LA MIGLIOR MUSICA È IL SILENZIO

La piazza si ribella a Setti. Qualcuno ha scritto: “Finalmente!”. Sbagliato: la protesta arriva puntuale e al momento giusto. Non doveva essere prima, non doveva essere dopo. Perché oggi a dare credibilità e autorevolezza alla rivolta della Curva Sud e delle altre parti del tifo organizzato (dal Primo Febbraio al Coordinamento, fino al settore Est) è la maturità e la compostezza dimostrata sino a oggi.

Mi viene in mente quel passo della Bibbia: “Temete l’ira dei mansueti”. E sono il silenzio e la tregua di questi anni a rendere ancora più forte ed espressiva la ribellione di oggi. Una ribellione pensata nel modo più intelligente e impattante: lo stadio deserto. Nella sera in cui ci sarà la diretta Rai. Strategicamente e politicamente la tempesta perfetta.  Come fu indovinata e ad effetto l’uscita dallo stadio anticipata della curva dopo la vergognosa sconfitta con il Crotone nella scorsa stagione.

Non serve oggi abbaiare alla luna. Lascerebbe il tempo che trova qualsiasi gesto isolato ed estemporaneo di protesta. Sarebbe rabbia ottusa, impalpabile isteria, un grido represso e stanco.  E, ovviamente, sarebbe da condannare qualsiasi atto di piccola o grande violenza; quella lasciamola alle masturbazioni verbali da social. Mentre è straordinariamente significativo ed evocativo lo stadio vuoto, ispirato al metodo  della disobbedienza civile gandhiana. Una forma di protesta raffinata, inattaccabile, potente. Con un vecchio e sempre eterno principio che ritorna: a volte la miglior musica è il silenzio.

 

HA VINTO SETTI

Il castello di carta della (cattiva) propaganda si è disintegrato. Ed era pure prevedibile. Ecco, non pensavo così in fretta, non credevo che la caduta sarebbe stata così subitanea e clamorosa. Ma che il Verona paghi oggi gli errori estivi (qui anticipati) è acclarato: poche spese, l’improvvisazione di Setti, la debolezza di di D’Amico, l’inadeguatezza di Grosso e di una squadra costruita (al di là di qualche nome) male, con doppioni e ruoli scoperti, senza razionalità e in parte sull’onda delle occasioni in saldo di qualche squadra fallita. Gli stessi errori di presunzione dell’anno precedente, né più né meno. Ma con l’aggiunta di una fake news: Verona corazzata del campionato. Ma quando mai?

Ma qui – Grosso o non Grosso – l’origine di tutti i problemi resta Setti. E siamo sempre lì:  si può fare calcio senza veri investimenti? Si può amministrare una società di calcio non considerando la parte sportiva prioritaria (“prima il bilancio”)? Che senso ha? Possibile che nel Verona manchi un direttore generale e che il direttore sportivo sia un giovane novizio? Possibile che ci devono pure prendere in giro con dichiarazioni marziane (vedi D’Amico e Grosso che hanno detto che “l’inizio di campionato è stato al di sopra delle aspettative”, io ricordo un tristissimo pari casalingo con il Padova e una vittoria a tavolino).

Eppure anche la piazza deve fare autocritica. Dove sono finiti quelli che in estate ci insultavano sui social semplicemente perché avevamo il viziaccio di raccontare la verità? Dove sono quelli che “hanno fatto bene a togliervi l’accredito”, come se il torto lo subissimo noi e non lo stesso tifoso che ha il diritto a una vera e plurale informazione (noi siamo solo strumenti)? Vorrei sapere dove albergano ora quelli che “voi criticate sempre, avete rotto” (dovevamo applaudire l’orribile spettacolo?). Non li vedo più, spariti, volatizzati.

A Verona, forse, dovremmo un po’ maturare: imparare a distinguere il tifo dall’esercizio di critica. E questa società da quello che è il nostro Verona. Altrimenti ha ragione Setti e così vince davvero tutto lui. Anzi, ha vinto lui.

 

 

PROFESSIONISTI ALLO SBARAGLIO

Buone notizie. Abbiamo tirato in porta due volte. Un netto miglioramento dopo gli zero tiri di Ascoli. Sono soddisfazioni. E, si sa, un nuovo tormentone è per sempre: Grosso – che ha messo in cantina il mitico refrain pecchiano del “siamo in crescita” – da un po’ di tempo ripete stancamente un “dobbiamo migliorare” che detta così, senza una dannata spiegazione del dove e come, non significa assolutamente nulla. Un’analisi talmente originale e profonda da far rimpiangere qualsiasi domanda di Marzullo a mezzanotte.

