ha dichiarato che le tasse non scendono e non scenderanno nemmeno nei prossimi anni: questo è il tradimento della libertà. Un governo che mantiene la pressione fiscale allo stesso livello del governo Prodi (43%) non è espressione del Popolo della Libertà ma di un “Popolo dello Statalismo”.

 

IL SINDACATO DEI NON LAVORATORI

 

 

Un sindacato che difende i fannulloni che, di fronte agli otto ferrovieri licenziati a Genova perchè beccati a farsi timbrare il cartellino da un collega, promuove e organizza addirittura il boicotaggio del trasporto ferroviario: questo è ancora il sindacato dei lavoratori o è diventato invece il sindacato dei non lavoratori? Sto parlando della Cgil, non di un Cobas qualsiasi, non di un sindacatino autonomo che per definizione vive difendendo le posizioni più estreme e residuali. Ma, appunto, di un grande sindacato che, essendo tale, dovrebbe farsi carico del comune sentire della maggioranza dei lavoratori stessi; se non vuole diventare sempre più marginale, sempre più sorpassato.

Mi pare che oggi la larga maggioranza dei lavoratori non accetti più certe forme spudorate di assentiesmo. Non è Brunetta, sono loro per primi che vogliono farla finita con i fannulloni. E non parlo solo dei dipendenti del settore privato, sempre più esacerbati dal confronto con i privilegi di cui godono i dipendenti pubblici. Gli stessi statali sentono che certe situazioni sono insostenibili ed indifendibili. E così la Cgil rischia di rappresentare solo i non lavoratori, cioè i fannulloni.

Un sindacato serio – al limite – può fare una trattativa sottobanco con l’azienda ferrovie per tutelare in qualche modo gli otto (magari ottenendo un silenzioso reintegro), ma non può difenderli ufficialmente; una difesa che – a tutti gli effetti – equivale a negare che esistano fannulloni e assenteisti. Cioè a negare la realtà.

Dieci anni fa anche certi sindaci negavano la realtà, cioè sostenevano che il problema sicurezza era una “percezione” o una montatura della destra politica. Adesso anche i sindaci di centrosinistra sono diventati “sceriffi”, nessuno più nega l’esistenza del problema e tutti sono impegnati a rassicurare concretamente i cittadini. Solo qualche esponente di Rifondazione nega ancora la realtà e continua a parlare di “montatura della destra”: questi rifondaroli sono i Cobas della politica. Ma la Cgil è diventata anche lei un Cobas o vuole continuare ad essere un grande sindacato di massa?

 

 

ETICHETTE, ACCATTONI E RAZZISMO

 Dopo qualche giorno di latitanza per ferie, riprendo con una nuova opinione per rispondere e rilanciare ai tanti commenti arrivati sull’ultimo tema dell’accattonaggio.

Cominciamo con le etichette che ad alcuni piace tanto appiccicare. Se dialogando con voi continuassi a bollarvi come “comunisti” o “fascisti” o “leghisti”, cosa pensereste? Magari che ho pochi argomenti e per questo mi rifugio nello stereotipo; o forse che voglio eludere il merito, cioè il confronto con la sostanza delle vostre opinioni; o magari che ho un’ossessione alla Berlusconi il quale – notoriamente – vede comunisti dovunque…Non capisco dunque perchè una persona intelligente e piena di argomenti, come ad esempio Renzo, non sappia rinunciare al gusto dell’etichetta: devo forse pensare che, un po’ alla Berlusconi, anche lui vede, non comunisti, ma leghisti dappertutto?…Scherzi a parte, questo ricorso alle etichette mi sembra elusivo: perchè un’opinione va valutata per la sua sensatezza o meno, perchè ha una logica, perchè sta in piedi oppure no. Ma non perchè è fascista o leghista o comunista o tardodemocristiana. E, in ogni caso, anche quando la hai bollata con lo stereotipo ideologico o partitico, resta tutto da dimostrare se quella opinione sia valida oppure no.

