La situazione è la stessa. Da anni, anzi forse da sempre. Da queste parti senza sofferenza non siamo andati mai da nessuna parte, nemmeno in serie A nel 1994, quando per poter mettere il piede nell’olimpo del calcio siamo dovuti passare per uno spareggio contro il Cesena, nel quale partivamo da squadra sfavorita, conquistando il lasciapassare per quell’ultimo atto all’ultimo secondo. A Padova non conosciamo né mezze misure né strade senza ostacoli. Le rare volte in cui i risultati sono arrivati non dico in carrozza ma comunque senza particolari intoppi poi si è pagato dazio nella stagione successiva.
Ebbene: eccoci ancora una volta nella situazione di dover rimettere insieme idee e pensieri improvvisamente confusi e poco lucidi, di dover raccattare dai gradini della tribuna del Braglia le braccia che ci sono cadute, di dover suggerire alle dita, davanti alla tastiera del computer, parole che abbiano un senso.
Difficile trovare parole con senso di fronte a un Padova così senza senso. La squadra di Mandorlini è scesa in campo con la sconfitta già dipinta negli occhi. Con paura, con tensione, col carico messo dalla straripante vittoria del Perugia di sabato a Ravenna. Perugia che ora ha agganciato i biancoscudati in vetta ed è primo in virtù di uno scontro diretto che si è capito fin da subito a suo tempo quanto a caro prezzo l’avremmo pagato. Dispiace constatare che l’impressione avuta dagli spalti è confermata dagli highlights: le immagini, a mandarle avanti e indietro dieci volte, non fanno altro che mostrare che già dopo il primo gol di Luppi la rassegnazione regna sovrana negli occhi dei giocatori. Incapaci di reagire da grande squadra quale hanno mostrato a lungo di saper essere.
Purtroppo non è da Modena che l’atteggiamento da rullo compressore della squadra è cambiato. E’ così da un po’. A Trieste, pur perdendo con un gol irregolare segnato con la mano da Gomez, il Padova ha fatto mezzo tiro in porta in novanta minuti, dunque non avrebbe meritato nulla più del pareggio. Pure col Ravenna, la settimana prima, se non la sbloccava Hallfredsson con un tiro da fuori, si sarebbe fatta assai dura. Col Gubbio, infine, se non era per quel rigore caparbiamente cercato e trasformato da Chiricò e per le parate salva risultato di Dini nel primo tempo staremmo qui a parlare di una partita decisamente diversa.
A precisa domanda, l’allenatore in sala stampa a Modena ha risposto che non sa darsi lui per primo una spiegazione per questo vero e proprio naufragio. Per questo crollo. E se non sa lui cosa è successo ai suoi ragazzi, lui che li allena tutta la settimana dalla scorsa estate, allora cosa possiamo dire noi che, causa Covid, peraltro, non possiamo nemmeno assistere agli allenamenti?
Nulla. Se non augurarci che non sia troppo tardi. Il Padova ora più che mai è a un bivio: o dal fondo che ha toccato contro i canarini si dà una spinta verso l’alto di quelle decise e torna ai livelli mentali e di gioco che ha dimostrato e che può continuare a dimostrare vista la grande qualità della rosa o inizia a scavare e finisce ancora più in basso. Alla squadra (e al suo allenatore) la scelta. Sperando, appunto, che le dirette inseguitrici, che in queste settimane brave son state a buttarla sulla pressione mediatica facendo sentire il Padova come la squadra che aveva più da perdere, un colpo almeno lo perdano.
Chissà magari a ritrovarci nella situazione di quelli che devono inseguire magari rispolveriamo la voglia di mostrare le unghie e i denti…