LAVORO DI CITTADINANZA

 

Luciano Fontana ha scritto che il nome giusto l’ha trovato il ministro della Lega Giorgetti: lavoro di cittadinanza, non reddito di cittadinanza. Ma adesso, aggiunge il direttore del Corriere, bisogna passare dalle parole ai fatti: cioè riuscire a trasformare quell’obbrobrio del reddito di cittadinanza in lavoro di cittadinanza. Impresa non da poco.

Non si tratta di negare la necessità di un reddito di povertà, strumento indispensabile che esiste in tutti i Paesi europei.

Ma – scrive Fontana – “E’ ormai evidente a tutti, anche ai suoi più accesi sostenitori, che il reddito di cittadinanza, misura simbolo dell’era grillina, non ha funzionato. Non ha abolito la povertà (come avventatamente si sbandierò da un balcone governativo) né tanto meno ha assolto alla sua funzione fondamentale: aiutare i disoccupati a fronteggiare i mesi senza salario e prepararli a trovare un altro lavoro. Sono fallite totalmente quelle “politiche attive” che esaminano il mercato del lavoro, studiano le competenze, formano i nuovi lavoratori e li mettono in contatto con l’azienda che vuole assumere”

“Tutto questo – prosegue Luciano Fontana – non è nemmeno iniziato e la speranza che il tema venga affrontato efficacemente con navigator e centri per l’occupazione burocratici e inefficienti è un’utopia”.

In sostanza col reddito di cittadinanza hai solo erogato sussidi a pioggia, anche a tanti che non avevano i requisiti, facendoli restare sul divano e senza tornare al lavoro.

“Perché – spiega sempre Fontana – il lavoro non si crea con i sussidi elargiti dallo Stato ma con la produzione, la crescita, l’innovazione messe in moto da tutti gli imprenditori, grandi e piccoli. Le aziende devono sicuramente essere coinvolte in questo processo”.

In sintesi i soldi non bisognava darli ai disoccupati, ma alle aziende, agli imprenditori che – piaccia o no e con tutti i controlli che servono – sono gli unici a creare posti di lavoro.

Ma qui apriti cielo: Landini, i sindacati, accetteranno mai di dare soldi a quegli sporchi padroni che sfruttano gli operai?…

Questo l’ostacolo difficile da sormontare per arrivare ad un lavoro di cittadinanza di fatto e non solo all’annuncio di Giorgetti.

 

REFERENDUM PER PAGHETTA NON PERVENUTA

Ho già avuto modo di dire che non condivido la scelta delle autonomie regionali perché coltivo ancora il sogno, l’illusione, dell’unità d’Italia; di un Paese unito dalle stesse regole, leggi e opportunità per i cittadini su tutto il territorio nazionale.

Ma qui in Veneto il percorso verso l’autonomia è stato addirittura grottesco.

Referendum consultivo, pura fuffa che nulla di concreto poteva garantire. Chiediamo ai cittadini se vogliono che arrivi il paradiso terrestre? Tutti d’accordo a votare sì, ma non basta perché arrivi.

Il quesito proposto ai veneto potrebbe così essere sintetizzato: “Cari bambini veneti volete che papà Luca Zaia vi aumenti la paghetta?”. Risposta: “Sì papà, grazie, siamo pronti a votarti!”.

Peccato che, come sottolineano con crescente rammarico le televisioni “amiche” di Zaia, dopo oltre 4 mila giorni la paghetta non sia arrivata. Lui, il presidente, in compenso è stato rieletto trionfalmente con la pura promessa…

Luca Zaia è un comunicatore eccezionale. Per governare forse servirebbe altro. Ad esempio non preoccuparsi di portare quanto più possibile nella Marca a discapito di altre province che sono e restano il pilastro portante del Veneto.

Zaia nel trevigiano si è portato l’Istituto oncologico veneto, la mini facoltà da campo di medicina; ha realizzato la Pedemontana che rischia di desertificare la zona industriale di Padova. Potesse porterebbe nella Marca anche l’Arena e la Basilica del Santo. (Ve la immaginate la Basilica in Valdobbiadene con il Santo che compie il miracolo di trasformare il prosecco in un vero vino?…)

Direi che quella di Zaia è una visione più da presidente della provincia di Treviso che del Veneto.

Tornando all’unità d’Italia purtroppo rimane un sogno. L’unica unità che procede è quella dei tatuaggi: da nord a sud, da giovani a meno giovani, da donne a uomini, sempre più numerosi a pagare per sfregiare il proprio corpo, pensando di renderlo più attraente.