Tornando al merito della questione elemosina, è evidente che vi sono sfruttatori e sfruttati. Ma la questione cruciale è che esiste anche una terza categoria: quella dei “bauchi” i quali, facendo la carità, forniscono il carburante che fa funzionare l’intero meccanismo; cioè consentono agli sfruttatori di fare lauti guadagni sulla pelle degli sfruttati. Provo ad aggiungere un parallelismo: chi fa la carità produce un effetto molto simile a chi va a puttane; anche i clienti delle lucciole forniscono infatti il carburante che garantisce il lauto guadagno dei papponi e lo sfruttamento delle prostitute, di quelle consenzienti e peggio ancora di quelle schiavizzate. Aggiungiamoci anche una differenza: c’è chi paga per ottenere un appagamento sessuale e chi elargisce per ottenerne uno “spirituale”, cioè per sentirsi buono e sensibile di fronte alla miseria altrui.

Qualche considerazione in fine su questa autentica ossessione razzista che riesce ad intruffolarsi anche quando stiamo discutendo di accattonaggio. Trovo vergognoso confondere i peti con le trombe d’aria. C’è stato e c’è un fenomeno spaventoso, di una drammaticità senza pari, che ha portato e porta allo sterminio di milioni di persone in nome della presunta superiorità razziale (o ideologica o religiosa). Questo è il razzismo. Confonderlo con alcune reazioni xenofobe (termine che significa paura dello straniero, non odio per lo straniero e meno che mai volontà di distruggere lo straniero) che si sono manifestate anche nelle nostre città è una autentica vergogna; anzitutto nei confronti delle vittime del razzismo vero. Questa logica porta, appunto, a confondere i peti con le trombe d’aria. E chi argomenta, che si comincia sempre così ma poi si va sempre a finire colà, non sta che spiegandoci che i peti sempre e comunque innescano le trombe d’aria. Ripeto, non nego che alcune reazioni, che alcuni discorsi xenofobi si manifestino anche nelle nostre città. Anche in una città come Verona che pure ha radici secolari di civiltà e di tolleranza, per il semplice motivo che da secoli è terra di relazioni e di incontri tra popoli diversi. Accusare Verona e i veronesi di razzismo è un delirio, significa non conoscere la loro storia; significa non capire che il modo di essere e di agire, il sentire profondo di una comunità, sono il risultato di una stratificazione secolare che può essere modificata solo da un’azione contraria altrettanto lunga: anche ammesso cioé che la Lega predicasse l’intolleranza, sarebbe solo un graffietto superficiale che non intacca l’animo profondo dei veronesi…In ogni caso ci sta che sulla stampa nazionale, che da altre regioni e città arrivi l’accusa di razzismo a Verona e ai veronesi. Ma che questa accusa venga mossa, avallata e rilanciata ad ogni piè sospinto – e con una particolare voluttà – da alcuni veronesi stessi, lo trovo davvero aberrante. Aberrante e molto più inquetante delle manifestazioni xenofobe. Non credo infatti che sia una battaglia in nome dei grandi valori della tolleranza, ma piuttosto un gusto masochistico di sputare dove si mangia, dove si è nati e dove si vive.

 

NESSUNA PIETA’ PER GLI ACCATTONI

 Nessuna pietà per gli accattoni. Non la pensano così solo i sindaci che, a prescindere dai colori politici, hanno cominciato a multarli e a sequestrare loro il bottino, adesso lo dicono anche i sacerdoti. Anzi lo dice addirittura un vescovo, quello di Verona mons. Giusepe Zenti che – intervistato dal quotidiano L’Arena – dichiara: “La gente non deve impietosirsi di fronte a chi per strada chiede l’elemosina.Spesso il povero che allunga la mano ha alle spelle dei delinquenti o comunque un mondo adulto che sfrutta le persone più indifese e di fronte alle quali è più facile commuoversi”. “Qui a Verona – prosegue mons. Zenti – non esiste il problema della fame e di un tetto sotto il quale dormire. Le possibilità sono offerte a tutti , se poi per qualcuno è più comodo chiedere l’elemosina è un altro discorso. Ma non è dignitoso farlo né è un gesto di pietà donare qualche soldo”.

