IL PARADOSSO

C’è un paradosso nel calcio: è quando giochi bene che si notano i tuoi difetti. Ieri il Verona ha giocato (molto) bene a casa della Juve. Potremmo darci di gomito e limitarci a essere contenti, oppure – se preferite – rammaricarci  e recriminare. Preferisco cercare di capire dove sta andando il Verona. Juric ha dato alla squadra organizzazione tattica e dinamismo atletico. Cose normali che ci sembrano straordinarie dopo quattro anni a pane e acqua. Il resto lo fa una coppia di centrocampo che almeno 10-12 squadre non hanno: Amrabat e Veloso sono grandi giocatori. E Zaccagni, posizionato qualche metro più avanti, lo diventerà presto. Il centro di gravità permanente della squadra è lì e non è poco dato che stiamo parlando della zona nevralgica del campo.

Il Verona però è senza un centravanti all’altezza. Di Carmine ieri, rigore a parte, ha sbagliato tre opportunità che una punta più scaltra avrebbe sfruttato a dovere. Con un attaccante normalmente da serie A ieri avremmo almeno pareggiato. Direte che si sapeva. Si sapeva, ma intanto abbiamo un punto in meno.

Il Verona in difesa è maledettamente “corto”. Gunter sta faticando, non sarà nemmeno fortunato (leggi l’autogol), ma se continui a procurare rigori e a rappresentare l’anello debole dei tre dietro allora un problema c’è. E in panchina, dietro di lui, la situazione non è più rosea, anzi.

Il Verona deve diventare più fluido nel gioco sulle fasce laterali, non ancora sfruttate a dovere. Nel modulo di Juric questa è una componente fondamentale, eppure ancora dormiente. Mi aspetto di più.

Insomma, come collettivo puoi giocare bene finché vuoi (e il Verona, ripeto, ha un’ottima organizzazione), ma in serie A – in questa serie A – i dettagli possono essere letali.

Il Verona, già con l’Udinese, deve essere più concreto nella gestione di quelli che comunemente vengono derubricati a “episodi”, ma che in realtà sono situazioni di gioco vere e proprie. Giocare bene, essere organizzati, è una condizione necessaria ma non sufficiente. Avanti.

PENSIAMO POSITIVO (E NO VITTIMISMO)

Ora però non entriamo nel loop del vittimismo. Lamentarsi non serve a nulla, anzi può essere controproducente. Da sempre chi scrive trova discutibile “l’arbitrio” che si cela dietro all’uso del Var. Ieri ne abbiamo avuto una nuova conferma e il fenomeno non tocca solo il Verona. Non contesto e nemmeno trovo scandalose le decisioni in sé (ho visto di peggio, gli episodi incriminati sono discutibili ma non fuori dal mondo), quello che urta (e parecchio) è l’ormai bulimico ricorso alla tecnologia di arbitri privi di personalità e spogliati di responsabilità.

Prendete il fallo di Stepinski: al 20′ e in quel contesto di gioco un arbitro deve assumersi l’onere della decisione valutando la dinamica in cui avviene l’intervento scorretto. Stepinski non vuole far male e non ha intenzione nemmeno di commettere fallo. Bastava il giallo. Ma è chiaro che se ricorri al Var – che fissa solo il fatto in sé decontestualizzandolo – la prospettiva cambia. Ma allora dovremmo chiederci: è ancora calcio? Il calcio è sport dinamico e di contatto, non è per definizione “oggettivo” o “scientifico”, insomma non è il tennis o la pallavolo che si prestano alla tecnologia o nei quali infatti la tecnologia funziona benissimo. Storia vecchia, direte, di cui si discute da un anno, dall’ingresso della “moviola in campo”. Sia chiaro, bene la tecnologia, ma se da strumento di aiuto diventa soggetto prevaricante allora si trasforma in tecnocrazia.