Una volta cercavi di lasciare un segno con la tua vita, col lavoro, con l’educazione dei figli, con l’impegno sociale. Adesso il segno lo lasci sul tuo corpo.

In attesa che la cremazione faccia pulizia.

 

DRAGHI IL NOSTRO DE GAULLE

 

Interessante (come sempre) l’analisi politica che ha fatto Galli della Loggia sul Corriere scrivendo che Mario Draghi è diventato un po’ il nostro De Gaulle, nel senso che stiamo vivendo una sorta di semipresidenzialismo dove i partiti sono di fatto emarginati.

Partiti che, nella nostra repubblica parlamentare, sono sempre stati al centro della giostra e delle decisioni. Opponendosi, per non perdere potere e trasferirlo all’esecutivo, a qualsiasi riforma della Costituzione, sempre e solo annunciata da almeno 30 anni. E bocciata quella di Renzi quando si andò a votare il referendum nel 2016. Bocciata – come scrive giustamente Galli della Loggia – “grazie al suo autolesionistico narcisismo” (di Renzi).

E’ comprensibile che allora la Costituzione sancì la repubblica parlamentare perché si usciva dal fascismo e si volevano evitare nuovi regimi autoritari. Ma un conto è evitare i regimi, altra cosa mettere gli esecutivi in mano a partiti e parlamentari ostacolando così qualunque azione di governo.

Oggi, per la prima volta, i partiti possono pure, come fanno, fingere di litigare quotidianamente; ma nessuno osa mandare a casa un premier come Draghi che gode di grande stima internazionale e di una popolarità senza precedenti. E quindi lui, Mario Draghi, va avanti per la sua strada e con le sue decisioni fregandosene sostanzialmente dei partiti.

Se è giusta l’analisi di Galli della Loggia non ci sarebbe neppure il bivio decisivo che un po’ tutti immaginano per la politica italiana: mandare Draghi al Colle tra sei mesi o lasciarlo a governare fino a fine legislatura?

Cambierebbe poco nulla perché – sia che vada al Colle sia che stia a Palazzo Chigi – Mario Draghi continuerebbe a comandare lui; con i partiti ridotti per la prima volta a “servitor cortese”… Staremo a vedere.

Senza dimenticare che anche Sergio Mattarella ha comandato lui: imponendo a tutti i partiti recalcitranti Draghi premier al posto di Conte.

 

UN MILIONE DI FIRME PER L’EUTANASIA

 

Giorgio Pasetto, storico radicale veronese, comunica che ha raggiunto il milione la raccolta firme per il referendum promosso dal suo partito per la legalizzazione dell’eutanasia.

Personalmente la novità non mi entusiasma, ma ci sono dei cambiamenti epocali – di cultura, di costume – che piacciano o no sono inevitabili e quindi non resta che prenderne atto.

Se ci pensate i cosiddetti diritti individuali –  dal divorzio all’aborto – hanno trovato sempre più consensi tra i cittadini di tutto l’Occidente.

Qui l’unico dubbio è: saranno l’80% i cittadini che si esprimeranno a favore del referendum sulla legalizzazione dell’eutanasia o saranno di più?

Il passato non ritorna. Nell’inno nazionale cantavamo, e ancora lo cantano ormai solo i calciatori: “Siam pronti alla morte, siam pronti alla morte l’Italia chiamò!”. L’idea era che la tua vita apparteneva alla Patria, allo Stato, che poteva decidere di mandarti a combattere e anche a morire. Se pensavi di disertare ti ammazzavano i carabinieri. Poi lo Stato non ha più potuto mandarti nemmeno a fare il servizio militare perché è arrivato il diritto all’obiezione di coscienza…

Così per la Chiesa la vita del fedele apparteneva a Dio che decideva lui anche di farti martire. Oggi Papa Francesco ha lanciato un appello con anglicani e ortodossi per la difesa del clima e dell’ambiente. Penso si sia convinto che quella contro la desertificazione delle chiese e la diserzione dei fedeli cattolici è ormai un’impresa impossibile…Tanto vale dedicarsi a contrastare, non l’indifferenza religiosa, ma il riscaldamento globale.

Oggi il credo è: “La vita è mia e ne faccio quel che voglio io, e decido io anche quando e se interromperla”

Sarà anche il declino della nostra civiltà, personalmente ho questa impressione che, naturalmente, può non essere condivisa. Ma mi domando quando mai il declino di una qualunque civiltà – greca, romana, atzeca, etc. – quando mai è stato possibile arrestarlo?  Mai sono tutte morte le grandi storiche civiltà.

