IL PIÙ BEL FILM DELLA STAGIONE…

Ora è davvero complicato per Juric indossare la divisa del pompiere. In questo spazio, lo sapete, da almeno un mese e mezzo non parliamo più di salvezza: troppo forte questo Verona per accontentarsi. Ebbene ora siamo arrivati (quasi) al dunque: il Verona può decidere serenamente cosa diventare da grande, cioè da qui alla fine del campionato. L’Europa League è a due punti e abbiamo una partita in meno. Sia chiaro, non credo che l’Hellas sia all’altezza di raggiungerla – ci manca quel pizzico di talento e fantasia in zona gol e sulla trequarti (Zaccagni è un discreto centrocampista, Pessina ottimo, nessuno dei due è una mezza punta) – ma sarebbe significativo solamente provarci. Ed è un diritto del tifoso godere della classifica e vagheggiare lidi argentati.

Capiremo in fretta come sarà il nostro girone di ritorno. Milan-Lazio-Juve in sette giorni offriranno risposte determinanti: sulla carta sono 1 punto, massimo due, forse zero, farne 4 darebbe un senso diverso alla prospettiva. Juric pubblicamente (nelle segrete stanze non so…) continua a dire “arriviamo a 40 punti”, anche se stasera in conferenza stampa si è indirettamente lasciato un po’ andare, cominciando a sbottonarsi a modo suo (“per ora non alziamo l’asticella…”).

E’ elettrizzante scrivere di Europa nella settimana che ci porta al Milan e a San Siro. Scala del calcio inviolata nella storia gialloblu: che sia la volta buona? L’argomento della settimana sarà questo, inutile raccontarcela. Magari sbaglieremo partita, può essere che il Milan con Ibra sia davvero più forte di qualche settimana fa, forse saremo sfortunati, magari ci si metterà l’arbitro, chessò; eppure quest’anno sul piano tecnico non siamo così inferiori al Diavolo.

Vorrei lanciare un Opa sul Meazza: colpo gobbo a Milano, ma senza Ricky Menphis o Claudio Amendola (al limite lasciateci la Bellucci), con Juric e Pazzini. Sarebbe il più bel film della stagione. Come cantava Vasco, un gran bel film.

 

DIAMOCI UN OBIETTIVO: L’OTTAVO POSTO

Io guardo avanti, non indietro. Siamo a quattro punti dall’Europa League e – anche se non credo che il Verona sia all’altezza di raggiungerla – vagheggiare quei lidi rende più buono ogni sapore. Il Verona, certamente e già da un pezzo, non è squadra da lotta per la salvezza. Non ci riguarda. Juric ha disegnato un collettivo meraviglioso, illuminato da 5-6 giocatori individualmente in grado di fare la differenza (Amrabat, Kumbulla, Rrahmani, Veloso, Pessina, Lazovic). Il sornione Ivan gioca un calcio poco italiano: veloce, atletico, verticale. Come l’Atalanta di Gasp  e poche altre squadre. Gioia rutilante in quel mare di noia orizzontale che è la serie A.

Girare a 25 punti significa chiudere i conti con la zona rossa (11 lunghezze di distanza, ma soprattutto – si è visto – una superiorità tecnica e tattica disarmante). Oggi però si tratta di capire che senso dare al campionato. Lo sappiamo come funziona spesso in serie A: le piccole che ce la fanno nel girone di ritorno tendono a mollare la presa e a limitarsi al compitino. Ecco, vorrei che ciò non accadesse, mi piacerebbe vedere un Verona che fino all’ultimo cerca di conquistare la classifica più prestigiosa.

I nuovi obiettivi? Da settimane parlo di un Hellas da 9°-12° posto per valore. Il nostro miglior piazzamento – escluso il grande ciclo di Bagnoli – sono due noni posti: quello di Valcareggi nel 1976-77 (arrivammo settimi con Napoli e Roma, ma noni per la classifica avulsa) e Prandelli nel 1999-00.  Sarebbe bello arrivare ottavi e poterli superare. Juric potrebbe sempre dire di essere stato il migliore dopo l’Osvaldo. Noi potremmo dire di esserci divertiti fino in fondo.

