L’ORCHESTRA E I SUOI SOLISTI

Non esiste un musicista, per quanto bravo, capace di suonare da solo una sinfonia. Ci vuole l’orchestra.

Non c’è esempio migliore in questo momento per descrivere cosa sta diventando il Padova da quando, quest’estate, si è ritrovato dopo l’amarezza e le lacrime di Alessandria e ha cominciato a lavorare per riprovarci, agli ordini di un nuovo allenatore. In queste prime quattro partite i complimenti nei confronti di Massimo Pavanel sono stati, giustamente, tantissimi perché ha saputo appoggiare con delicatezza e psicologia sopraffina la mano sulla spalla di questi ragazzi affranti e trasformare la loro rabbia in energia positiva, in voglia di rivalsa, in desiderio di dimostrare che il traguardo che già si meritava l’anno scorso è ancora lì, raggiungibile, se solo ci si spoglia dei brutti ricordi e ci si veste di impegno ed entusiasmo presenti. Ma un plauso va fatto anche ai protagonisti sul campo, perché non era semplice liberarsi mentalmente dal “giogo” della mancata promozione, non era semplice ricominciare dopo l’estenuante e lunghissima rincorsa della passata stagione. Ronaldo, Della Latta, Saber, Vannucchi hanno proprio cambiato “cera”, hanno un’espressione meno contratta e più distesa, più vincente. E questa trasformazione nel gruppo storico ha di fatto aperto le porte all’inserimento dei nuovi arrivati che già si sentono parte di un progetto importante e già sono stati messi nella condizione di esprimersi al meglio.

Ceravolo l’ha detto chiaro e tondo al termine della sfida vinta contro la Triestina 2-0, nel giorno del suo ritorno al gol dopo due anni difficili anche per lui alla Cremonese. Questo gruppo, che già evidentemente era sano l’anno scorso, è ancora più unito e coeso e permette a tutti di sentirsi importanti “solisti” in un’orchestra di elevata qualità. Non è un caso che le due reti del successo contro gli alabardati siano arrivate da un “nuovo” e da un “vecchio”, Ceravolo appunto e Ronaldo, perché ormai non c’è più distinzione alcuna all’interno della rosa del Padova tra chi c’era già e chi è appena arrivato e la sfida contro la Triestina, lo ha dimostrato pienamente. Chiricò, uno dei pezzi più pregiati della rosa, non ha giocato lasciando spazio ad altri interpreti con altri “strumenti musicali” e il concerto è stato ugualmente spettacolare, fermo restando che uno come Mino delizierà con le sue piacevoli note in tante altre partite. Dispiace per Nicastro che, infortunatosi lievemente contro il Legnago in Coppa, sembrava recuperato e invece all’Euganeo domenica è stato costretto ad uscire solo un minuto e mezzo dopo il suo ingresso in campo nella ripresa. Anche per Ciccio torneranno presto tempi migliori.

UNA RINASCITA IN TUTTI I SENSI

Iniziare il campionato con 3 vittorie di fila, 9 gol realizzati e 1 solo gol preso è roba da mandare in visibilio anche il tifoso più pessimista. E a Padova sappiamo che ce ne sono tanti cui basta un gol preso con mezza disattenzione o un pareggio contro una squadra sulla carta più debole per iniziare a mugugnare e a pronunciare la fatidica frase: “Ecco, siamo alle solite. E’ il solito Padova”.
Stavolta credo che si possa razionalmente ed emozionalmente iniziare a fidarsi di questa squadra. E non solo (anche se sono importanti) per i 3 successi nelle prime tre giornate ma per come sono arrivati: il primo a Meda di rabbia pura, il secondo con la Pergolettese di rimonta, il terzo a Legnago con la consapevolezza di essere tornati una squadra in grado di fare molto male. Una squadra che senz’altro qualche partita la perderà, che senz’altro incapperà in qualche giornata storta come può capitare a tutti, che senz’altro qualche volta uscirà dal campo senza portare a casa il risultato sperato ma che sarà sempre in grado di dare tutto e di meritarsi dunque gli applausi di chi è andato a vederla.