Ma dicevo, guai a piangere vittimismo. Juric intelligentemente non si è prestato, sa come funzionano certe cose. Il rischio involontario sarebbe dare alibi alla squadra, che sarebbe più debole se si sentisse perseguitata. Alla terza giornata e con 4 punti in classifica sarebbe ridicolo. Meglio ripartire dalle (tante) cose buone viste ieri sera e analizzare quello che ancora non va.

Mi è piaciuta la difesa: qui si sta confermando Rrhamani e imponendo Kumbulla, sempre più bravo. Gunter ancora non mi convince e l’ingenuità sul rigore non è un errore veniale. Difetti? Noto una certa lentezza, si soffre sulle infilate verticali. Juric – in attesa di avversari più dinamici del Milan –  deve metterci una toppa con la tattica. Mentre poco si può fare sull’altra carenza: siamo “corti”, non vedo alternative all’altezza dei titolari. Durante il mercato, mentre tutti parlavano della punta, scrivevo che serviva inserire almeno un altro difensore. Messaggio inascoltato.

Si conferma il centrocampo. Il reparto è ben assortito,  ci sono qualità, quantità e alternative. Attenzione a Pessina: questo che tu lo metta regista o sulla trequarti ha le movenze del grande giocatore. Lazovic a sinistra è sacrificato: aspettando Adjapong, Juric rifletta.

In attacco Stepinski, in quei venti minuti, ha confermato i limiti noti su quel pallone giocato male (cento tocchi fino a perdere il tempo) nei pressi dell’area. Deve ambientarsi e lavorare per migliorare i fondamentali.  Contro la Juve proporrei Di Carmine e non Tutino falso nove: il Verona deve abituarsi a giocare con un centravanti vero per trovare la sua fisionomia offensiva, oggi ancora carente.

Infine un plauso a Juric: la squadra è organizzata e ben disposta in campo e con una notevole condizione atletica (da anni non vedevo il Verona a questi ritmi). Il tecnico però deve incidere maggiormente sul gioco sulle fasce laterali e sulla fase offensiva in generale.

 

BRAVO JURIC, MA C’È ANCHE QUALITÀ

Ci dovremmo mordere la lingua dopo i (frettolosi) giudizi del post Coppa Italia. Il Verona conferma, anzi migliora, le note positive viste con il Bologna. La squadra ha un’ossatura forte nel centrocampo, dove Juric ha qualità e abbondanza. Veloso è un regista che finora aveva dimostrato il suo valore più nella nazionale portoghese che nel Genoa, ma il Verona sembra cucito su misura per lui. Amrabat sta confermando quando di buono ha fatto vedere in Belgio, non a caso è nazionale marocchino e ha presenze in Champions ed Europa League e all’ultimo mondiale russo. Veloso e Amrabat hanno tutto per diventare i leader di questa squadra. E se le alternative sono il ritrovato Henderson e Pessina capite che il valore della mediana è da salvezza tranquilla. In mezzo al campo l’asse D’Amico-Juric ha lavorato benissimo.

Sulla trequarti Zaccagni sta confermando quanto si pensava. Che potesse fare strada lo si era intuito già ai tempi di Mandorlini, oggi Zac è maturo e completo. Abbiamo in casa un grande giocatore, eredità ancora dell’ottimo lavoro di scouting di Sogliano, Gemmi e Calvetti.  Accanto a lui può esplodere Tutino, ma molto dipenderà dal centravanti che arriverà.

In difesa, lo ammetto, mi sta stupendo Kumbulla, sui cui però rimango tutt’ora cauto. Non voglio ancora dare giudizi definitivi su di lui, ma due indizi (Bologna e Lecce) ci avvicinano alla prova. Accanto a lui sta emergendo prepotentemente Rrhamani, il kosovaro pare abbia ritrovato lo smalto di due stagioni fa alla Dinamo Zagabria. Con Amrabat è l’operazione migliore (anche come investimento) del mercato del Verona. Continuo a pensare che serve chiudere per un altro difensore, perché Bocchetti e Gunter possono essere utili ma va testata la loro condizione sull’intero campionato.