 

 

VOLIAMO SULLE ALI DELL’INTELLIGENZA

Dopo la sconfitta con la Roma scrivevo di un Verona che – calendario alla mano – avrebbe dovuto/potuto raccogliere 5 punti in 5 partite e chiudere il girone di andata a 23 punti. Al di là che con la Lazio si deve ancora giocare (metto in conto una sconfitta, confidando ardentemente in una smentita), il Verona a una partita dal giro di boa è già a 22 punti e in casa con il Genoa potrebbe accontentarsi perfino di pareggiare per rispettare il mio pronostico. Un risultato alla portata.

E’ chiaro che girare a 23 (se non a 25…) di fatto metterebbe in soffitta il discorso salvezza. Ci si salva a 35-36, massimo 37 punti (la soglia dei 40 punti non esiste più da anni e tante squadre in lotta abbassano il quorum), ma c’è qualcosa che vale più della matematica e della logica in questo Verona. L’Hellas, ripeto, per valore tecnico e tattico, è squadra da 9°-12° posto e – sempre in tema di pronostici – lì possiamo arrivare, con tutte le variabili del caso (infortuni, mercato, rilassamento post-salvezza). E non menatela con la storia del Verona dell’incolpevole Malesani: lì probabilmente accaddero fatti che con il calcio hanno poco a che fare. Fu l’eccezione e l’irripetibile, non un paradigma.

Juric ha creato e disegnato una squadra intelligente. Credo sia l’aggettivo che descriva meglio il Verona di quest’anno. Spesso delle neopromosse si dice – con buona dose di retorica e in assenza di analisi – che giocano “sulle ali dell’entusiasmo”. Io dico che il Verona di Juric gioca sulle ali dell’intelligenza. Sa attaccare il campo, sa difendersi, sa accelerare e rallentare alla bisogna. Insomma sa gestire al meglio le fasi della partita. E sa sfruttare (quasi) sempre la sua superiorità. Non a caso con le medio-piccole e quelle dietro di noi abbiamo perso solo con il Sassuolo – non conto il Milan, per blasone e per l’arbitraggio di quella sera. Significa che siamo solidi e per nulla frutto di ingannevoli exploit. Tradotto: abbiamo la classifica che meritiamo e che rispecchia il nostro valore. Ed è un falso che non siamo cinici: ieri Berisha ha fatto due parate straordinarie su Rrahmani e Pazzini, quelli non sono gol sbagliati, ma prodezze del portiere. Pertanto non capisco chi sostiene che “non chiudiamo le partite”: il 90% delle squadre al mondo non ne è capace, altrimenti il calcio sarebbe un concentrato di 3-0. Per fortuna così non è.

Juric fa bene a parlare di salvezza, ma io faccio un mestiere diverso e posso tralasciare le frasi di rito. Non siamo da Europa League, certo, tuttavia mi piacerebbe che il tecnico della fascinosa Spalato, dentro allo spogliatoio, spostasse l’obiettivo sulla parte sinistra della classifica. Non porta trofei, ma è sempre un bel vedere. Poi ci sono due perle da inseguire, che darebbero ulteriore luce e prestigio alla stagione: battere una grande (Juventus o Inter), come ai vecchi tempi, e vincere finalmente a San Siro, impresa mai riuscita. Il Milan di quest’anno è alla nostra portata: capiterà di espugnare la Scala del calcio prima che l’abbattano…

 

 

LA PENNA PIÙ VELOCE DEL WEST

La “penna più veloce del west” è tornata tra noi. Maurizio Setti, tra i mille talenti, ha pure questo: lui quelli bravi sembra sempre volerli vendere in fretta. Non sia mai che scappi l’occasione di incassare subito; non sia mai che si riesca a fare un ragionamento su un mezzo progetto. E così nemmeno a metà campionato, Amrabat è già dato al Napoli, Rrahmani quasi e Kumbulla è a sua volta chiacchierato. E tutti ricordiamo la cessione in stile Carl Lewis di Jorginho.