Oggi è emblematico che, di fronte all’imminente morte della civiltà occidentale, arrivi l’eutanasia. Perché come sappiamo, o dovremmo sapere: nomina sunt consequentia rerum…

 

IL METADONE DI QUOTA 100

 

Non c’è solo il metadone di Stato, come la Meloni ha chiamato il reddito di cittadinanza. C’è anche il metadone di quota 100, le pensioni anticipate volute da Salvini.

Come noto durante il Conte uno vi fu uno scambio di cortesie: la Lega approvò il reddito di cittadinanza voluto dai 5 Stelle e loro approvarono le pensioni anticipate volute dalla Lega.

Il costo economico del metadone di Stato, con tutti gli abusi nell’elargizione, è relativamente facile da calcolare. Quello di quota 100 è più complesso: non è infatti solo un costo economico ma anche sanitario.

Il perché è, dovrebbe essere, ovvio: tutti ormai fanno attività sportive, jogging, palestra nella giusta convinzione che se vuoi rallentare l’invecchiamento fisico, restare giovane, devi muoverti. Ma lo stesso vale per l’invecchiamento cerebrale, assai più preoccupante di quello fisico (se sei lucido di mente puoi anche accettare la carrozzella, se sei rincretinito è la fine). Ecco che il lavoro, un impegno, qualcosa da fare e da pensare è il jogging delle facoltà mentali.

(Quota 100 doveva servire ad aiutare ad uscire dai lavori usuranti; e infatti ne hanno approfittato anzitutto gli statali, notoriamente i lavoratori più usurati di tutti…)

Di liberi professionisti non ce n’è uno che vada in pensione. Chi ci va in anticipo rischia di passare il tempo sui siti e convincersi che i no-vax sono i veri scienziati…

Il direttore del Corriere Luciano Fontana ha sottolineato le contraddizioni di Conte e Salvini. Il primo ora critica il decreto sicurezza dimenticandosi che quando fu varato si fece fotografare assieme al suo ministro degli Interni con tanto di cartello entusiasta in mano. Il secondo adesso vuole cancellare il reddito di cittadinanza dimenticandosi che da vicepremier gli diede via libera…

Luciano Fontana ha scritto e spera che i cittadini elettori non dimentichino queste assurde giravolte e che, al momento del voto, puniscano sia Conte che Salvini. Mi associo all’auspicio dell’esimio collega.

 

CALABRIA, REGIONI DA ELIMINARIE

Tornato dalla vacanza in Calabra. Splendida: non tanto per il mare quanto per i paesini arroccati in collina con chiese, monumenti, storia millenaria. Per dire vicino al castello di San Michele ho visto un ponte a sesto acuto, unico in Italia, costruito dai Templari…

Peccato che la Calabria bruci; roghi, incendi ovunque. Ripartendo sono passato per l’entroterra della Campania, molto simile a quello calabrese, ma qui nessun incendio. Come mai? E’ la bellezza dell’autonomia regionale!

Non serve avere lo statuto speciale. Puoi comunque assumere come ha fatto la Calabria frotte di forestali, più che sull’intero arco alpino; puoi strapagare le aziende che mandano l’elicottero a gettare acqua per spegnere. Più aumentano i roghi, più aumenta il business.

E arriviamo al punto cruciale: non è che queste folli spese pubbliche, decise dalla loro regione le paghino i contribuenti calabresi; ricadono sulla fiscalità generale.

Per capirci i privilegi, le nuove competenze, che anche la nostra regione rivendica, non prevedono l’obbligo dell’autofinanziamento. Lo si annuncia, ma nessuno l’ha mai attuato nemmeno le regioni a statuto speciale.

La buona sanità veneta non è finanziata con le tasse dei veneti, ma dal servizio sanitario nazionale; col risultato che altrove la sanità è indecente.

Credo che se ami il tuo Paese, devi impegnarti a far sì che dalle Alpi a Lampedusa ci sia la stessa qualità sanitaria, lo stesso regime fiscale, identica amministrazione della giustizia. Se vuoi tentare l’impresa (forse impossibile) dell’unità d’Italia devi eliminare questo obbrobrio delle regioni; non certo aumentare i loro poteri e competenze.

Altrimenti avanti con l’autonomia regionale, che così la disgregazione completa del nostro Paese è garantita.