Oggi si conclude il mercato. Ovviamente torniamo sulla mancanza di un centravanti. Serve uno che segni almeno 10 gol e che faccia salire la squadra per valorizzare ancora di più le doti di Tutino. Se arriva il Verona sarà competitivo per la salvezza. Perché valgono due assunti: questa è la migliore squadra costruita negli ultimi quattro anni, tuttavia giochiamo nella serie A più forte dal post Calciopoli. Ancora troppo presto per dare un’adeguata lettura di questo campionato.

 

SPIRAGLI

Si apre un varco alla speranza. Il Verona contro il Bologna, tra mille difficoltà, oggettivi limiti ed evidenti sbavature, ha mostrato alcune cose buone. In primis il centrocampo, che ieri ha dato l’impressione di essere all’altezza della serie A. Partirei da qui. Il reparto cuore pulsante di ogni squadra nel Verona non sfigura: con Veloso, il redivivo Henderson e poi il guerresco Amrabat abbiamo il giusto mix di qualità e quantità. Se Veloso non sorprende e Amrabat ha confermato attitudini che gli addetti ai lavori conoscevano già (il Feyenoord due anni fa gli fece un quadriennale e il ragazzo segnò in Champions al Napoli), un pensiero lo spenderei per Henderson, di cui Sean Sogliano – che lo scovò in Scozia – in privato mi ha sempre parlato bene, anche e soprattutto nei giorni in cui lo scozzese al Verona con Grosso si era perso: “Guarda che questo qui è un grande giocatore” mi rassicurava Sean di fronte alle mie perplessità. E anche Claudio Calvetti un anno fa mi disse: “Henderson è già da serie A”. Potremmo aver ritrovato un giocatore.

L’altro dato positivo è come il Verona sia riuscito a girare mentalmente la partita. Sotto di un gol, con un uomo in meno e con Silvestri sugli scudi pareva essere una serata segnata. Invece il numero di Veloso e un maggiore ordine tattico nel secondo tempo hanno cambiato il volto del match. Sia chiaro, il Verona ha pensato quasi esclusivamente a difendersi, ma nella ripresa senza soffrire smodatamente. C’è da dire che molto ha contribuito l’indolenza di un Bologna astratto e sotto ritmo.

Prendiamoci il punto. Tuttavia – e questo è bene sottolinearlo a caratteri cubitali – non si pensi di essere a posto. L’Hellas visto ieri non ha un pacchetto difensivo adeguato: bene Rrahmani, l’unico a salvarsi lì dietro, ma Kumbulla è acerbo e Bocchetti ha evidenziato notevoli limiti atletici. Su Davidowicz mi fermo per carità di patria. Solo un appunto, non era sufficiente in B, figuriamoci in A. Servono due difensori di livello.

Infine il capitolo attacco. Ieri abbiamo giocato senza un centravanti. Niente di sorprendente, si sapeva. Chapeau a Tutino (seconda punta) per la sua generosità e per essersi sacrificato, ma è chiaro che tutti aspettano l’attaccante del salto di qualità. Due i nomi : Simeone o Babacar. Loro più i difensori. Altrimenti salvarsi sarà impresa improba.

 

MR. SETTI ALL’ENNESIMA LOTTERIA?

Le discussioni sul calendario – se è bello o brutto, le grandi prima o dopo e balle varie – mi appassionano come una lezione di botanica sistematica. Ancor meno la chiosa, originale come la base di un Karaoke di provincia, “prima o poi bisogna incontrarle tutte”.  Se proprio, l’unica cosa sensata sarebbe guardare le ultime giornate e non le prime e immaginare la situazione delle avversarie a fine campionato. Perché, si sa, che a quel punto le partite sono condizionate dalle motivazioni e i punti vengono concessi o guadagnati allegramente. Può essere ovviamente un esercizio pleonastico, ma forse anche più verosimile di quanto si immagini (e comunque, ripeto, migliore dei soliti dibattiti) guardando la fascia tecnica e lo storico delle avversarie. E il Verona chiuderà con Atalanta, Torino, Lazio, Spal e Genoa.  Fuori casa solo Toro e Genoa. Buono, o non buono? Ovviamente oggi non si può sapere: Spal e Genoa, con cui i rapporti societari sono molto buoni, potrebbero essere impelagate nella bagarre salvezza; la Lazio dell’amico Lotito in corsa per la Champions, l’Atalanta e il Toro chissà. Ci fermiamo qui.