Buone notizie. Cinque i punti nelle ultime sei partite (il Verona), ma il Mantova è primo. Risuona quel vecchio spot dell’amaro: che volete di più dalla vita?

Buone notizie. Le fabbricano gli ottimisti di professione. Sospetti troll, o trinariciuti da togliere il fiato.  Sono quelli che  da due anni, nonostante il fondo pietoso toccato più volte, vedono il bicchiere mezzo pieno sempre e comunque. A prescindere, avrebbe detto Totò.  Solo pochi giorni fa (prima di Ascoli) dicevano puntuti: “Eh ma siamo secondi, di che vi lamentate?”. Ora che rischiamo di scivolare in 4°-5° posizione e di allontanarci dalla vetta ci spiegheranno che i play off sono alla portata. Non fanno bene al Verona.

Buone notizie. Mandorlini in sala stampa si è incazzato con un collega di Cremona. Ho sorriso, è sempre meravigliosamente lui. Che nostalgia, gli scazzi con lui erano leali. Pane e salame. Oggi tutto è ovattato, cupo e indifferente. Non c’è scontro perché non c’è passione.  E’ tutto uno scoglionamento e non ci s’incazza nemmeno più. Scivola via tutto, nell’imperturbabilità. Frasi di circostanza che generano sonnolenza e sbadigli. Mi chiedo solo: mentre le pronunciano, in cuor loro, non provano un po’ d’imbarazzo? Recitano (male) il loro lacunoso copione. Sono piccole e mediocri comparse capitate inopinatamente su un palcoscenico, Verona, più grande di loro e che non meritano.

Professionisti allo sbaraglio. Preferivo i dilettanti di Corrado.

 

CI MERITIAMO SETTI?

Zero-tiri-zero. L’incipit è rivelatore e assoluto. C’è da aggiungere altro? No, perciò la tentazione è di utilizzare lo straordinario metodo  del sommo “Scriba” Gianni Clerici, che una volta a Wimbledon – dovendo commentare un vuoto 6-0 6-1 – non sapendo come riempire la consueta paginata di Repubblica senza propinare un pastone di banalità ai lettori, scrisse un meraviglioso racconto sulla gambe di una tennista.

Noi ahimè non possiamo: non siamo Clerici e ieri ad Ascoli non c’erano belle gambe da celebrare. Dunque, scusate la noia,  ci tocca raccontare del solito Verona di Grosso: lezioso, velleitario, sonnolento, ridondante e narcisista. Un campionario di tutto quello che non serve per vincere le partite. Il tecnico sta confermando tutti i suoi limiti di Bari, né  più né meno.  O forse, e sarebbe il caso, potremmo disquisire del solito Verona di Setti: zero investimenti degni di nota, zero passione e un eterno vivacchiare sperando sempre nella mediocrità generale e non nelle proprie capacità.

Già perché ora non si cominci la battaglia dell’ovvio, cioè il tiro al bersaglio a Grosso come fu con Pecchia. Sia chiaro, in questo spazio ho manifestato fin dalla scorsa estate – in mezzo alla consueta grancassa celebrativa –  le mie forti perplessità sull’allenatore e pure sulla squadra, costruita con qualità sparsa ma senza logica, doppioni e ruoli scoperti. Inutile guardare ai 3-4 nomi buoni, il calcio non è come le figurine. Ma chiedo: ce la prendiamo con Grosso e D’amico (a proposito dov’è?), o con chi li ha messi lì? Nei mesi scorsi avvertivo del clima oppiaceo e di facile rimozione che si percepiva in città tra i mass media e parte della tifoseria. Scrivevo che non ci faceva bene dimenticare la vergogna della recente retrocessione (sommata a quella di tre stagioni fa).

Grosso mi pare inadeguato per la nostra piazza e il nostro obiettivo (ma vogliamo davvero tornare in A?), così come lo era Pecchia. Ma la domanda vera e sostanziale è sempre quella: Setti è adeguato al Verona? Ce lo meritiamo? Lui legittimamente porta avanti il suo metodo, ma è altrettanto legittimo che qualcuno là in alto in città lo legittimi? Non è uno scioglilingua, è la domanda.

 

BASTERÀ COSÌ POCO?