 

D’ACCORDO CON MARCATO. AL 6 SETTEMBRE

Silvestro, mi spiace deluderti ma sono totalmente d’accordo con Roberto Marcato. Tra l’altro Durigon mi pare anche mona: come ha fatto a non capire che, con il parco da intestare fratello di Mussolini, offriva un’arma perfetta ai suoi avversari politici?…

Comunque, sempre se Silvestro lo permette, non ostante il poco rispetto per le nobili associazioni umanitarie e i loro spot esemplari coi bimbi moribondi, andrei qualche giorno in ferie.

Da fascio-leghista adoro la Calabria

Riprenderò la gestione del sito lunedì 6 settembre. Ad allora gentili frequentatori.

PENTAGONO PEGGIO DELLA CASALINGA DI VOGHERA

 

“Diritto & Rovescio” è la rubrica che ogni giorno Italia Oggi pubblica in prima pagina.

Sabato ha ricordato Alberto Arbasino che aveva inventato la “massaia di Voghera” come esempio dell’italiana media che era un deposito di buon senso appreso dalla vita.

Italia Oggi scrive che il Pentagono Usa non ha avuto nemmeno il buon senso della casalinga di Voghera.

Cito: “Un organismo dotato di mezzi immensi, che impiega decine di migliaia di specialisti, che ha traduttori da ogni dialetto, che, per sua ammissione, è in grado di ascoltare anche un bisbiglio in una grotta. Ebbene, avendo programmato lo sganciamento dell’Afghanistan, non ha realizzato, nei mesi precedenti, il rimpatrio in sicurezza dei suoi cittadini, di quelli dei Paesi alleati e del personale locale che, avendo lavorato per loro; adesso rischiano la vita. L’esodo poteva essere realizzato prima del disimpegno totale. Usciti i civili, potevano sgombrare i militari.”

Impossibile non condividere l’analisi di Italia Oggi: Pentagono peggio della casalinga di Voghera.

Impossibile anche non essere d’accordo con quanto ha scritto Vittorio Feltri: prima dell’inizio di ogni partita di calcio, tutti dovrebbero inginocchiarsi e pregare per la salvezza delle donne afghane.

ESPORTARE LA DEMOCRAZIA: UN DOVERE

 

Molti intellettuali e politici sostengono che l’errore cronico commesso con l’Afghanistan è stata la pretesa di esportare la democrazia. Non sarebbe giusto pensare di imporre un modello occidentale a popoli e nazioni che hanno tradizioni e costumi diversi.

Quindi non si può pretendere di imporre ed ottenere il rispetto dei diritti, delle libertà, della parità di genere, dell’istruzione, ect.

Galli della Loggia sul Corriere ha giustamente osservato che, se è così, diventa inutile continuare ad insistere con l’Egitto perché processi gli assassini di Regeni o liberi dal carcere il povero Patrik Zaki. Pretenderemo mica di convertire alla democrazia il regime egiziano?…

Altra osservazione interessante di Galli della Loggia: invece di decidere noi che la democrazia non va esportata bisognerebbe chiede ai diretti interessati se la vogliono no.

Pensiamo a cosa sta succedendo in Afghanistan con la presa del potere dei talebani: donne ridotte alla sharia, capo della polizia ucciso nel modo più barbaro, manifestanti che protestano presi a fucilate. Ovvio pensare che milioni di afghani sarebbe felici di scegliere la democrazia, cioè di veder garantito il loro diritto alla libertà.

In conclusione Ernesto Galli della Loggia spiega che cercare di esportare la democrazia è un dovere. La fesseria è giustificare la nostra impotenza sostenendo che non va nemmeno tentato di farlo.

 

L’AVVOCATO DEI TAGLIAGOLA “DISTENSIVI”

 

“L’avvocato dei tagliagola”, così Libero definisce Giuseppe Conte. Non c’è quotidiano, di destra o di sinistra, che perdoni la sua affermazione che bisogna trattare coi talebani perché sono “distensivi”. Di Maio per primo gli ha replicato che vanno valutati per le loro azioni non per le chiacchiere e l’ostentazione di buoni propositi.

La scena delle donne afghane che gettano i loro figli al di là del muro e del filo spinato per affidarli ai soldati americani pregandoli di portarli via è di una drammaticità che ricorda solo la Shoah. Si vede che anche i nazisti erano “distensivi”.

Immagino siano soddisfatti e distesi gli iscritti al Movimento 5S che in rete si sono scelti un leader di tale spessore. Di certo li porterà a trionfare alle prossime politiche.

Ovviamente una nuova guerra non si può fare perché siamo pacifisti, cioè incapaci di vincerla. Ma essenziale quantomeno è garantire tutti i corridoi umanitari che servono per permettere agli afghani non talebani, cioè nuovi ebrei, di non finire nei campi di concentramento.