Tutti i protagonisti di questo avvio di stagione stanno facendo la loro parte alla grande. In primis l’allenatore Massimo Pavanel: il tecnico di Portogruaro ha mostrato una sensibilità pazzesca entrando in punta di piedi e con la massima umiltà in uno spogliatoio moralmente a terra, rigenerando uno per uno tutti quelli che, loro malgrado, si sono ritrovati in difficoltà nell’ultima parte della passata stagione, culminata con la finale persa ad Alessandria. Il primo cui Pavanel ha dato fiducia è stato il portiere Vannucchi, partito titolare, dopo che l’anno scorso era stato sostituito da Dini nel rush finale. Poi è toccato a Valentini, l’anno scorso finito in prestito al Vicenza a gennaio, e ora perno fondamentale della difesa, in seguito a Biasci, che è tornato a far prestazione e gol in una posizione del campo a lui congeniale. L’ultimo (per ora) a beneficiare della cura è stato Nicastro autore della doppietta di Legnago, ma sappiamo già che il prossimo a recuperare il sorriso dopo mesi durissimi per il rigore sbagliato in finale sarà Gasbarro che ha rivisto il campo nei minuti conclusivi della sfida del “Sandrini”e può tornare davvero ad essere un punto di riferimento lì dietro. E che dopo Gasbarro ci sarà Santini che finalmente può rientrare dopo 10 giornate di squalifica.

Oltre a restituire fiducia ai “vecchi”, Pavanel è stato bravo a far sentire immediatamente parte del progetto anche i “nuovi”. Ceravolo appena entrato ha fatto bene, Terrani idem, Settembrini e Busellato sono usciti a testa alta quando sono stati chiamati in causa, Kirwan è già andato a segno. Ecco dunque gli ingredienti di una rinascita in tutti i sensi che sta portando il Padova a diventare una squadra non solo di qualità come già era l’anno scorso ma anche forte, unita, consapevole. Saranno queste ultime caratteristiche a fare sì che l’epilogo, stavolta, sia quello giusto.

Intanto sotto con la sfida bis col Legnago in Coppa domani sera alle 20 all’Euganeo, occasione senz’altro ghiotta per rivedere in campo proprio Santini ma anche tra i pali il neo acquisto Antonio Donnarumma.

ALTRO FANTASMA SCACCIATO

Il Padova ha vinto 2-1 contro la Pergolettese. A leggere solo il risultato senza aver visto la partita, l’impressione è quella dell’atto “dovuto” e anzi che il risultato sia pure un po’ troppo tirato per i nomi delle due squadre in campo. Da una parte il fortissimo Padova, dall’altra una squadra ritornata tra i prof nel 2019, rappresentativa di un quartiere, Pergoletto, di un comune, Crema, della provincia di Cremona. Chi mai si sognerebbe di pensare che i biancoscudati possano non vincere e anche sul velluto una partita del genere?

E invece no. La serie C insegna, ancora una volta, che non c’è alcun risultato scontato. E che realtà dal nome poco altisonante sono perfettamente in grado di mettere in difficoltà quelle che gli addetti ai lavori chiamano “corazzate” o “piazze importanti”, così come ha fatto proprio la Pergolettese all’Euganeo portandosi in vantaggio e accarezzando per diversi minuti il sogno di fare lo sgambetto agli uomini di Pavanel, così come fece l’anno scorso l’Imolese all’esordio del campionato 2020-2021. La squadra di Lucchini è scesa in campo ordinata e compatta, dimostrando di conoscere molto bene i punti forti e i punti deboli del Padova, facendo assolutamente bella figura.

Dall’altra parte invece Ronaldo e compagni si sono ritrovati a doversi guardare negli occhi e a tirare fuori qualcosa in più, dal punto di vista soprattutto mentale. Si sono ritrovati a dover affrontare un altro dei fantasmi che ha caratterizzato la passata stagione ovvero l’incapacità di rimontare (se non in un’occasione, contro il Mantova all’andata) dopo essere andati sotto. Il fatto che siano riusciti a scacciarlo, grazie anche all’inserimento dei nuovi acquisti, dimostra che un altro passo fuori dalle difficoltà che hanno impedito alla squadra di andare in serie B è stato fatto.

