NEL SEGNO DELLA CONTINUITA’

Il Padova riparte da una società forte, solida. Una proprietà che, dopo aver giustamente versato lacrime amare per un traguardo solo sfiorato per ben due volte all’interno della stessa stagione, ha ora deciso di rialzare la testa e di tenere comunque alta l’asticella degli investimenti per ritentare il salto di categoria l’anno prossimo.

Il Padova riparte da Joseph Oughourlian, Alessandra Bianchi e Daniele Boscolo Meneguolo. Il Padova riparte dal suo direttore sportivo, Sean Sogliano.

In queste ore i dirigenti hanno parlato di razionalizzazione dei costi: giusto, giustissimo, perché si viene da un anno e mezzo in cui a farla da padrona è stata una pandemia, con un protocollo sanitario strettissimo da seguire, gli stadi vuoti e gli sponsor sempre più in difficoltà. Ma in cuor suo il tifoso può stare certo che questa società non lascerà nulla di intentato nemmeno nel torneo che inizierà il prossimo 29 agosto per raggiungere finalmente la tanto sognata (e meritata) serie B.

Sono contenta che si vada avanti nel segno della continuità. Anche io ero per la riconferma di Sean Sogliano. Onesta e sincera, non per quella di Mandorlini. E così è andata.

Spero che siano tanti, aldilà dei contratti ancora in essere, i giocatori dell’anno scorso che accettino di rimanere. Non mi immagino un Padova senza Ronaldo, senza Della Latta, senza Saber. E mi auguro vivamente che ci siano i margini (seppur al momento stretti) per riportare qui anche Mino Chiricò. Non tanto e non solo per i 10 gol e le prestazioni superlative, quanto per l’abbraccio che gli ho visto dare a Ronaldo a Meda dopo il primo gol segnato al Renate nella prima dei playoff. Questo gruppo, aldilà degli alti e bassi, mi ha convinto. E smantellare tutto sarebbe un grave errore, a mio avviso.

Non si dovrà tenere nessuno controvoglia, ma so per certo che, per ripartire, non c’è miglior benzina della rabbia trasformata in voglia di rivalsa, della delusione che diventa desiderio di riprovarci, della volontà di dimostrare di non essere quelli che ad Alessandria hanno pianto, sconfitti, ma quelli che in tante altre occasioni hanno festeggiato insieme una vittoria, ben sapendo di avere un conto in sospeso con un destino che prima o poi deve decidersi a mostrarci il pollice alzato.

Ecco, l’allenatore che verrà dovrà essere quello che cura queste ferite e le trasforma in nuove opportunità. Uno bravo sul campo, ma soprattutto nello spogliatoio, a guardare negli occhi questi ragazzi e ritrovarvi dentro il sacro fuoco della voglia di vincere. Di cancellare quel che è stato con un campionato che, partendo da zero, torni a regalare gioia e soddisfazione alla piazza così come a ciascuno di coloro che torneranno a scendere in campo con la maglia bianca e lo scudo cucito sul petto.

UN DESTINO CRUDELE, OLTRE OGNI DEMERITO

Il Padova inciampa sull’ultimo gradino della scalinata per la serie B. Costretto a fermarsi fuori dalla porta e a lasciar entrare l’Alessandria a causa di un errore al quinto rigore, quello decisivo. Andrea Gasbarro, che pur aveva fatto di tutto per rientrare in tempo utile dopo un infortunio, non ha inquadrato lo specchio della porta e su quel palo sfiorato si sono spenti, dopo lungo inseguire, i sogni del Padova. I sogni di Padova. Una città che, nonostante le restrizioni di una pandemia, ha fatto di tutto per tirare la volata alla sua squadra del cuore, per farle sentire tutto l’affetto, tutto l’appoggio in un campionato che si è rivelato lunghissimo ed estenuante. Un campionato che si poteva, anzi, si doveva vincere prima, quando i punti di vantaggio sulla diretta promossa Perugia erano 6 a 5 giornate dalla fine. Un campionato che poi ha offerto la possibilità dei playoff ai biancoscudati, spareggi che si sono rivelati però velenosi proprio in coda, all’ultimo atto, quando sembrava che il destino si fosse finalmente messo dalla parte padovana. Ad Alessandria ha potuto presenziare nella piccola curva ospiti solo un centinaio di tifosi che alla fine erano stremati quanto i giocatori: tante le lacrime versate, troppo grande la delusione per un obiettivo che è stato così vicino per ben due volte nella stessa stagione ma che è sfumato all’ultimo secondo.