Tralasciando il lato romantico della faccenda – leggi il messaggio che si lancia ai tifosi – sui cui non ci esprimiamo per non passare da vecchi tromboni nostalgici di un calcio che non c’è più (in realtà non guardiamo al passato), passerei alla questioni più concrete. Mi chiedo: la nostra società – dopo quasi otto anni di introiti con lo stesso presidente – non è in grado, come dire (passatemi l’espressione), di “tirarsela” un poco? Ha (ancora) necessità di fare cassa appena può? Non ha la forza di prolungare (e ritoccare) i contratti dei calciatori migliori per poter alzare la propria forza contrattuale con gli acquirenti? Puoi anche vendere, ma c’è modo e modo, tempo e tempo. Aggiungo: è necessario mettere sul mercato tutti i tre migliori contemporaneamente senza salvaguardarne nemmeno uno? Che ricadute può avere sulla squadra, sui diretti interessati e quindi sui risultati dell’oggi (cioè di questo finora ottimo campionato) questo modus operandi?

Si apre poi una gigantesca questione sul domani: smantellando la squadra a giugno (se vendi i tre più forti l’hai già smantellata anche dovessi tenere tutti gli altri) Juric rimarrebbe? Assodato che, oltre alla questione tecnica, per confermarlo sarà necessario ovviamente rivedere quella economica.

Domande che vagano. Domande a cui per ora voglio dare solo una risposta: sono giorni di festa, godiamoci il momento e godiamocela finché dura.  Con la “penna più veloce del west” guardare a orizzonti troppo futuri non ha molto senso.

NUOVI ORIZZONTI TECNICI (NON SOCIETARI)

Il rischio, in casi come questi, è cadere nella facile retorica: la rimonta, il ritorno di Pazzini, l’esistenza di Stepinski. La domenica del Verona è stata un carrello di emozioni, ma resta un fatto, checché ne dica l’ottimo Juric: non siamo gli ultimi, siamo una buona squadra, altroché. Ha detto bene Mazzarri: “Il Verona si potrà prendere delle soddisfazioni, la salvezza sarà l’obiettivo minimo”.  Io rimango della mia idea: 9°-12° posto, al netto delle variabili che ci potranno essere (mercato di gennaio, infortuni, finale di campionato dovessimo essere già salvi).

Sia chiaro, io capisco Juric: lui deve tenere tutti sulla corda e ha trovato il ritornello motivazionale vincente per i suoi: “Noi piccoli contro i grandi”. Inoltre in estate siamo partiti con tutt’altri presupposti e il budget è tra i più bassi della serie A: giusto non creare troppe aspettative o indebite pressioni. Resta però l’analisi dell’oggi:  il Verona ha buoni giocatori ed è messo magistralmente in campo dal suo allenatore. E ha un carattere d’acciaio, se n’è avuta conferma ieri dopo un primo tempo orribile e uno 0-3 a mezz’ora dalla fine che avrebbe mortificato le speranze di chiunque. Appena il Torino si è adagiato siamo tornati in partita: non è forza questa? Concedere due terzi di partita e pareggiarla nel restante terzo: impressionante.

Dopo il Torino si aprono anche nuovi orizzonti tecnici-tattici. Juric ora sa che Pazzini non è un ex giocatore, sa che Stepinski (come sostengo da mesi) se schierato con un’altra punta qualcosa può dire, sa che Bessa e Badu con il nuovo anno potranno infoltire di qualità il reparto già oggi più forte, il centrocampo.

La squadra c’è, la società un po’ meno, nonostante il buon lavoro nel mercato estivo. Siamo a dicembre e Amrabat viene già dato al Napoli per giugno (e suo fratello in merito dà interviste senza riguardo); mentre in tutta Europa i club spingono per gli stadi di proprietà, a Verona, l’Hellas sostiene un progetto che va in direzione opposta. Che devo dire: per fortuna c’è il campo, il calcio giocato.

JURIC IL MIGLIORE DEGLI ULTIMI VENT’ANNI, EPPURE…

L’impresa dell’Atalanta in Champions League mi conferma quanto ho pensato a caldo dopo la nostra sconfitta di Bergamo: l’Atalanta è tra le cinque-sei grandi squadre di questo campionato e al Verona, nei 90 minuti, contro di esse manca qualcosa per spuntarla o quantomeno non perdere.