Si tratta di un passo importante: essere riusciti a farlo alla seconda di campionato è fondamentale per piantare un’altra bandierina sul nuovo cammino e guardare avanti con più ottimismo. Ora il tifoso, se al Padova capiterà di andare sotto e di essere in sofferenza, non dovrà più pensare: “Ecco è il solito Padova”, bensì essere convinto che “Il Padova ha la forza tecnica e caratteriale per uscire dall’impasse in qualunque momento”. Si tratta di uno “scatto in avanti” fatto dalla squadra cui ora deve far seguito un altrettanto salto di mentalità della tifoseria.

 

LE SCORIE

Nei giorni immediatamente precedenti il debutto nel nuovo campionato, il neo allenatore del Padova Massimo Pavanel ha sottolineato più volte l’importanza di eliminare dalla testa dei giocatori “le scorie” lasciate dall’allucinante epilogo della passata stagione. Allucinante perché, a ripensarci, ancora adesso sembra impossibile che la squadra biancoscudata non ce l’abbia fatta, di fronte ad un Alessandria decisamente inferiore sul piano tecnico e sotto il profilo delle occasioni create nel doppio confronto della finale. Che Ronaldo e compagni non siano riusciti, nonostante il miglior attacco e la miglior difesa e soprattutto i 79 punti realizzati in stagione regolare, a chiudere i conti prima di arrivare all’ultimo rigore dell’ultima partita dei playoff. Ebbene, Pavanel ha avuto ragione da vendere quando ha deciso che lavorare dal punto di vista psicologico per lui sarebbe stato il primo obiettivo. Nella rivincita di Coppa Italia contro i piemontesi, ad agosto, è stato infatti evidente che quelle scorie rappresentavano l’ostacolo principale da abbattere, il terreno su cui lavorare. Non gli schemi di gioco, non il modulo, non la preparazione atletica.  Questa squadra andava risollevata mentalmente, visto che i pochi nuovi innesti, tutti di qualità, si sono inseriti in un gruppo che è rimasto quello e che quindi porta ancora negli occhi e nel cuore la delusione, il senso di frustrazione, la sconfitta immeritata.

E così è stato. Nei due mesi di preparazione, al netto di tutto quello che va fatto durante una preparazione, il nuovo tecnico è stato bravissimo ad alleggerire. A ridare fiducia. A far capire ai vari Della Latta, Chiricò, Ronaldo e Biasci, che è andata così perché doveva andare così, che le responsabilità arrivano fino a un certo punto, che l’imponderabile a volte ci mette del suo oltre l’umana comprensione. Contro il Renate si è vista una squadra rigenerata, rinnovata non negli uomini in campo, che sono più o meno rimasti gli stessi, ma nello spirito. E’ il primo anno peraltro che i cambiamenti, dopo un fallimento (di risultato non di prestazioni) della passata stagione, non sono così radicali nella rosa. Il direttore Sogliano ha capito che cambiare il condottiero, affidandosi ad un abile allenatore ma anche ad una persona in grado di capire le fragilità del momento, era la mossa giusta, senza bisogno di rivoluzioni tra i protagonisti in campo.

La vittoria per 3-0 a Meda è stata bellissima da vedere. Non solo per la qualità dei gol (Chiricò si riconferma un fuoriclasse, Ronaldo il regista perfetto del centrocampo e Della Latta un centrocampista con un incredibile fiuto per la rete) ma per l’atteggiamento di una squadra che ha saputo rialzarsi in piedi e che, anche se continua a tratti a soffrire perché è impossibile cancellare un brutto ricordo in pochi mesi, si è rimessa in bolla e ha capito che può dare ancora tanto. Tantissimo. Anzi tutto. Laddove per tutto si intende proprio quel risultato finale, la promozione, l’unico elemento mancante di una stagione che sarebbe stata da incorniciare altro che da dimenticare.

NEL SEGNO DELLA CONTINUITA’

Il Padova riparte da una società forte, solida. Una proprietà che, dopo aver giustamente versato lacrime amare per un traguardo solo sfiorato per ben due volte all’interno della stessa stagione, ha ora deciso di rialzare la testa e di tenere comunque alta l’asticella degli investimenti per ritentare il salto di categoria l’anno prossimo.

Il Padova riparte da Joseph Oughourlian, Alessandra Bianchi e Daniele Boscolo Meneguolo. Il Padova riparte dal suo direttore sportivo, Sean Sogliano.