“Ci rialzeremo, come sempre. Forza Padova, nei secoli”, mi ha detto un tifoso poco prima di lasciare la curva ospiti del Moccagatta. Non ho il minimo dubbio che sarà così. Ma la ferita sanguina ancora e ci vorrà del tempo per far sì che si rimargini. Quella che ha vissuto il Padova è stata una sconfitta sportiva, certo, ma non solo: tutta la città piange ora un traguardo mancato, che poteva portare entusiasmo e nuova linfa anche dal punto di vista del prestigio e dell’immagine di Padova. Sugli spalti del Moccagatta c’erano anche il sindaco Sergio Giordani e l’assessore allo sport Diego Bonavina, in trance agonistica per l’intera partita e alla fine amareggiati e delusi per la crudeltà del verdetto.

Impossibile anche per noi trattenere l’emozione e le lacrime dopo 44 puntate di “Alè Padova” trascorse a raccontare le imprese biancoscudate in ogni momento della giornata, in ogni orario e in ogni stadio, sperando nel giusto epilogo finale.

Le uniche parola di speranza sono uscite dalla bocca del capitano, Ronaldo. Chi rimarrà dovrà far tesoro di quello che è successo e ripartire proprio da questa rabbia, ha detto mentre l’Alessandria festeggiava la serie B e il Padova rimaneva immobile, incredulo, di fronte ad un pugno così forte in faccia da parte del dio del pallone. Non si sa chi e come ripartirà. Si sa solo che ad accompagnare l’inizio della nuova stagione ci sarà una curva a bordo campo cui ora i tifosi guardano come alla luce più intensa per illuminare forte il futuro cammino biancoscudato.

UNA NUOVA GRANDE CONSAPEVOLEZZA

Manca ancora un ultimo atto, un ultimo respiro da fare a pieni polmoni e con il massimo della determinazione possibile per conquistare la serie B.

Non sarà facile espugnare il “Moccagatta” contro l’Alessandria visto domenica all’Euganeo, una squadra che se attaccata alta va in difficoltà ma se trova un po’ di spazio in due passaggi è capace di ritrovarsi pericolosamente a tu per tu con il portiere Dini, ma il Padova ha tutto quel che gli serve per poter portare a compimento l’impresa. I tifosi sono stati splendidi anche ieri durante la partita sugli spalti finalmente di nuovo colorati di festa e tifo e poi nell’aspettare i biancoscudati alla fine gara per dare loro tutta la carica possibile, ma la consapevolezza di essere forti, di essere stati costruiti per vincere il campionato e di non esserci riusciti aldilà dei propri oggettivi demeriti, i giocatori l’hanno riscoperta innanzitutto dentro di loro.

Il mese intercorso tra la fine del campionato e l’inizio degli spareggi promozione ha dato al Padova nuova linfa vitale. Il fatto di non giocare subito dopo la grande delusione per la mancata promozione diretta nel testa a testa col Perugia poteva essere un pericoloso boomerang e invece la società lo ha trasformato in opportunità gestendo il lungo periodo senza partite ufficiali con intelligenza e lucidità. La squadra ha lavorato insieme sul campo per preparare in ogni dettaglio le ultime partite, ma si è anche ritrovata fuori dal campo, in piscina ad esempio, ma anche con le famiglie, in momenti di aggregazione e svago che hanno fatto benissimo allo spogliatoio. Anche l’allenatore Andrea Mandorlini si è lasciato definitivamente alle spalle i momenti di difficoltà e non sta sbagliando un colpo sia nella scelta degli uomini da mettere in campo (azzeccatissima la decisione di spostare Ronaldo sulla trequarti nelle due sfide di semifinale con l’Avellino ad esempio) sia nell’inatteso cambio di modulo: il 3-5-2 visto contro l’Alessandria si è dimostrato molto efficace, mettendo in evidenza la capacità di lettura del tecnico ravennate nel momento cruciale della stagione.