E’ un potere che si nutre sull’altrui debolezza quello del Verona. E ancora non realizzo se questo sia un sollievo o una preoccupazione.  Questa serie B è miseramente imbarazzante per la sua insipida sciatteria e il patetico balletto di ricorsi e contro-ricorsi sulla B che non si sa (ancora! dopo 9 giornate!) se sarà a 19 o 22 squadre attesta il livello di degrado del mondo che ci sta attorno.  E così anche il nostro Hellas, pur costruito con casuale qualità in estate e con un gioco soporifero, riesce a resistere nei quartieri alti di questo nulla.

Questa è la serie B e questo è il Verona, diremmo per sintesi. Basterà? Ancora non l’ho capito. La nostra classifica non è ancora specchiata e pura. A Cosenza abbiamo vinto a tavolino perché manco avevano il campo pronto, abbiamo maturato due deludenti pareggi con squadre di bassa classifica come Padova e Venezia, con il Perugia – altra compagine di modesto cabotaggio – ci ha tenuto in piedi Silvestri sennò era un altro pari. Abbiamo perso con le uniche due squadre tre le prime otto (zona play off) incontrate.  Togli il convincente exploit di Crotone,  in un calcio normale oggi non potremmo definirci competitivi per tornare in serie A. Ma questo, questa B intendo, è un calcio normale?

Potremmo scriverne tante di cose. Potremmo consigliare a Grosso di pensare meno all’accademia e alla teoria e di diventare più camaleontico e pragmatico nel suo modo di proporre gioco. Potremmo continuare a ripetere che Setti investendo poco gioca eternamente con il fuoco e ci complica la vita (e questo lo scopriremo cammin facendo, quando incroceremo avversarie più degne). Ma poi torniamo lì, alla solita domanda. questo è un calcio normale? E allora forse ha ragione Setti. Chi gli lo fa fare di spendere, quando può bastare così poco? A cosa serve investire se il resto è declino?

MONDO PARALLELO

E’ tutto così surreale. E pure stancamente virtuale. C’è una distanza siderale tra il mondo che è e quello che ci vengono a raccontare. Pubblicamente si celebrano: tagli del nastro, inaugurazioni, narrazioni retoriche e del tutto vacue, annunci di centri sportivi di proprietà poi abortiti, ora pure dibattiti su stadi londinesi avveniristici. Ci proiettano un futuro che non esiste. Ma la realtà poi si ripresenta, ogni volta puntuale e uguale a se stessa, già da qualche anno. Il Verona non sboccia, anzi regredisce e appassisce lentamente. In campo e in società, con i soliti errori, la consueta presunzione, l’eterno vuoto di passione e carisma, l’annoso deficit di investimenti, esperienza e competenze. La mediocrità è il risultato, in completa assenza di qualsiasi slancio (emotivo, calcistico, progettuale).

Dove stiamo andando? Dove sta andando il Verona? In campo basta un modestissimo Venezia a confermare (dopo Salernitana e Lecce) le fragilità di cui sospettavamo già in sede di mercato e di scelta dell’allenatore. Gioco monocorde, lo spartito è sempre quello, la prevedibilità è un marchio di fabbrica, i cali alla distanza una costante. Ruoli scoperti, caratteristiche specifiche assenti, equivoci di fondo fanno il resto. In società da anni ci ripetono che conta il bilancio, poi però hanno spiegato che i conti erano stati finalmente sistemati, eppure a fronte dei cospicui introiti ancora non si scorge una seria politica di investimenti. Il piccolo cabotaggio non è bastato ovviamente a salvarsi l’anno scorso, sarà sufficiente a risalire in serie A quest’anno? Speriamo, la bruttezza della B può essere un’alleata, ma perché giocare sempre con il fuoco?

Vorrei capire il senso di tutto questo. La prospettiva. Eppure tutto scorre come se niente fosse in città. Chi glielo spiega a quei 1300 che si sono fatti ore ieri sotto acqua, grandine e vento al Penzo? Cosa diciamo loro? Ce ne approfittiamo perché il loro amore incondizionato per il Verona (non per la dirigenza) li porta a cantare nonostante tutto? Perché dopo una settimana di lavoro hanno pure il sacrosanto diritto di godersela, stare insieme, essere comunità gialloblu?

Ma niente paura. Nessun problema. Perduto per sempre il modello Borussia che fieri vagheggiavamo come un grande amore, ora ci rifaremo presto una nuova vita  aspettando sognanti lo stadio del Tottenham. E’ il mondo parallelo su cui gravitiamo. Ci salverà dalla realtà?