Inutile che continuiamo con la nenia del “meritavamo di più”, ma è altrettanto sbagliato essere preoccupati per l’assioma “giochiamo bene ma non raccogliamo”. Non sono vere nessuna delle due affermazioni: giochiamo bene e raccogliamo con le squadre del nostro livello o inferiori, paghiamo la superiore qualità (è il calcio, bellezza!) contro le più forti (e Roma e Atalanta rientrano nella categoria). Perciò abbiamo la classifica perfetta, quella che rispecchia fedelmente il nostro valore a oggi.

Mancano quattro partite alla fine del girone di andata e con Torino, Spal e Genoa si può muovere la classifica. Penso che il Verona di Juric sia squadra da 9°-12° posto, poi dipenderà dagli infortuni (a un Kumbulla, si è visto, non possiamo rinunciare a lungo) e dal mercato di gennaio (in entrate e in uscita, perché con Setti non si sa mai…).

Resta tuttavia una costante nell’effimero volatile del calcio: l’Hellas propone un calcio concreto e divertente, verticale, fisico, veloce e organizzato. Non si vede spesso in Italia e non avevamo ricordi a queste latitudini.

Senza nulla togliere a Mandorlini e ai suoi straordinari risultati (che posizionano il tecnico di Ravenna tra i più vincenti della nostra storia), credo che sul piano tecnico-tattico, quindi come allenatore puro, Juric sia il migliore capitato a Verona negli ultimi vent’anni. E’ dai tempi di Prandelli e (poco dopo) forse il primo Ficcadenti che non abbiamo un tecnico moderno per l’epoca.

Tuttavia se la società vuole crescere non deve innamorarsi di nessuno, ma pensare a una progettualità che prescinda dagli uomini e che, semmai, gli uomini possano far lievitare. Ho avuto il privilegio di seguire da cronista il Chievo di Sartori e di conoscere il suo metodo di lavoro da vicino. Quella gestione tecnica (non svendere i giocatori forti ma dar loro una certa continuità, Delneri o Pillon confermati non per sentimento ma finché c’erano i margini tecnici-economici per farlo) dovrebbe essere la bussola. Sartori oggi è all’Atalanta: non avremo i soldi di quel club, ma almeno il metodo potremo farlo nostro.

 

CINQUE PUNTI IN CINQUE GIORN(ATE)

Niente paura. Anzi. Il Verona sconfitto dalla Roma conferma di essere squadra vera. Nell’equilibrio la differenza, si sa, la fa sempre la qualità. E la Roma dell’ottimo Fonseca e del bravissimo ds Petrachi di qualità ne ha a iosa. Il Verona ha pagato i dettagli, ergo le sbavature individuali. E passi per Gunter, che di limiti ne ha, se si mette a sbagliare pure l’impeccabile Rhramani capisci che non è serata. Ha fatto il resto la solita pigrizia in area di un Di Carmine tornato Di Carmine (sempre dietro all’uomo e spesso in fuorigioco). Inutile girarci intorno: il Verona è costretto a giocare sempre al limite, frenetico e con un grande dispendio di energia per segnare. Per trovare la porta devi muovere tanti giocatori, il minimo sforzo offensivo questa squadra non lo contempla. Ovvio che poi capita di pagare tutto con gli interessi senza manco accorgersene.

Ma questi sono difetti, toppe, cose che si sanno. Cose di calcio che, semmai, sarà il mercato (in attacco) e l’atteso rientro di Kumbulla (in difesa) a rappezzare. Restano però le tante note liete: in primis la capacità morale e tecnica della squadra di non disunirsi e di non uscire mai dalla partita. Scusate se è poco. Il Verona ieri ha giocato alla pari e a viso aperto con la quarta forza del campionato. E, Var permettendo, avrebbe rimediato due volte lo svantaggio. Qualcosa vorrà pur dire.

Penso che sia realistico poter arrivare al giro di boa dell’andata (e in piena finestra di mercato) a 23 punti. Vorrebbe dire essere a 13-14 punti dalla quota salvezza con tutto il girone di ritorno da disputare. C’è chi prometteva (di far perdere) “Sette chili in sette giorni”, come nel vecchio film. Io dico cinque punti in cinque giornate. Da guadagnare. Si può fare.