In queste ore i dirigenti hanno parlato di razionalizzazione dei costi: giusto, giustissimo, perché si viene da un anno e mezzo in cui a farla da padrona è stata una pandemia, con un protocollo sanitario strettissimo da seguire, gli stadi vuoti e gli sponsor sempre più in difficoltà. Ma in cuor suo il tifoso può stare certo che questa società non lascerà nulla di intentato nemmeno nel torneo che inizierà il prossimo 29 agosto per raggiungere finalmente la tanto sognata (e meritata) serie B.

Sono contenta che si vada avanti nel segno della continuità. Anche io ero per la riconferma di Sean Sogliano. Onesta e sincera, non per quella di Mandorlini. E così è andata.

Spero che siano tanti, aldilà dei contratti ancora in essere, i giocatori dell’anno scorso che accettino di rimanere. Non mi immagino un Padova senza Ronaldo, senza Della Latta, senza Saber. E mi auguro vivamente che ci siano i margini (seppur al momento stretti) per riportare qui anche Mino Chiricò. Non tanto e non solo per i 10 gol e le prestazioni superlative, quanto per l’abbraccio che gli ho visto dare a Ronaldo a Meda dopo il primo gol segnato al Renate nella prima dei playoff. Questo gruppo, aldilà degli alti e bassi, mi ha convinto. E smantellare tutto sarebbe un grave errore, a mio avviso.

Non si dovrà tenere nessuno controvoglia, ma so per certo che, per ripartire, non c’è miglior benzina della rabbia trasformata in voglia di rivalsa, della delusione che diventa desiderio di riprovarci, della volontà di dimostrare di non essere quelli che ad Alessandria hanno pianto, sconfitti, ma quelli che in tante altre occasioni hanno festeggiato insieme una vittoria, ben sapendo di avere un conto in sospeso con un destino che prima o poi deve decidersi a mostrarci il pollice alzato.

Ecco, l’allenatore che verrà dovrà essere quello che cura queste ferite e le trasforma in nuove opportunità. Uno bravo sul campo, ma soprattutto nello spogliatoio, a guardare negli occhi questi ragazzi e ritrovarvi dentro il sacro fuoco della voglia di vincere. Di cancellare quel che è stato con un campionato che, partendo da zero, torni a regalare gioia e soddisfazione alla piazza così come a ciascuno di coloro che torneranno a scendere in campo con la maglia bianca e lo scudo cucito sul petto.

UN DESTINO CRUDELE, OLTRE OGNI DEMERITO

Il Padova inciampa sull’ultimo gradino della scalinata per la serie B. Costretto a fermarsi fuori dalla porta e a lasciar entrare l’Alessandria a causa di un errore al quinto rigore, quello decisivo. Andrea Gasbarro, che pur aveva fatto di tutto per rientrare in tempo utile dopo un infortunio, non ha inquadrato lo specchio della porta e su quel palo sfiorato si sono spenti, dopo lungo inseguire, i sogni del Padova. I sogni di Padova. Una città che, nonostante le restrizioni di una pandemia, ha fatto di tutto per tirare la volata alla sua squadra del cuore, per farle sentire tutto l’affetto, tutto l’appoggio in un campionato che si è rivelato lunghissimo ed estenuante. Un campionato che si poteva, anzi, si doveva vincere prima, quando i punti di vantaggio sulla diretta promossa Perugia erano 6 a 5 giornate dalla fine. Un campionato che poi ha offerto la possibilità dei playoff ai biancoscudati, spareggi che si sono rivelati però velenosi proprio in coda, all’ultimo atto, quando sembrava che il destino si fosse finalmente messo dalla parte padovana. Ad Alessandria ha potuto presenziare nella piccola curva ospiti solo un centinaio di tifosi che alla fine erano stremati quanto i giocatori: tante le lacrime versate, troppo grande la delusione per un obiettivo che è stato così vicino per ben due volte nella stessa stagione ma che è sfumato all’ultimo secondo.

“Ci rialzeremo, come sempre. Forza Padova, nei secoli”, mi ha detto un tifoso poco prima di lasciare la curva ospiti del Moccagatta. Non ho il minimo dubbio che sarà così. Ma la ferita sanguina ancora e ci vorrà del tempo per far sì che si rimargini. Quella che ha vissuto il Padova è stata una sconfitta sportiva, certo, ma non solo: tutta la città piange ora un traguardo mancato, che poteva portare entusiasmo e nuova linfa anche dal punto di vista del prestigio e dell’immagine di Padova. Sugli spalti del Moccagatta c’erano anche il sindaco Sergio Giordani e l’assessore allo sport Diego Bonavina, in trance agonistica per l’intera partita e alla fine amareggiati e delusi per la crudeltà del verdetto.