Mi sembra che il vescovo di Verona fotografi in modo molto preciso quelle che sono le nuove coordinate dell’accattonaggio. Un fenomeno oggi radicalmente diverso da com’era un tempo, anche nel nostro Veneto fino al boom economico degli anni Sessanta: prima la miseria esisteva davvero, il lavoro mancava sul serio e le persone allungavano la mano per sopravvivere perchè non avevano alternative. Lo Stato sociale o non esisteva o era molto più rudimentale. Mentre nessuno nella Verona, nel Veneto, nell’Italia di oggi viene lasciato morire di fame. Al di là dell’assistenza sociale pubblica o privata (pensiamo alla Caritas), esiste poi comunque un’opportunità di lavoro.Magari in condizioni molto ma molto discutibili, che possiamo definire di autentico sfruttamento, come in talune cooperative dove la retribuzione è vergognosamente bassa. Ma tutti hanno quantomeno l’opportunità di sopravvivere col proprio lavoro.

Quindi oggi non c’è più quello stato di necessità, quella mancanza di alternative, che in passato rendeva inevitabile l’accattonaggio. Oggi chi mendica o lo fa all’interno di un disegno criminale, di cui può essere strumento e vittima (come nel caso dei bimbi nomadi) o lo fa per cialtroneria, trovando più comodo allungare la mano che usarla per fare le pulizie o scaricare cassette al mercato ortofrutticolo.

Capirlo ed esserne convinti può non risultare immediato, specie per quelli della mia generazione che veniva educata a fare la carità e che, fin da bambini, si sentivano buoni quando donavano una moneta al mendicante. Oggi la carità non è un atto di bontà né di generosità, ma solo di complicità con i criminali o con i cialtroni.

 

JUVENTINI, CARI RAGAZZI O RAZZISTI?

 

L’informazione deviata non decide solo quando un medio alzato è un insulto intollerabile ai Sacri Simboli della Patria, stabilisce anche quando e dove si manifesta il razzismo. Quindi, parlando di calcio, il razzismo non lo troviamo mai tra la tifoseria delle grandi squadre di calcio. Non esiste né a Napoli, né a Roma, né a Torino né a Milano. Si manifesta virulento solo in provincia; nella provincia veneta, tra Padova e Treviso, e a Verona (versante Hellas) in particolare.

Leggete cosa hanno gridato – nell’indifferenza generale e senza che nessuno media mostrasse né scandalo né turbamento – i tifosi della Juve, della cosiddetta Vecchia Signora, martedì sera durante il torneo Tim, svoltosi appunto all’Olimpico di Torino. Leggiamo dalla cronaca fatta dalla Gazzetta dello Sport. Hanno cominciato con un coro all’indirizzo dell’allenatore del Milan Carlo Ancelotti:”un maiale non può allenare”. Il Carletto rossonero non l’ha presa bene ed ha reagito alla Bossi alzando il medio; direi però che il coro dei tifosi juventini era più da vecchia baldracca che da Vecchia Signora. Ma il bello è arrivato subito dopo all’indirizzo dei giocatori dell’Inter: per Balotelli (che sta per compiere 18 anni è avrà la cittadinanza italiana) il coro è stato “Non esiste un negro italiano”, mentre Ibrahimovic e Stankovic sono stati bollati come “zingari”.

Immaginatevi cosa sarebbe successo se la tesi che “non esiste un negro italiano” fosse stata sostenuta e gridata dai tifosi dell’ Hellas invece che della Juve: sarebbe venuto giù il mondo, la grande stampa e la grande televisone li avrebbe bollati come “sporchi razzisti” e avrebbe spiegato che la feccia del Ku-Klus-Klan non deve più poter entrare negli stadi di un Paese civile.