Di mercato invece ho promesso di parlarne dopo metà agosto, ma oggi si possono già valutare alcuni fatti. Il primo: il protagonista della campagna estiva è Ivan Juric, tuttologo, allenatore manager di questo Verona. Setti pare avergli dato carta bianca, lasciando a D’Amico il mero lavoro operativo. Veloso, Rrhamani, Gunter e Bocchetti, cioè quattro delle cinque new entry, sono roba sua. Giocatori anche interessanti, ma – come ho scritto nelle schede di presentazione per questa testata e qui siamo al secondo fatto – con l’incognita della tenuta atletica per Bocchetti, Badu e Gunter, reduci da infortuni seri, e dell’impatto ambientale (ergo il calcio italiano) per Rrhamani. Mentre su Veloso resta la spada di Damocle di una carriera da (parziale) inespresso. Terza questione, sono ancora scoperti ruoli cruciali nel sistema di gioco dell’inquieto allenatore di Spalato: i due esterni di mediana, il trequartista (o la mezzapunta) e il centravanti. Manca ancora un mese alla chiusura delle trattative, ma è evidente che questi non sono dettagli. Giusto procedere con razionalità, altrettanto darsi un po’ una mossa.

E’ un’ovvietà affermare “aspettiamo il verdetto del campo”, ma l’esercizio della critica (e dei tifosi pensanti) è cercare di capire prima cosa possa mancare, senza per questo passare da menagrami o “gufi”, i ridicoli insulti gentilmente “dedicati” a chi esce dal conformismo. Quelli che oggi ancora mancano, per esempio, sono adeguati investimenti per la serie A. Finora il grosso del mercato è fatto da prestiti o svincolati e visti gli ultimi anni la fiducia scarseggia. Perfino le altre neopromosse (il Brescia in particolare) sembrano avere qualcosa in più a livello di denari, in generale quest’anno non si vedono concorrenti già spacciate. L’impressione è che si voglia, ancora una volta, giocare con il fuoco e provare a vincere la lotteria.  Aspettando agosto, così è (se vi pare).

MAURIZIO NOSTRO È TORNATO (RANZANI)

Ranzani splende in estate. Che, si sa, è la stagione dell’amore e delle smargiassate. Il Setti che si presenta in ritiro con la Mustang gialloblu, o che mette sul banco 50 euro e offre la birra ad alcuni tifosi, riveste i panni del suo alterego più amato. Ranzani – in pieno smalto nei primi tempi del Setti presidente –  ci aveva (apparentemente) lasciato in questi anni difficili per il Verona. Maurizio nostro parlava come un triste e cereo ragioniere: “Prima il bilancio” ammoniva con tediosa nenia moralisteggiante, neanche fosse una mamma petulante. Eppure, cogliendo gli attimi di un’espressione, i millimetri di un sopracciglio alzato o abbassato, o di un nervoso sbuffo, capivi che il Setti in quei panni minimalisti ci stava stretto. Gli emiliani mica sono veneti: il basso profilo non lo amano, al limite lo sopportano per contingenza.

Sarà la serie A, sarà che le stagioni cambiano, saranno le grandi velleità che si respirano in città (il nuovo stadio), sarà che Setti lo hanno pure invitato alla prima de La Traviata in mondovisione con tutti i vips (e la camicia dello smoking un po’ stroppicciata e l’occhialino scuro-trasparente erano due perle in quell’ingessatissimo contesto istituzionale), sarà tutto questo, ecco, ma Maurizio nostro sembra tornato in lui.

