Cerco di capire la lettera che Ousmane Gueye ha inviato alla Fortitudo con fair-play e grande signorilità. “Per quel che mi riguarda non ho sentito nessun coro”, ha scritto la guardia della Tezenis, che invece ha sottolineato "di aver goduto l”onore di di giocare in quel magnifico tempio della pallacanestro, di fronte ad un pubblico che vive a ama il basket". E che, aggiungo io, dovrebbe essere abituato a vedere ed apprezzare gli show dei giocatori con la pelle scura. Magari anche avversari.
Delle due l’una: o Gueye ha voluto glissare con elegante superiorità, oppure sarà il caso di affiancare un otorino al dottor Cannas e al dottor Vittone nello staff medico gialloblù. O forse era talmente incazzato per il quarto fallo (inestistente) che ha stoppato la sua trance agonistica, da avere un improvviso black-out uditivo.
Io al Paladozza c’ero, e i cori li ho sentiti. Quando Gueye è tornato in panchina dopo il quarto fallo dalla curva proprio sopra la tribuna stampa si sono levati i “buuu”, e qualcuno si è spinto oltre insultando il giocatore di colore di Verona. E’ vero invece che i tifosi della “Fossa”, gli storici ultras della Fortitudo, sono rimasti estranei ai cori puniti dal giudice sportivo, che ha multato una società nella quale la bandiera è stato per anni un certo Carton Myers… Per questo i tifosi bolognesi hanno voluto condannare ogni forma di razzismo. Così nella sua lettera Gueye, probabilmente, si è rivolto proprio a loro, e non ai dirimpettai della “Fossa” che lo hanno insultato. Già, perché le offese ci sono state. E non erano ragazzotti, ma adulti. Maggiorenni e vaccinati. Però contro la demenza non esistono vaccini.