 

IL CLUB A UN BIVIO

Godiamoci il momento e – perché no? – sogniamo in libertà. Non costa nulla.  A dirla tutta, detesto da sempre la “retorica della salvezza”, molto conformista e ipocrita. Aggiungerei: molto italiana. Da che mondo è mondo ognuno in campo vuole vincere e cerca di migliorare. E la classifica la guarda, eccome. Qualcuno mi ricorderà, al solito, il Verona di Malesani: paragone che non regge, quel caso non fa scuola per le “stranezze” e l’unicità del contesto in cui si consumò.

Altra cosa è cercare di capire la consistenza reale del Verona di Juric. Abbiamo diritto di sognare, ma anche il dovere di guardare in faccia la realtà. La squadra in difesa e a centrocampo (su Pessina le mie fonti estive non si sbagliavano, che giocatore!) è probabilmente da prime otto; l’attacco chiaramente non è all’altezza degli altri reparti, sebbene Salcedo sia già un ottimo giocatore (diventerà un big) e Di Carmine abbia finalmente segnato. Ma le analisi non possono cambiare per un gol.  Servirebbe una spalla al predestinato italo-colombiano. Provate a immaginare un Verona con Veloso e Amrabat in mezzo e Pessina a suggerire a Salcedo e a un mister X. E qualcosa andrebbe fatto per “allungare” la panchina sugli esterni, in modo da poter dare fiato ogni tanto a Faraoni e Lazovic.

Ecco, è questo il punto. A gennaio capiremo le intenzioni e le possibilità di Setti: rafforzare la squadra per provare a stupire, oppure risparmiare accontentandosi di vivere di rendita. L’ultima analisi dei bilanci dei commercialisti di “Verona col Cuore” dimostra che il club si sta gradualmente consolidando sul piano economico. Non penso dunque che si ripeterà un caso Jorginho, spero invece che si possa pure investire qualcosa. Il Verona è tornato ad appassionare la città, sarebbe antipatico disperdere questo patrimonio. La società, da questo punto di vista, è a un bivio.

E come avrebbe detto Roberto Puliero: alè alè alè bum bum bum.

P.s. Toccanti e vere le parole di quel gran uomo che è Juric su Roberto. “Al suo funerale ho capito molto di più di Verona”. Juric è arrivato al punto con grande intelligenza e sincerità, senza ruffianerie o velleità da capo-popolo. Mi dicono che l’allenatore di Spalato sia una persona di raffinata cultura e ottime letture. Si percepisce.

 

 

 

 

 

 

 

 

IL TESTAMENTO DI ROBERTO

L’artista di popolo non è mai amato dagli altri artisti. Anche Roberto Puliero, autentico artista di popolo, era (mal) sopportato nel suo ambiente. Troppo famoso e popolare. Molti colleghi si sentivano in ombra e sparlavano: “Qualche teatrante invidioso diceva che riempivo i teatri solo perché il Verona ha vinto lo scudetto, mentre qualcuno che voleva scritturare la compagnia chiedeva ‘ma è quella di quel Puliero che fa el paiasso?'”, mi raccontò l’estate di due anni fa, seduti uno di fianco all’altro nel retropalco del cortile dell’Arsenale.

Anche qualche giornalista poco tollerava Puliero. Per lo stesso motivo: il cantore conosciuto era Roberto, mica il cronista di turno che mentre ne sparlava anelava con invidia misera e feroce alla sua fama. Quando è stato allontanato dalle radiocronache, qualcuno di sottecchi se la rideva pure. Piccole e ottuse gelosie da strapaese. Ma c’è di più: pensate che Roberto con la sua “Edicola” televisiva – satira sferzante sul conformismo e sulla mediocrità e sgrammaticatura (estetica ed etica) di un certo giornalismo – si fosse fatto nuovi amici?