Nel frattempo ora si occupa pure in prima persona delle trattative di mercato e ha assunto (sempre a buon mercato, sia chiaro) un allenatore che ha il pregio perlomeno di parlare con nettezza inusitata e poca diplomazia. Domenica scorsa Juric è stato trasparente quando ha confermato che i nuovi Veloso e Badu sono tra i pochi a essere giocatori di serie A, che servono ancora molti altri innesti per non ripetere gli ultimi due campionati di serie A da comparse. Juric poi ha spiegato nei dettagli cosa si aspetta da uno dei nostri calciatori più forti, Zaccagni.

Insomma, ancora non mi sbilancio sul Verona che sarà (troppo presto), ma perlomeno siamo qui che possiamo parlare di calcio e sfottere amabilmente Setti che torna a regalarci le sue teatrali gestualità e che certo nell’estetica del racconto ci piace di più così. Il resto rimane tutto da capire e da realizzare: gli investimenti, il consolidamento eccetera. E le perplessità e le critiche ovviamente rimangono forti. Aspettiamo una ventina di giorni per saperne di più.

JURIC E IL CERINO IN MANO A SETTI

Ivan Juric non ci ha pensato più di tanto martedì in conferenza stampa. La dichiarazione che conta è una e solo una: “Bessa e Pazzini sono tra i pochi della rosa che hanno dimostrato di poter giocare in serie A”. La frase, se da un lato sottintende che anche altri potranno dimostrarlo, svela quello che oggi è il vero problema del Verona: non solo salvarsi, ma costruire una squadra che (perlomeno) possa giocarsela. Il contrario, cioè, di quanto accaduto due anni fa. E meno del minimo sindacale per un Setti che – smarrita la promessa di consolidamento – dobbiamo quasi pregare per chiedergli di poter concorrere con orgoglio. E poi dicono che siamo di grandi pretese…

Tornando a Juric: le sue parole spengono la musica e le luci della festa di un mese fa. Si torna a guardare l’orizzonte con lucidità. La considerazione è presto fatta, il Verona è salito in A per tre fattori: Aglietti, una botta di culo e i problemi del Palermo. Non certo per un progetto, o per una squadra così competitiva da permetterle oggi solo qualche ritocco di sostanza.

In particolare il pensiero del tecnico di Spalato per Bessa mi ha fatto piacere. Intanto perché ho un debole per il talento di questo ragazzo. E poi perché due anni fa Bessa fu trattato male, forse quasi per giustificare alla piazza la sua cessione con la squadra in piena zona retrocessione.

Tuttavia nominare Bessa (che potrebbe andarsene) e Pazzini (che presto ne fa 35) come tra i pochi da serie A, dà proprio l’idea della strada in salita e del tanto lavoro che attende la società. Il tempo c’è e io non sono mai stato nemmeno contrario ai colpi last minute di agosto. Ma quel poco che si è visto finora (prestiti, o riserve in campionati inferiori) è largamente insufficiente ed è bene dirlo subito. Aspettiamo con fiducia da protocollo. Al Verona servono cinque pedine di peso (tra cui un centravanti, un regista arretrato e due esterni di mediana) e quel tipo di giocatori, almeno negli ingaggi, qualcosa costano.

Ora insomma tocca a Setti, che si ritrova in mano con il cerino delle responsabilità. E Juric lo ha detto chiaramente.

 

L’ENNESIMA SFIDA DI UN PRESIDENTE FRAGILE

E così Ivan Juric fu. Nessuna sorpresa, la scelta era già stata compiuta prima dei play off. Chi mi segue sa che non ho mai parteggiato per la conferma di Aglietti, a cui resta il merito principale della promozione più carambolesca e fortunata della storia del Verona. Aglietti era stato scelto in un momento di emergenza e ha compiuto un’impresa meravigliosa in quel contesto. Ma era, appunto, un contesto particolare, oggi lo scenario è diverso. Quindi il suo addio, per quanto sentimentalmente amaro, sul piano tecnico ci sta.