Giovedì al Moccagatta ci si gioca tutto, ancora una volta, come dicevo tempo fa, fuori casa, come è stato a Busto Arsizio nel 2009, come è stato a Legnago nel 2015, come è stato a Cremona nello spareggio per andare in A nel 1994 e a Firenze nello spareggio per salvarsi in A nel 1995. Nulla è scritto o scontato. Quest’ultimo difficile chilometro il Padova lo dovrà fare ancora una volta al massimo dei giri del suo motore senza togliere mai il piede dall’acceleratore. Sarà l’ultima impresa dell’anno e i biancoscudati che hanno finalmente ritrovato loro stessi hanno le armi, tecniche, tattiche e caratteriali, per portarla a casa. Avanti scudati!

IMPECCABILI, PERFETTI. DI PIU’: EROICI

Ha tutte le caratteristiche dell’impresa la vittoria conquistata al Partenio dal Padova di Andrea Mandorlini.
Si sapeva che sarebbe stata dura vincere in un campo così difficile, in un ambiente così caldo, in uno stadio violato l’ultima volta a fine 2020, ma il Padova ha fatto ben più che giocare una partita al massimo delle sue potenzialità, buttando in campo tutto quello che aveva.

Il Padova, messo stavolta nella condizione di poter esprimere appieno il suo bagaglio tecnico-tattico da una direzione arbitrale che ha impedito fin dai primi minuti il degenerare della sfida sul piano degli eccessi e dell’estrema fisicità (come purtroppo era stato all’Euganeo domenica scorsa), ha portato a casa la vittoria soprattutto grazie ad una gestione “mentale” impeccabile. I giocatori, che nella sfida di andata erano caduti più volte nelle provocazioni lanciate appositamente dall’Avellino per innervosirli e indurli all’errore, hanno avuto stavolta il grande merito di mettere la gamba quando era da mettere ma anche di non farsi travolgere in situazioni potenzialmente pericolose.

Quanto i biancoscudati avessero in pugno la partita dal punto di vista caratteriale, quasi emozionale, si è capito a fine primo tempo, quando hanno aspettato che fossero gli avversari a imboccare per primi il tunnel dell’uscita dal campo. Ronaldo e compagni si sono riuniti a centrocampo e hanno atteso qualche minuto prima di guadagnare la strada degli spogliatoi di modo da non farsi prendere in “contropiede” da provocazioni, buffetti, spintine o altri simili trattamenti che si erano visti nel tunnel dello stadio di Padova nel match d’andata.

Eravamo di fronte a una semifinale, quella di ritorno, quella da dentro o fuori. Non era semplice mantenere i nervi saldi in ogni momento, in ogni frangente, in ogni situazione, in ogni contesto, in ogni decisione. E i nostri sono stati addirittura eroici, coniugando una partita praticamente perfetta soprattutto quando è stata ora di sbarrare la via dell’attacco all’Avellino ad un atteggiamento maturo, sereno, consapevole.

Una lucidità e una carica che fanno “pendant” con la ritrovata carica di Andrea Mandorlini, l’artefice principale di questo dirompente ritorno in pista di Ronaldo e compagni che finalmente sono riusciti a lasciarsi alle spalle il pesante fardello della mancata promozione diretta e possono ora giocarsi la risalita in B in finale contro l’Alessandria.