IL NEMICO INVISIBILE E PERICOLOSO

Cronache surreali dal pianeta Verona. Condannati a vincere, ma pare non freghi a nessuno. Il Verona di Grosso è ancora nel limbo, manca ancora di una sua precisa identità e pare difetti in personalità. Ma nell’ambiente tutto scorre inerte e indifferente.

Non c’è slancio in Setti, che qualche collaboratore sembra voglia convincere a venire a vivere  a Verona per “ripulirsi” un po’ l’immagine. Ma Setti, che ha tanti difetti, certo non pecca di ipocrisia. Cioè lui a volte vorrebbe fingere, ma proprio non gli riesce. Un libro aperto. Intendiamoci, ci ha provato a fare un po’ il ruffiano il presidente, tra lettere alla Totò e Peppino e video fiume più lunghi di un comizio di Fidel Castro ai tempi belli, ma i nefasti esiti li conosciamo. Gli hanno creduto giusto quei 3-4 giornalisti sempre proni. Sono soddisfazioni. Ebbene, Setti è tornato sottocoperta: investimenti e carisma gli eterni assenti.

Non c’è slancio in Grosso: arrendevole nella voce, remissivo nella posa, superficiale nell’analisi pubblica dopo il ko con il Lecce. L’ho scritto dopo la sconfitta di Salerno: è un errore pensare che la tattica e la teoria siano tutto, è esiziale credere che si vinca solo in un modo, è pericoloso dare per scontato che bastino le proprie convinzioni. Nel calcio non si vince sempre con le proprie idee, a volta bisogna saperle mettere in discussione. Il Verona di Grosso è ancora accademia, ma poca sostanza e nervo. Come il Bari di Grosso. Caro mister, dia segnali di vita: lo tiriamo fuori un po’ di carattere?

Non c’è slancio nella gente: in chi si è abbonato e in chi ha rinunciato, senza distinzioni. Chi va allo stadio va per sentirsi comunità con gli altri tifosi, non certo per la partita. C’è chi manco la guarda. Ed è comprensibile. Infatti il Verona è rimasto solo nell’essenza dell’appartenenza del popolo gialloblu in quanto tale. Il resto credo stia lentamente morendo.

C’è un indifferenza nell’aria. Che si vinca, che si perda, che sia A o B. E il mood dell’era Setti. Servirebbe una botta di vita: lampi, tuoni saette, qualcosa che scuota. Il nulla è il nemico più invisibile e pericoloso.

VERREMO A PATTI CON IL MONDO REALE?

Il Verona è ancora un libro da leggere. Lo sviluppo della trama è un inedito da seguire.

Ci sono alcune certezze: tre-quattro giocatori, come dicevamo, sopra la media della categoria. C’è il solito equivoco (Pazzini) su cui fatico a soffermarmi perché non voglio alimentare un dibattito che non c’è (il Pazzo se sta bene – e sta bene – deve giocare). E due questioni (chiamateli dubbi) che rimangono sospese e che solleviamo dalla scorsa estate: la squadra è bene assortita? E Fabio Grosso, bravo nella tattica e nella didattica, è l’uomo giusto sul piano motivazionale e gestionale? Ha la sufficiente elasticità per vincere un campionato?

Sono ancora troppo poche le partite per giudicare, in un senso o nell’altro. Ma se la vittoria di martedì con lo Spezia ha mostrato un Verona solido sul piano dell’organizzazione, la sconfitta di Salerno svela per ora un deficit di personalità, che poi si traduce anche nella capacità di portarsi a casa punti nelle partite sporche, quelle incerte, poco intelligenti ma molto furbe. A Bari, Grosso ne ha perse molte di queste.

Il Verona  oggi è ancora troppo poco “bastardo”. E’ forse anche un limite del suo allenatore, che deve evitare l’errore tipico dei neofiti rampanti della panchina: pensare che il gioco, la tattica, la teoria siano tutto; credere che si vinca solo in un solo modo; dare per scontato che bastino le proprie convinzioni.

Il calcio ha anche un suo canovaccio imperfetto e inopinato, che bisogna saper leggere di volta in volta e alla svelta. Il vero pericolo è fissarsi nella propria etica e non voler scendere a patti con la realtà.

LA TRAPPOLA DA EVITARE

L’exploit di Crotone è uno di quelli che possono segnare una stagione. Per tre motivi.  Il Verona vince e convince a casa di una diretta concorrente. Il Verona, non da meno, conferma quanto di buono dimostrato la settimana scorsa con il Carpi. Il Verona si impone senza i suoi due attaccanti più forti.