Il punto qua è un altro. Juric era la scelta migliore tra quelle possibili? Mai come adesso allenatori liberi ce n’erano.  Io avrei preferito Iachini o Nicola, più pragmatici, esperti e certificati. E anche più in linea sentimentale con Verona (nel calcio le dinamiche sociali incidono). L’allenatore croato invece è un integralista e il suo pedigree è controverso: un inizio di carriera scoppiettante e un lento e agonizzante scemare al Genoa tra esoneri, richiamate e nuovi esoneri. Un amico – politico genovese pragmatico e genoano sfegatato – mi dice che pur essendo Juric una persona seria e in gamba, da loro non ha saputo reggere le pressioni della serie A.

Con Juric devi costruire solo un tipo di squadra in linea con il suo 3-4-1-2, che poi è un 3-5-2 essendo il trequartista un mediano alla Rigoni. Ma non è il momento ora di addentrarsi nei dettagli tecnici. Dico solo che servirà un mercato chirurgico: devono arrivare giocatori “di gamba” sugli esterni e pensatori veloci in mezzo al campo. Tutto il contrario della squadra orizzontale, statica e palleggiatrice di quest’anno. Ma è la storia di Setti a suggerire il contrario: il Verona dopo Sogliano non ha più fatto un mercato calcisticamente logico, perciò la scelta del monolitico Juric cozza un po’ con il modus operandi “da varie ed eventuali” del club.  Con Iachini o Nicola, allenatori adattabili alle più svariate situazioni, invece questo metodo (se così si può chiamare) era più coerente.

Neanche troppo sullo sfondo poi si riapre la ferita del presidente con i tifosi e la città, che Juric mostrano di non gradirlo affatto. In soli nove giorni Setti ha disperso quel piccolo credito (piccolissimo, per la verità) che si era riguadagnato (si fa per dire…) con la promozione. Nove giorni nove per polverizzare tutto. Un record che solo Setti e suoi inesperti pretoriani potevano compiere. Ma non mi sorprende neppure questo.

Ma soprattutto resta quell’eterno senso di precarietà di questa proprietà. Juric è una sfida, un’altra, l’ennesima. La sua storia è priva di mediazioni: in carriera ha fatto molto bene o molto male. Qui potrà fare molto bene o molto male, la via mediana non esiste con lui. Una sfida rischiosa di un presidente e un management fragili, finora non all’altezza della serie A. Insomma siamo ancora qua a contare gli spicci del fato, a sperare, privi di un progetto delineato. Come scrisse il poeta: del doman non v’è certezza. A Verona, in questa stravagante altalena tra A e B, ancor di più.

AGLIETTI, IL POPOLO DEL VERONA E LA PROFEZIA DI ADA…

E’ la notte dei rumori. Esplodono dopo l’accumulo di tensioni. Esco dagli studi dopo 4 ore di diretta a Telenuovo:  suoni di clacson sulla strada, canti euforici dalla Bra e nei vicoli, sana e benedetta sguaiatezza. Risento vecchi cori  anni novanta di un’adolescenza che fu, quando mi buttavo nella fontana e consumavo la batteria dello Zip a forza di clacson. Sorrido.  Rumore è il ticchettio adrenalinico della tastiera mentre scrivo. Vorrei mettere in ordine i pensieri, me lo impone la professione. Non ce la faccio, meglio lasciarli fluire come vengono, sparsi e immediati.

Aglietti, ecco Aglio. Ha rivendicato la sua vittoria. Beata sincerità, ha ragione dannazione. E la sua promozione, punto. Genuino, diretto e consapevole: ha trasformato la sua occasione nella sua storia. Una storia che rimarrà, a prescindere. Questo è il suo capolavoro.