La verità era che Roberto era l’attore, il poeta, il cantore della gente. Nessuno a Verona, nell’epoca moderna, è stato come lui. Un’icona. Ce ne stiamo accorgendo più che mai in questi giorni che piangiamo la sua morte. Roberto è tanti ricordi sociali, collettivi. Roberto per migliaia di persone è la domenica pomeriggio. Roberto è il 33 giri del post scudetto che ascoltavi la domenica mattina con papà e mamma cantando fino alle lacrime. Credo che molti di noi si sentano un po’ più vecchi e pure un po’ orfani. Come se gli anni passati ci avessero chiesto il conto. Ci resta sabbia tra le mani. Cupi, impotenti e un po’ più soli, siamo noi.

Roberto ha segnato un’epoca e un’epica. Epopea meravigliosa, irripetibile e indimenticabile. Il suo testamento morale e culturale però rimane e spero che qualcuno (anzi tanti), in questa dormiente città, possa coglierlo: il vero intellettuale (e Roberto lo era) non se la tira con sciccherie snob, unisce l’alto con il basso, sa comunicare, regala generosamente la cultura alle masse. E le migliora. Roberto mi disse: “Il mio è un teatro popolare, divertente o drammatico che sia, di chiara lettura e ampio respiro spettacolare. Amo coinvolgere la gente, per questo ho fatto diversi adattamenti anche di testi importanti. Se oggi il teatro è meno conosciuto è colpa dei teatranti che fanno delle cose pallose, difficili. Prendi la tragedia greca, la puoi leggere, la puoi studiare, ma non proporla a teatro”. Arrivare al popolo, per lui, non significava abbassare il livello, al contrario: “Ho un debole per Goldoni, questo però è anche molto pericoloso. Ci sono molte compagnie di attori modesti che dicono ‘femo Goldoni perché el fa ridar, perché è in dialetto’. Lo conoscono superficialmente, Goldoni è un grande autore universale, rappresentato in tutto il mondo. Il rischio così è di declassarlo a folclorismo e io odio il dialetto come folclore, come comunicazione rozza, mi è sempre piaciuto portare in teatro il dialetto alto, quello del Ruzante. Il mio intento è far conoscere Goldoni per quello che è e per farlo tagliuzzo molto, anche intere scene, ma il miglior modo per esser fedeli a un classico è non essergli fedele del tutto. So che lui sarebbe contento, mi direbbe bravo, ai miei attori dico che io con Carlo ci parlo”.

Roberto è stato il nostro Giorgio Gaber. Ti sia lieve la terra.

UP & DOWN

La partita manifesto. Il Verona a San Siro si è mostrato in tutte quelle sue contraddizioni che raccontiamo da tempo. Up & down, cioè le grandi qualità e i grandi difetti che sono stati tema (e titolo) di un mio recente articolo.

Il Verona del primo tempo si è espresso con le stimmate della squadra di media-alta classifica: ritmo, organizzazione, qualità in mediana e maglie strette in fase difensiva, dove peraltro si è sofferto meno del previsto. Spartito diverso nella ripresa: il Verona quasi senza accorgersene ha messo la testa sott’acqua in una lenta ed esiziale apnea. I motivi? Calo fisico, armi spuntate davanti (il povero Salcedo ha fatto la guerra con uno stuzzicadenti per tutta la partita), cambi non all’altezza. Insomma, la famosa coperta corta. Ovvio, poi, che con le grandi squadre la paghi tutta e con gli interessi. Quante ne abbiamo viste di partite così in vita nostra? Niente di nuovo.

Poco male per classifica, che rimane decisamente buona. Senza mettersi qui a fare tabelle, il Verona può benissimo chiudere il girone d’andata a 21-22 punti. Senza strafare. La salvezza sarà a 36-37 punti (tante squadre in lotta abbassano il quorum). E ora la sosta ci permetterà di avvicinare senza scossoni il recupero di Veloso, una delle tante perle di Coimbra.

Ma la genesi della sconfitta di San Siro me lo conferma: se dal mercato di gennaio arrivasse un attaccante in grado di completarsi con Salcedo, questo Verona potrebbe anche ambire alla parte sinistra della classifica. In attesa dei recuperi di Badu (da valutare con tutta la delicatezza del caso) e Bessa, due che ti migliorano la squadra.

Perché perdere l’occasione di divertirsi?