Impossibile anche per noi trattenere l’emozione e le lacrime dopo 44 puntate di “Alè Padova” trascorse a raccontare le imprese biancoscudate in ogni momento della giornata, in ogni orario e in ogni stadio, sperando nel giusto epilogo finale.

Le uniche parola di speranza sono uscite dalla bocca del capitano, Ronaldo. Chi rimarrà dovrà far tesoro di quello che è successo e ripartire proprio da questa rabbia, ha detto mentre l’Alessandria festeggiava la serie B e il Padova rimaneva immobile, incredulo, di fronte ad un pugno così forte in faccia da parte del dio del pallone. Non si sa chi e come ripartirà. Si sa solo che ad accompagnare l’inizio della nuova stagione ci sarà una curva a bordo campo cui ora i tifosi guardano come alla luce più intensa per illuminare forte il futuro cammino biancoscudato.

UNA NUOVA GRANDE CONSAPEVOLEZZA

Manca ancora un ultimo atto, un ultimo respiro da fare a pieni polmoni e con il massimo della determinazione possibile per conquistare la serie B.

Non sarà facile espugnare il “Moccagatta” contro l’Alessandria visto domenica all’Euganeo, una squadra che se attaccata alta va in difficoltà ma se trova un po’ di spazio in due passaggi è capace di ritrovarsi pericolosamente a tu per tu con il portiere Dini, ma il Padova ha tutto quel che gli serve per poter portare a compimento l’impresa. I tifosi sono stati splendidi anche ieri durante la partita sugli spalti finalmente di nuovo colorati di festa e tifo e poi nell’aspettare i biancoscudati alla fine gara per dare loro tutta la carica possibile, ma la consapevolezza di essere forti, di essere stati costruiti per vincere il campionato e di non esserci riusciti aldilà dei propri oggettivi demeriti, i giocatori l’hanno riscoperta innanzitutto dentro di loro.

Il mese intercorso tra la fine del campionato e l’inizio degli spareggi promozione ha dato al Padova nuova linfa vitale. Il fatto di non giocare subito dopo la grande delusione per la mancata promozione diretta nel testa a testa col Perugia poteva essere un pericoloso boomerang e invece la società lo ha trasformato in opportunità gestendo il lungo periodo senza partite ufficiali con intelligenza e lucidità. La squadra ha lavorato insieme sul campo per preparare in ogni dettaglio le ultime partite, ma si è anche ritrovata fuori dal campo, in piscina ad esempio, ma anche con le famiglie, in momenti di aggregazione e svago che hanno fatto benissimo allo spogliatoio. Anche l’allenatore Andrea Mandorlini si è lasciato definitivamente alle spalle i momenti di difficoltà e non sta sbagliando un colpo sia nella scelta degli uomini da mettere in campo (azzeccatissima la decisione di spostare Ronaldo sulla trequarti nelle due sfide di semifinale con l’Avellino ad esempio) sia nell’inatteso cambio di modulo: il 3-5-2 visto contro l’Alessandria si è dimostrato molto efficace, mettendo in evidenza la capacità di lettura del tecnico ravennate nel momento cruciale della stagione.

Giovedì al Moccagatta ci si gioca tutto, ancora una volta, come dicevo tempo fa, fuori casa, come è stato a Busto Arsizio nel 2009, come è stato a Legnago nel 2015, come è stato a Cremona nello spareggio per andare in A nel 1994 e a Firenze nello spareggio per salvarsi in A nel 1995. Nulla è scritto o scontato. Quest’ultimo difficile chilometro il Padova lo dovrà fare ancora una volta al massimo dei giri del suo motore senza togliere mai il piede dall’acceleratore. Sarà l’ultima impresa dell’anno e i biancoscudati che hanno finalmente ritrovato loro stessi hanno le armi, tecniche, tattiche e caratteriali, per portarla a casa. Avanti scudati!