E invece – cosa ancor più vergognosa degli insulti razzisti a Balotelli– sapete la Gazzetta dello Sport come si è rivolta ai tifosi della Juve? Con questo parole e con questo tono affettuoso e pedagogico:” Cari ragazzi, anche se magari quello che cantate non riflette i vostri pensieri ed è quindi un inutile tentativo di intimidire gli avversari, provate a ricordare che la vostra curva è intitolata a Gaetano Scirea….”

I buuuh dei tifosi dell’Hellas riflettono o non riflettono i loro pensieri? Come mai la Gazzerta non li ha mai chiamati “cari ragazzi”? Vi convince o no come esempio di informazione (sportiva) deviata?

 

FANNULLONI E PRECARI CHE BATTAGLIA!

 

 

Fannulloni e precari, due temi di discussione. Due battaglie di destra o di sinistra?

Il direttore del Riformista, Antonio Polito, sostiene che la battaglia di Brunetta contro i fannulloni è una battaglia che la sinistra moderna dovrebbe fare propria, perchè è una battaglia di equità: far sì che i pubblici dipendenti lavorino come i dipendenti privati, e non di meno.

Tanto vergognoso il fenomeno dell’assenteisno nel pubblico che è bastato l’annuncio dei fieri propositi del piccolo grande ministro per farlo diminuire del 18% nel mese di giugno. Ma subito partono anche i siluri: il sindaco di Roma Alemanno dice che no, che è sbagliato affermare “morte ai fannulloni” che bisogna sostituirlo con “viva i meritevoli”. E così il povero Brunetta comincia ad essere colpito dal “fuoco amico”, e già si capisce come andrà a finire: di provvedimenti concreti nemmeno l’ombra, l’effetto annuncio si dissolverà nel giro di qualche mese e la riforma del pubblico impiego andrà in archivio.

Quanto ai precari, nemmeno nella repubblica degli Ayatollah è pensabile che sia il giudice islamico a decidere ed imporre le assunzioni a vita. Succede invece nella Repubblica (laica?) italiana dove le Poste si sono dissanguate invano pagando stuoli di avvocati: ma il giudice ha imposto di assumere in pianta stabile ventimila precari anche se avevano solo contratti a tempo per qualche mese. Il mercato del lavoro lo decidono i magistrati, i costi li paga la fiscalità generale cioè noi.

I sindacati fanno le dame della San Vincenzo: poveri precari come fanno ad avere un progetto di vita,non possono nemmeno accendere un mutuo, bisogna assumerli. Neanche nel Paese di Alice si ragiona così. In ogni Paese serio prima si guarda se servono nuovi postini, nuovi professori, nuovi statali; e, solo se servono sul serio, vengono assunti. Non perchè sono precari. Chi è più precario degli abitanti dell’Africa? Li assumiamo tutti alle Poste o nelle scuole?

BOSSI, L’INNO E L’INFORMAZIONE DEVIATA

 


Accanto ai servizi segreti deviati, che preparavano loro le bombe salvo poi attribuirne la responsabilità ad altri con tutta una serie di depistaggi, accanto ai servizi deviati abbiamo anche l’informazione deviata: quella che prepara ad arte la “bomba” del villipendio di Bossi all’Inno di Mameli per depistare l’attenzione dell’opinione pubblica dalle questioni pregnanti che solleva il leader della Lega. E’ una tesi che ho sostenuto nella mia rubrica televisiva, che ha già suscitato la protesta di Cristiano e Renzo sul blog, e che mi pare interessante ribadire anche in questa sede.

