Si festeggia. Il calcio è sentimento di popolo, non importa per cosa si lotta. Può essere una finale di Champions, o un lugubre spareggio nel “non luogo” del Mapei Stadium (curve piene e il resto dello stadio vuoto, i tentennamenti della Lega Calcio hanno creato uno scenario non degno della serie A). Di partite da dentro e fuori, poi, la storia del Verona è ricca. Sappiamo cosa vuol dire soffrire, piangere o gioire. Da Reggio (Calabria) a Reggio (Emilia), solo per restare ai tempi moderni.
Ora è gioia. All’ultimo respiro, dopo mesi stonati, scelte disgraziate, partite orribili. Ma i sentimenti non sono razionali, per fortuna: puoi star lì a incazzarti per Setti, l’allenatore, il mercato, ma poi c’è il Verona, l’icona, la Grande Istituzione, che prescinde dagli uomini e dalle piccolezze del tempo corrente.
Dopo la festa, ci saranno i bilanci, i ragionamenti, il futuro. E la madre di tutte le domande: cosa significa aver mantenuto la serie A? Questa salvezza è il cavallo di troia per un rilancio, o l’anticamera di una nuova agonia? Setti resta, rafforzato dalla nuova barcata di soldi dei diritti tv; oppure i guai finanziari della sua azienda aprono le porte per una cessione anche del Verona?
Nel 2007 lo spareggio perso con lo Spezia fece sprofondare il Verona in C, ma soprattutto in una palude societaria da cui ci ha risollevato Martinelli (la promozione di Salerno segna la rinascita, consolidata dai play off in B l’anno seguente). 16 anni fa fu il punto più basso della nostra storia. Sarebbe bello che, ora, lo Spezia rappresentasse invece l’anno zero di un futuro più roseo per il Verona. Cioè di una stabilità economica e di un progetto sportivo e infrastrutturale degno della serie A. Tutte cose che Setti, simpatico o antipatico, non può garantire.
L’auspicio, insomma, è che le prodezze di Ngonge e di Montipò e la grinta di Sogliano (l’avete visto come si agitava in panchina nel finale di partita?) non siano effimere. Finita la festa, va trovato un senso a questa miracolosa salvezza.
P.s. La prima firma di questa salvezza è di Sean Sogliano. Perso e ritrovato, è una sorta di figliol prodigo del Verona dell’epoca moderna. Trovatosi blindato Bocchetti dalla precedente (fallimentare) gestione, ha scelto la miglior soluzione possibile in quel momento, ergo Zaffaroni, per aiutare il giovane allenatore. Ha preso Ngonge e ceduto qualche piantagrane a gennaio. Ma soprattutto ha rimotivato una squadra che era appassita e imbolsita. Ripartiamo da lui.