IMPECCABILI, PERFETTI. DI PIU’: EROICI

Ha tutte le caratteristiche dell’impresa la vittoria conquistata al Partenio dal Padova di Andrea Mandorlini.
Si sapeva che sarebbe stata dura vincere in un campo così difficile, in un ambiente così caldo, in uno stadio violato l’ultima volta a fine 2020, ma il Padova ha fatto ben più che giocare una partita al massimo delle sue potenzialità, buttando in campo tutto quello che aveva.

Il Padova, messo stavolta nella condizione di poter esprimere appieno il suo bagaglio tecnico-tattico da una direzione arbitrale che ha impedito fin dai primi minuti il degenerare della sfida sul piano degli eccessi e dell’estrema fisicità (come purtroppo era stato all’Euganeo domenica scorsa), ha portato a casa la vittoria soprattutto grazie ad una gestione “mentale” impeccabile. I giocatori, che nella sfida di andata erano caduti più volte nelle provocazioni lanciate appositamente dall’Avellino per innervosirli e indurli all’errore, hanno avuto stavolta il grande merito di mettere la gamba quando era da mettere ma anche di non farsi travolgere in situazioni potenzialmente pericolose.

Quanto i biancoscudati avessero in pugno la partita dal punto di vista caratteriale, quasi emozionale, si è capito a fine primo tempo, quando hanno aspettato che fossero gli avversari a imboccare per primi il tunnel dell’uscita dal campo. Ronaldo e compagni si sono riuniti a centrocampo e hanno atteso qualche minuto prima di guadagnare la strada degli spogliatoi di modo da non farsi prendere in “contropiede” da provocazioni, buffetti, spintine o altri simili trattamenti che si erano visti nel tunnel dello stadio di Padova nel match d’andata.

Eravamo di fronte a una semifinale, quella di ritorno, quella da dentro o fuori. Non era semplice mantenere i nervi saldi in ogni momento, in ogni frangente, in ogni situazione, in ogni contesto, in ogni decisione. E i nostri sono stati addirittura eroici, coniugando una partita praticamente perfetta soprattutto quando è stata ora di sbarrare la via dell’attacco all’Avellino ad un atteggiamento maturo, sereno, consapevole.

Una lucidità e una carica che fanno “pendant” con la ritrovata carica di Andrea Mandorlini, l’artefice principale di questo dirompente ritorno in pista di Ronaldo e compagni che finalmente sono riusciti a lasciarsi alle spalle il pesante fardello della mancata promozione diretta e possono ora giocarsi la risalita in B in finale contro l’Alessandria.

LE IMPRESE, QUELLE BELLE, SEMPRE FUORI CASA

Ci ho messo un po’ a riordinare le idee. Mi sono guardata e riguardata gli highlights della partita tra Padova e Avellino un sacco di volte. E sono andata a rivedermi anche un episodio che, nella sintesi della gara, non è stato inserito ovvero la gomitata di Dossena su Della Latta che poteva cambiare il corso della partita in favore del Padova se fosse stato sanzionato a dovere. Staremmo parlando di un’altra partita anche se fosse stato dato ai biancoscudati il rigore (netto) su Chiricò. A velocità normale e a velocità rallentata il risultato non cambia: Tito è in ritardo netto sull’esterno di Mesagne che gli sta sgusciando via e lo spinge di brutto. Se per l’arbitro Cosso di Reggio Calabria era rigore quello concesso per la manata più plateale che cattiva di Della Latta su Maniero allora il metro di valutazione doveva essere lo stesso anche nell’episodio di sponda Padova.

Inutile girarci tanto attorno: per me, lo dico chiaramente e lo sottoscrivo, il Padova ha fatto una grande partita. I giocatori hanno disputato un grandissimo primo tempo, portandosi meritatamente in vantaggio, e solo un rigore più che dubbio ha piegato la loro resistenza. Momentaneamente peraltro perché poi, nel finale di secondo tempo, quando la stanchezza e i crampi la stavano facendo da padroni, è stato di Ronaldo e compagni il sussulto d’orgoglio finale con 4 calci d’angolo battuti consecutivamente e due occasioni nitide non realizzate per una questione di pochi centimetri.