Per poter parlare di “villipendio all’Inno” di “insulti alla Nazione” di “veneti offesi” come hanno fatto in molti dal presidente della Camera Fini fino al presidente del Veneto Galan, avrebbe dovuto esserci un fatto chiaro e inequivocabile: mentre stavano andando parole e note dell’Inno di Mameli un Bossi che alza il medio e lo manda pubblicamente affà’…. Ma nulla è accaduto di così clamoroso. E’ succeso invece che, nel corso dei suoi soliti discorsi vibranti e arruffati, mentre se la prendeva col centralismo e con i prefetti, Bossi abbia detto: l’Inno di Mameli parla di schiavi di Roma, ma noi col cavole che accettiamo di essere ancora schiavi di Roma!…e via col medio alzato. Chiunque sia un minimo in buona fede si rende conto che Bossi non ce l’aveva con l’Inno di Mameli (che nemmeno lui conosce, come il 99% degli italiani che la 2^, la 3^, la 4^ e l 5^ strofa l’hanno letta pre la prima volta solo grazie alle polemiche di questi giorni…) ma ce l’aveva Bossi con l’idea di restare schiavi o servi o vassalli di Roma, cioè con l’idea che continui lo stato centralista e non si attui la riforma federalista.

Tant’è che nessuno dei giornalisti presenti sul momento ha fatto una piega, nessuno ha ritenuto di aver sentito un concetto né nuovo né dissacrante. Come mi racconta Luigi Primon, presente per Telenuovo allo Sheraton di Padova. Solo alcune ore dopo una qualche centrale occulta dell’informazione deviata ha colto l’occasione ed elaborato il piano: e così è uscita una prima nota di agenzia che parlava di insulti all’Inno di Mameli. E solo allora molti degli inviati dei più autorevoli mezzi d’informazione, come tanti bravi soldatini che abbiano ricevuto la velina dal Minculpop, si sono adeguati a questa lettura dei fatti e l’hanno riproposta nei telegiornali della sera e nei quotidiani del giorno dopo.

Una lettura deviata e ridicola. Faccio un esempio che mi pare illuminante. Nella sintesi di storia patria contenuta nell’Inno di Mameli ad un certo punto, nella 4^ strofa, si dice:” I bimbi d’Italia si chiaman Balilla”. Ora immaginatevi, non un federista doc come Bossi, ma un antifascista doc come Ferruccio Parri, che durante un comizio affermi sdegnato: l’Inno di Mameli sostiene che i bimbi d’Italia sono tutti Balilla, ma noi col cavolo che lo accettiamo, vadano al diavolo tutti Balilla, il fascismo non c’è e non ci sarà mai più!…Secondo voi questo Parri immaginario avrebbe voluto insultare l’Inno nazionale o mettere una pietra tombale sulla nazional-fascista Opera Balilla?…

Trovo inoltre vergognoso, degno di sepolcri imbiancati, che questi alfieri così fervidi del Tricolore e dell’Inno di Mameli, pronti oggi a vibrare di sdegno all’idea che Bossi manchi di rispetto ai “sacri simboli”, siano gli stessi che per decenni gli stessi sacri simboli li avevano completamente trascurati, dandoli in appalto gratuito ed esclusivo al Msi di Almirante.

Concludo con il depistaggio. Bossi domenica a Padova aveva sollevato la questione della presenza preponderante (63%) di insegnanti meridionali nella scuola. Percentuali sbilanciate che si ripropongono anche in settori statali ben più prestigiosi e assai meglio remunerati: dai primari ospedalieri, ai magistrati, ai dirigenti della pubblica amministrazione. E qui delle due l’una: o ha ragione lady Ciampi quando affermava che i meridionali sono più intelligenti dei settentrionali (ma la tesi ha un vago sapore razzista) oppure c’è qualcosa che non funziona.

Vogliamo affrontare questa questione, capire perchè è accaduta, impegnarci a riequilibrare le presenza territoriali nel pubblico impiego? O non possiamo farlo perchè siamo troppo sdegnati per gli insulti di Bossi all’Inno di Mameli?