C’è un senso di coerenza e legittimazione nelle due vittorie: non improvvisazione, fato, affanno, inerzia. Grosso dopo il passo falso con il Padova ha sistemato un paio di cose e sta trovando per la strada un suo disegno d’insieme. Non ci sorprende perché la didattica e la tattica – come abbiamo già sottolineato – sono da sempre i suoi punti forti. Tuttavia ci conforta, perché il tecnico nel frangente ha mostrato lucidità e sagacia. Il resto lo fa una squadra che probabilmente rispetto a molte altre  (se tutte staremo a vedere, rimango cauto) ha un tasso tecnico decisamente superiore con 4-5 giocatori fuori concorso (possono bastare e avanzare in B se gli altri fanno il loro).

Tutto bene? No, ovviamente. Il dilemma semmai è la tenuta, qualità nella quale il nostro allenatore in passato non si è mai distinto. E’ la distanza la prova del nove, sia nella partita che nella stagione. Il Verona è strutturato per arrivare in fondo? Intendo come mentalità, caratteristiche e organico nel suo complesso (al di là dei fuori concorso). Ora la differenza la fa mentalità: la vittoria di ieri può regalare convinzione, ma anche fotterti di presunzione. Il confine tra autostima o ego,  tra fiducia o vanità è labile e da non varcare. E’ questa la trappola da evitare.

 

LA MALEDIZIONE DEGLI UOMINI È CHE ESSI DIMENTICANO

E fu così che venne giù il castello. Delle ipocrisie, delle balle sesquipedali, delle mezze frasi da comari: “Eh ma Pazzini non si allena…”. Pazzini, beninteso, che per lor signori (i reggi-microfono) era finito. Perché guai a disturbare il conducente, sia mai.  E il conducente, si sa, il Pazzo lo voleva cedere (l’anno scorso, pur di liberarsene, lo si è dato in prestito accollandosi buona parte dell’ingaggio). L’altro giorno, per dire, in conferenza stampa non ho sentito una domanda che sia una a Grosso su Pazzini, che è ancora il giocatore più pagato e  titolato dell’intera rosa. Eppure era come se non esistesse. Di più: per i leoni da tastiera che si sono scordati…troppo in fretta (una fretta sospetta), eravamo noi di questa testata a montare ad arte il caso.

“La maledizione degli uomini è che essi dimenticano” diceva il Mago Merlino. Pure a Verona qualcuno ha già dimenticato la vergogna della scorsa stagione. E allora Pazzini fino a ieri era diventato un tabù. Vietato parlarne, argomento troppo scomodo. Ora gli stessi che su di lui avevano steso una (colpevole) cortina fumogena lo celebrano. Le facce di tolla non vanno mai in vacanza.

Per me è persino ovvio che Pazzini debba giocare. Ma deve sempre essere messo nelle migliori condizioni per farlo, modulo o non modulo. Lui è un cecchino negli ultimi 15 metri e a 34 anni il fisico non è più quello di un tempo. Cosa gli chiediamo, di correre e di fare reparto da solo? O di giocare in solitaria con due ali a trenta metri? Non scherziamo, su. Attorno bisogna costruirgli una squadra, senza astruserie da pedanti professorini del pallone (e negli ultimi anni da Coverciano ne sono usciti a iosa, mi auguro che Grosso non sia uno di questi). Come ho sempre scritto e detto in tv lui sarebbe stato utile anche l’anno scorso, con Kean si sarebbe completato a meraviglia (non casualmente l’unica volta che hanno giocato assieme rimontammo a Torino contro il Toro). Invece fu trattato come un ferrovecchio.

Ma il punto per chi scrive non è nemmeno mai stato Pazzini in sé. Ma quello che il “caso Pazzini” (nato a causa della società e non del giocatore) ha rappresentato per lo spogliatoio e creato attorno. Le macerie. Come mi disse una volta confidenzialmente uno dei leader del Verona dello scudetto: “Se tu tratti così il tuo bomber e capitano che ti ha portato in A, come pensi che si sentano i compagni meno titolati e meno tutelati? Così rovini il gruppo e fattelo dire da me che qualche spogliatoio l’ho frequentato”.

Ma non si doveva dire. Non si doveva scrivere. Usciremo mai da questa palude di conformismo e di paraculi? Ma quando mai impareremo? Quanto tempo abbiamo perso nel frattempo? Oggi siamo qui a festeggiare chi non avremmo mai dovuto abiurare. Così anche la gioia, a volte, può avere un suo retrogusto amaro.