LE IMPRESE, QUELLE BELLE, SEMPRE FUORI CASA

Ci ho messo un po’ a riordinare le idee. Mi sono guardata e riguardata gli highlights della partita tra Padova e Avellino un sacco di volte. E sono andata a rivedermi anche un episodio che, nella sintesi della gara, non è stato inserito ovvero la gomitata di Dossena su Della Latta che poteva cambiare il corso della partita in favore del Padova se fosse stato sanzionato a dovere. Staremmo parlando di un’altra partita anche se fosse stato dato ai biancoscudati il rigore (netto) su Chiricò. A velocità normale e a velocità rallentata il risultato non cambia: Tito è in ritardo netto sull’esterno di Mesagne che gli sta sgusciando via e lo spinge di brutto. Se per l’arbitro Cosso di Reggio Calabria era rigore quello concesso per la manata più plateale che cattiva di Della Latta su Maniero allora il metro di valutazione doveva essere lo stesso anche nell’episodio di sponda Padova.

Inutile girarci tanto attorno: per me, lo dico chiaramente e lo sottoscrivo, il Padova ha fatto una grande partita. I giocatori hanno disputato un grandissimo primo tempo, portandosi meritatamente in vantaggio, e solo un rigore più che dubbio ha piegato la loro resistenza. Momentaneamente peraltro perché poi, nel finale di secondo tempo, quando la stanchezza e i crampi la stavano facendo da padroni, è stato di Ronaldo e compagni il sussulto d’orgoglio finale con 4 calci d’angolo battuti consecutivamente e due occasioni nitide non realizzate per una questione di pochi centimetri.

Il direttore di gara non è stato assolutamente all’altezza della situazione: va detto che ha permesso agli irpini di fare esattamente la partita che volevano fare, buttandola sulla provocazione e sulla fisicità spinta. Già non doveva permetterlo in partita questo tipo di atteggiamento l’arbitro, figuriamoci quando, a fine primo tempo, le provocazioni sono continuate mentre il Padova guadagnava il tunnel degli spogliatoi: proprio in quella circostanza ci siamo resi conto che sarebbe stata davvero durissima avere la meglio. Mercoledì ci vorrà molto più polso e molta più personalità per dirigere la semifinale di ritorno: il Padova non merita di uscire di scena ancora una volta per torti esterni che, come il fallo di mano di Gomez a Trieste, non c’entrano nulla con le prestazioni e i gol non fatti sul campo.

Ciò premesso (e scusate ma era davvero doverosa questa premessa, quando ci vuole ci vuole), il Padova è chiamato ancora una volta nella sua storia ad essere più forte di tutto e di tutti. E’ perfettamente in grado di andare ad Avellino a vincere, fosse anche all’ultimo calcio di rigore, e dovrà fare di tutto per riuscirci. Quella stessa sua storia peraltro in questo momento rema assolutamente dalla sua parte e insegna che le imprese più epiche questa squadra le ha fatte proprio in spareggi all’ultimo sangue e sempre fuori casa.

Nel 2009, dopo due pareggi casalinghi contro il Ravenna in semifinale e la Pro Patria in finale, il Padova è andato a vincere sia al “Benelli” che allo “Speroni”: e nella finalissima che ha vinto grazie alla doppietta di Di Nardo è rimasto in dieci alla fine del primo tempo per l’espulsione di Di Venanzio da parte dell’arbitro Nasca di Bari. Nel 2010 ai playout, dopo lo 0-0 all’Euganeo, è andato a vincere 3-0 a Trieste con i gol di Vantaggiato, Cuffa e Bonaventura. Se poi andiamo indietro nel tempo agli anni Novanta lo spareggio per andare in A lo ha vinto sul neutro di Cremona contro il Cesena nel 1994 e l’anno dopo si è salvato contro il Genoa a Firenze.

Stavolta la meta designata è Avellino e siamo di fronte alla semifinale: ci sarebbe un ulteriore scoglio da superare poi. Ma fermiamoci per un momento qui: già fare l’impresa in un campo difficile e un ambiente caldissimo come quello del Partenio riscriverebbe la storia di questa maledetta stagione.

E’ nelle situazioni più ardue che la squadra che più amiamo è in grado di tirare fuori risorse insperate. Incredibili. Inesauribili. Sarà così anche stavolta. Ne sono più che sicura.