I 25 mila del Bentegodi. Verona è il Verona. Il Verona è Verona. Due concetti imprescindibili. Indissolubili. Non si sono mediazioni: il Verona è passione, follia, finanche calcistica “malattia”. Puoi contestare un presidente, non perdonargli nulla degli ultimi due anni. Ma poi quando la bandiera e la causa chiamano si va oltre, si vola più alto. Squadra di popolo, interclassista, di tutti.  116 di storia sono sopra ogni cosa, prevaricano i momenti. Emotivamente è la promozione di una tifoseria infinita e di una città fortemente identitaria, che ha dimostrato ancora una volta di saper distinguere le persone dai colori, la società dal club. Una finezza meravigliosa. Rimane lo striscione di sabato a Peschiera e di ieri in curva: “Forza Verona”. Semplice, immediato, potente. Il Verona, prima ancora che Hellas. Il Verona, squadra della città. Non è solo semantica.

Lo ammetto, dopo Cittadella non ci credevo (ci speravo sentimentalmente, ma è diverso). Mi risuonavano le parole di Adailton, che anche fuori dagli studi mi spiegava del perché il Cittadella paradossalmente era fregato dal 2-0. Credevo volesse tirarmi su, poi a quelle parole ci ho pensato ogni giorno. Se lo dice lui che ha giocato anni ad alto livello un motivo ci sarà, pensavo. Eppure ancora non mi convincevo. Ha avuto ragione Ada. Profetico.

Ora deve essere solo festa. Stanotte, domani e per una settimana almeno. Ci sarà tempo per le analisi che ci portano al futuro, per approfondire quello che è stato per capire quello che sarà. Oggi, dopo due anni di merda, permettetemi, godete e godetevela e basta.

 

RISCRIVIAMO LA STORIA

Perché? Rimane, tra sconcerto e rabbia, quel perché. Perché quei cinque minuti iniziali? Che approccio è? Passi giorni a dire che il Cittadella non va sottovalutato e poi ti presenti così? “Eh ma poi abbiamo fatto la partita” dicono. Ciao core. Il calcio non è pugilato e nemmeno tennis: è lo sport più irregolare che esista, determinato dai momenti che ti crei. Hai voglia di dire che poi hai giocato bene (in realtà tanta pressione a trequarti ma pochi sbocchi puliti) creando occasioni anche clamorose (due pali e due paratissime di Paleari): ma dovevi rincorrere, è questa la differenza. E rincorrendo,, con l’affanno che ti sale, poi capita pure di prendere il secondo (pesantissimo) gol. Ne abbiamo viste di partite così nella storia del calcio, niente di nuovo. Inutile star qui a recriminare.

Scorre, di sangue e di nervi, anche un altro perché: Pazzini. Già, sempre lui ahinoi. Messo in campo un quarto d’ora quando eri già in calo fisico, quindi non sfruttato a dovere e nelle migliori condizioni, e comunque più pericoloso lui che Di Carmine nel resto della partita (i due si completano ed è un suicidio calcistico non averli messi assieme per paure e titubanze ingiustificabili). Come a Pescara, quando il Pazzo ha creato i presupposti per la vittoria. Hai il miglior cecchino della serie B e lo tieni fuori mentre la tua squadra mette una serie infinita di cross in mezzo all’area? A Cittadella se la ridevano.

Potremmo discutere, quindi, dei pali, delle parate di Paleari, di una sconfitta pesante e ai punti immeritata. Acqua fresca. Il calcio, specie in queste finali da dentro e fuori, si costruisce nei dettagli. E ieri la squadra e Aglietti hanno fallito clamorosamente nei frangenti determinanti.

Ma si può rimediare. Sarà difficile perché noi segniamo poco e il Cittadella è squadra tatticamente solida. Non la vedo sbagliare la partita della vita. E poi la storia oggi sembra dalla loro parte, come il Chievo di vent’anni fa. Ecco a cosa è chiamato il Verona, non solo a una partita di calcio da vincere con due gol di scarto, ma a riscrivere una storia che pare segnata.