Il direttore di gara non è stato assolutamente all’altezza della situazione: va detto che ha permesso agli irpini di fare esattamente la partita che volevano fare, buttandola sulla provocazione e sulla fisicità spinta. Già non doveva permetterlo in partita questo tipo di atteggiamento l’arbitro, figuriamoci quando, a fine primo tempo, le provocazioni sono continuate mentre il Padova guadagnava il tunnel degli spogliatoi: proprio in quella circostanza ci siamo resi conto che sarebbe stata davvero durissima avere la meglio. Mercoledì ci vorrà molto più polso e molta più personalità per dirigere la semifinale di ritorno: il Padova non merita di uscire di scena ancora una volta per torti esterni che, come il fallo di mano di Gomez a Trieste, non c’entrano nulla con le prestazioni e i gol non fatti sul campo.

Ciò premesso (e scusate ma era davvero doverosa questa premessa, quando ci vuole ci vuole), il Padova è chiamato ancora una volta nella sua storia ad essere più forte di tutto e di tutti. E’ perfettamente in grado di andare ad Avellino a vincere, fosse anche all’ultimo calcio di rigore, e dovrà fare di tutto per riuscirci. Quella stessa sua storia peraltro in questo momento rema assolutamente dalla sua parte e insegna che le imprese più epiche questa squadra le ha fatte proprio in spareggi all’ultimo sangue e sempre fuori casa.

Nel 2009, dopo due pareggi casalinghi contro il Ravenna in semifinale e la Pro Patria in finale, il Padova è andato a vincere sia al “Benelli” che allo “Speroni”: e nella finalissima che ha vinto grazie alla doppietta di Di Nardo è rimasto in dieci alla fine del primo tempo per l’espulsione di Di Venanzio da parte dell’arbitro Nasca di Bari. Nel 2010 ai playout, dopo lo 0-0 all’Euganeo, è andato a vincere 3-0 a Trieste con i gol di Vantaggiato, Cuffa e Bonaventura. Se poi andiamo indietro nel tempo agli anni Novanta lo spareggio per andare in A lo ha vinto sul neutro di Cremona contro il Cesena nel 1994 e l’anno dopo si è salvato contro il Genoa a Firenze.

Stavolta la meta designata è Avellino e siamo di fronte alla semifinale: ci sarebbe un ulteriore scoglio da superare poi. Ma fermiamoci per un momento qui: già fare l’impresa in un campo difficile e un ambiente caldissimo come quello del Partenio riscriverebbe la storia di questa maledetta stagione.

E’ nelle situazioni più ardue che la squadra che più amiamo è in grado di tirare fuori risorse insperate. Incredibili. Inesauribili. Sarà così anche stavolta. Ne sono più che sicura.

IL SEGNO DEL DESTINO

Fosse finita 0-3 con passaggio del turno da parte del Renate starei per scrivere un papiro. Una colata di cemento di parole con l’analisi di una sconfitta clamorosa, di un’eliminazione incredibile. Dell’ennesimo episodio della storia che condanna il tifoso del Padova ad una sofferenza senza fine, anche quando sembra che le cose si incanalino sui giusti binari.
E’ invece terminata 1-3 e ad andare in semifinale con l’Avellino sono proprio i biancoscudati.

Questo mi mette nella condizione di poter evitare giudizi definitivi e di prendere a spunto le parole pronunciate da Ronaldo nel dopo partita. “Lo prendo come un segno del destino il fatto che si sia dovuto soffrire così per arrivare alla semifinale, si vede che comunque toccava a noi andarci” ha detto il capitano, ripreso poi anche dall’allenatore Mandorlini che credo, allo 0- 3 del Renate, che si sia visto passare davanti agli occhi l’intero film della sua vita da allenatore senza trovarvi nulla di simile prima d’ora.
Ecco, bravo Ronnie. Facciamo in modo che questo segno vi resti nel cuore e nella mente fino alla fine per evitarvi altri paurosi cali di tensione come quello che si è visto nella ripresa della gara contro il Renate. Facciamo che d’ora in avanti non si dà nulla per scontato, neanche un’ampia vittoria nella partita di andata. Facciamo che d’ora in avanti non si gestisce più nulla e ogni goccia di sudore deve essere indirizzata a fare la partita e non a cercare di amministrare qualcosa di acquisito.

Mancano potenzialmente “solo” 4 partite. Ce la possiamo fare a non dimenticare così velocemente il grande insegnamento di questo 2 giugno 2021.