IL SEGNO DEL DESTINO

Fosse finita 0-3 con passaggio del turno da parte del Renate starei per scrivere un papiro. Una colata di cemento di parole con l’analisi di una sconfitta clamorosa, di un’eliminazione incredibile. Dell’ennesimo episodio della storia che condanna il tifoso del Padova ad una sofferenza senza fine, anche quando sembra che le cose si incanalino sui giusti binari.
E’ invece terminata 1-3 e ad andare in semifinale con l’Avellino sono proprio i biancoscudati.

Questo mi mette nella condizione di poter evitare giudizi definitivi e di prendere a spunto le parole pronunciate da Ronaldo nel dopo partita. “Lo prendo come un segno del destino il fatto che si sia dovuto soffrire così per arrivare alla semifinale, si vede che comunque toccava a noi andarci” ha detto il capitano, ripreso poi anche dall’allenatore Mandorlini che credo, allo 0- 3 del Renate, che si sia visto passare davanti agli occhi l’intero film della sua vita da allenatore senza trovarvi nulla di simile prima d’ora.
Ecco, bravo Ronnie. Facciamo in modo che questo segno vi resti nel cuore e nella mente fino alla fine per evitarvi altri paurosi cali di tensione come quello che si è visto nella ripresa della gara contro il Renate. Facciamo che d’ora in avanti non si dà nulla per scontato, neanche un’ampia vittoria nella partita di andata. Facciamo che d’ora in avanti non si gestisce più nulla e ogni goccia di sudore deve essere indirizzata a fare la partita e non a cercare di amministrare qualcosa di acquisito.

Mancano potenzialmente “solo” 4 partite. Ce la possiamo fare a non dimenticare così velocemente il grande insegnamento di questo 2 giugno 2021.

 

UN MESE CHE HA FATTO BENE

Se avevamo qualche dubbio, oggi il Padova lo ha fugato.

Il mese di distanza che è intercorso tra l’ultima partita della stagione regolare e la prima dei playoff ha fatto bene alla squadra. Chi è sceso in campo col Renate nella gara di andata dei quarti, aldilà del risultato finale decisamente a favore del Padova, lo ha fatto con più serenità e lucidità rispetto alle ultime uscite del campionato. I giocatori hanno approfittato alla grande della lunga sosta sfruttandola solo per i suoi aspetti positivi. Sono riusciti infatti a scrollarsi di dosso tutto quello che di negativo era piovuto addosso loro nell’ultima travagliata parte del campionato.

Il testa a testa col Perugia, che alla fine ha favorito gli umbri nella promozione diretta per soli due gol di differenza nello scontro diretto, il fatto di aver fatto 79 punti col miglior attacco e la miglior difesa senza riuscire ad andare su, le chiacchiere e i commenti delle altre squadre che non hanno fatto altro che mettere lingua sulla situazione biancoscudata sono ormai lontani ricordi: il Padova è tornato in pista e lo ha fatto con una condizione fisica e mentale da squadra che sta finalmente bene.

Con questi presupposti, è un piacere attendere la sfida di ritorno di mercoledì 2 giugno all’Euganeo. Una sfida in cui finalmente un po’ di pubblico potrà godersi in presa diretta lo spettacolo che questa squadra sa produrre ad alti livelli.

IL BIVIO

Il Padova ha cominciato a preparare i playoff.

Impossibile lasciarsi del tutto alle spalle quello che è successo nell’infausto finale di campionato, quando il Padova credeva ormai di avere in mano la promozione diretta e invece si è fatto raggiungere all’ultimo dal Perugia. Impossibile perché non si è trattato solo di un traguardo che era saldamente in mano dei biancoscudati ed è venuto a mancare all’ultima curva, ma anche di un momento tormentato per mille motivi: la batosta di Matelica con rigore contro ed espulsione di Rossettini generosi, lo scandaloso gol di mano a Trieste, la bruttissima figura di Modena, la fatica nel trovare la via del gol nelle ultime giornate, l’infortunio di Ronaldo, il giocatore che più è capace di fornire alternative di gioco. Il tutto mentre il Perugia non solo vinceva sul campo ma, fuori dal campo, si permetteva di emettere giudizi sulla Sambenedettese che stava fallendo e “minava” la regolarità del campionato, sui rigori dati al Padova al 95’, su presunti torti arbitrali subiti. Da Santopadre a Caserta, passando per Comotto, non ce n’è stato uno che abbia tenuto a freno al lingua quando era ora di dare contro a qualcosa che era successo a Padova o che vedeva coinvolto il Padova.

Ha ragione Sean Sogliano. E’ incredibile come gli altri, in questo finale di stagione, si siano permessi di guardare in casa nostra e di parlare di noi. E’ pazzesco che, il giorno dopo il gol di mano di Gomez a Trieste, sia stata la Triestina a emettere un duro comunicato dicendo al Padova che la doveva smettere di attaccare la società alabardata (Padova che, peraltro, ancora non aveva emesso un fiato in proposito e che ha deciso di fare una conferenza stampa con il direttore sportivo solo dopo aver subìto quel comunicato).

Ha però ragione Sean Sogliano adesso a voler tirare una riga e guardare avanti. Attenzione: senza dimenticare però. Senza far finta di niente. Tenendo bene a mente quello che è successo per far sì che d’ora in avanti la reazione sia diversa, costruttiva.

Il Padova si è trovato in queste ore davanti a un bivio e ha scelto di voler passare sopra a tutto quello che è stato con il rullo compressore di una rabbia che deve però trasformarsi in prestazione. “Quando mangi m… e ne mangi tanta poi, quando scendi in campo hai voglia di mangiare il pallone”. Frase forte quella pronunciata dal diesse ma che rende perfettamente l’idea di quello che deve succedere dentro ogni giocatore e dentro l’allenatore.

Già, l’allenatore. Sogliano non ha fatto mistero di aver pensato anche alla soluzione drastica. “Quando a 79 punti non vinci il campionato hai due possibilità per darti una scossa: o cambi la guida tecnica o dici all’allenatore che deve ripartire come se quello fosse il suo primo giorno di lavoro. Abbiamo scelto la seconda opzione”.

Bene. Ora tocca a Mandorlini sfoderare la spada e tirare fuori la grinta che ha sempre avuto e che è stata sua fedele compagna di viaggio in tante imprese compiute in passato, da giocatore e da allenatore. E tocca anche ai suoi ragazzi ripartire, ricominciare. Tocca a Ronaldo che è recuperato, tocca a Della Latta miglior marcatore fino a questo momento, tocca a Dini ma anche a Vannucchi, tocca a Rossettini ma anche ad Andelkovic. Tocca a Nicastro ma anche a Paponi che deve ancora riuscire a segnare e potrà approfittare di questi playoff per tornare finalmente protagonista.

I playoff sono lì che aspettano il Padova. Tocca al Padova andarseli a prendere. Di rabbia, di convinzione, di prestazione.

NON E’ ASSOLUTAMENTE FINITA MA…

Il sogno di andare in serie B non si è infranto. Per nulla. Il Padova ha perso il lasciapassare per la porta principale, nonostante abbia chiuso la stagione regolare a 79 punti (dunque con lo stesso punteggio del Perugia direttamente promosso) con il miglior attacco e la miglior difesa. Ma rimane ancora accessibile l’altro ingresso, quello dalla porta di servizio, che i biancoscudati potranno raggiungere solo se si aggiudicheranno i playoff.

Comprendo la delusione di oggi. E’ giusto che questa domenica 2 maggio sia ricordata come la giornata del rammarico, perché bastava un punto tra Matelica, Trieste e Modena, bastava che l’arbitro vedesse il gol di mano di Gomez, bastava che tra Imola e Fano nel girone di ritorno arrivasse almeno un successo. A volersi guardare solo indietro c’è da piangere per tutta la notte e per l’intera giornata di domani, ma il Padova non deve cadere in questo vortice. Non deve commettere l’errore di ripercorrere mentalmente quello che poteva essere e purtroppo non è stato. In chiave playoff, sarebbe deleterio questo andare a ritroso, anche perché ora la squadra di Mandorlini ha ben 22 giorni davanti a sè prima di entrare in scena.

I playoff inizieranno infatti il 9 maggio ma il Padova giocherà solo dal 24. Presentarsi senza aver smaltito dal punto di vista nervoso e “umano” l’amarezza per aver dilapidato un vantaggio sul Perugia che era arrivato a 7 punti dopo il recupero degli umbri contro il Cesena dei primi di marzo comprometterebbe il cammino di Ronaldo e compagni fin dal primo calcio d’inizio.

Il Padova, per la qualità della rosa che ha e l’esperienza dei giocatori chiave, ha tutte le carte in regola per mettersi in tasca il biglietto vincente nella lotteria dei playoff, ma per riuscirci deve innanzitutto tirare una riga e guardare esclusivamente avanti. Alleggerirsi. Deve smettere di portarsi appresso il fardello dell’ultimo periodo che l’ha spinto a scendere in campo nervoso e contratto. Questi ragazzi meritano la serie B e, se si scrollano di dosso un po’ di insicurezza che non ha davvero motivo di esistere, possono raggiungerla.

Ma insieme ai tifosi, che anche oggi sono stati straordinari a far arrivare alla squadra tutto il calore possibile nelle forme consentite, devono crederci anche loro. Loro per primi. Loro devono credere in loro stessi. Altrimenti si rischia di arrivare agli spareggi promozione scarichi e fare una fugace quanto infelice “comparsata”.

SIAMO ANCORA VIVI

Il Padova è ancora vivo.

A tenerlo a galla nella corsa alla serie B diretta un giocatore tra i simboli di questa squadra, per l’impegno profuso in campo, per i gol, per il carattere da leader, per i consigli urlati dalla tribuna quando, a causa di infortuni muscolari, si è ritrovato lontano dal campo ma vicino con il cuore ai suoi compagni. Non poteva che essere Francesco Nicastro con il suo nono sigillo personale a continuare a tenere vivo il sogno del Padova. Il sogno di saltare in serie B con tutti e due i piedi senza dover ricorrere alla lotteria dei playoff con tutti i suoi incroci pericolosi.

A Carpi si è rivisto un Padova volitivo, cosciente dei propri mezzi, mai domo, neanche quando il doppio palo ha detto di no a Chiricò e Pozzi ha respinto con perdite Rossettini e Biasci e le loro conclusioni ravvicinate. A Carpi si è rivisto un allenatore, Andrea Mandorlini, in tutta la sua rabbia positiva, in tutta la sua voglia di trasmettere alla squadra esperienza e lucidità per trainarla fuori con forza dal momento di grande difficoltà. “Non è finita finché non è finita”, diceva qualcuno. In effetti così è anche per il Padova. L’unica certezza è che c’è il secondo posto matematico, che in vista dei playoff è il miglior piazzamento possibile, ma la vera notizia è che, appunto, non è finita. Si può ancora credere nella promozione diretta e si deciderà tutto negli ultimi 90 minuti.

Il Padova dovrà battere la Sambenedettese all’Euganeo, il Perugia non dovrà uscire coi tre punti dallo stadio Turina di Salò.

Sì, certo, i veri intenditori dicono che è già tutto scritto, che è impossibile che il Perugia che viene da 6 vittorie di fila non riesca a scrivere l’ultimo atto della sua stagione con la settima, che la Feralpi sì deve almeno pareggiare per garantirsi il quinto posto e un turno in meno ai playoff ma che non giocherà alla morte per impedire agli umbri di tagliare il traguardo per primi. Ma da queste parti ai miracoli e ai ribaltoni dell’ultimo minuto siamo abituati. Così come dopo Modena siamo stati i primi a flagellarci parlando di campionato buttato via, mentre tutt’intorno gli altri tentavano invano di convincerci che dovevamo continuare a sperare, ora siamo i folli che ci sperano, che ci credono. Che pensano che non sia così improbabile che la Feralpi insegua il suo punto in una partita giocata ad alta intensità dal primo all’ultimo minuto.

Siamo folli? Sì, forse, ma Padova, credeteci, è una piazza in cui certe cose possono succedere davvero. Lo abbiamo visto coi nostri occhi troppe volte per non continuare a coltivarla, e a ragione. questa sana pazzia.