Di veri direttori sportivi oggi ne esistono pochi. Molti sono scendiletto dei presidenti, che delegano sempre meno e non concedono poteri di firma o gestioni dirette del budget. È il motivo per cui ne troviamo di mediocri in serie A e di bravi nella risulta della B (vedi Marchetti).
Tony D’Amico è un operativo, nella struttura snella del Verona è titolare di deleghe pesanti, sebbene sia poi Setti a gestire direttamente le operazioni più importanti e danarose. Non stupisce dunque che D’Amico possa avere una pretendente come l’Atalanta, club nella quale la figura del manager sportivo ha ancora una sua specificità, si veda il lavoro svolto da Sartori in questi anni. D’Amico, 41 anni, ds dell’Hellas dal 2018, ma a Verona già dal 2016 come capo-scout di Fusco, è uno che è cresciuto in fretta e bene. È un sanguigno e un rampante, coltiva le sue ambizioni. Tradotto: non possiamo dare per scontato che rimanga.
I punti nodali sono due: deleghe e budget. Escluso che Setti possa ampliare i poteri di D’Amico a discapito dei suoi, non ci si deve aspettare grandi aumenti nemmeno sul budget da destinare alla squadra. Qualcosa in più ci sarà, Setti dal 2020 ha sempre gradualmente accresciuto il livello degli investimenti. Tuttavia la solfa sarà la solita: saranno ceduti i più bravi (Barak, Caprari e Casale sono gli uomini mercato), che andranno rimpiazzati senza indebolirsi sul piano tecnico. D’Amico ci è riuscito bravamente negli ultimi due anni, ma è il primo a sapere che non è scontato ripetersi sempre e in automatico.
Gli affezionati lettori sanno come la penso: il Verona resta, gli uomini passano. Il mio pensiero è anche la filosofia di Setti, che non si è mai legato a nessuno più del necessario. Ha ragione. Personalmente ho sempre rigettato la mitizzazione degli allenatori, che fossero Mandorlini o Juric. Sul lavoro di quest’ultimo abbiamo vissuto un po’ di rendita anche quest’anno, eppure è stato giusto separarsi se non c’erano più le condizioni di stare assieme. Le motivazioni sono alla base di tutto, valeva per il tecnico croato, determinante per il consolidamento del club, vale per D’Amico. Dico però anche che un direttore sportivo, per certi equilibri, può essere più importante di un allenatore.
Oggi D’Amico rappresenta innanzitutto un metodo di lavoro che si sposa perfettamente con la struttura che ha creato Setti. Questo ingranaggio è più sottile e difficile da replicare di un modulo di gioco. Di allenatori ce ne sono tanti, più o meno bravi certo, ma è una categoria maggiormente intercambiabile. Siamo a uno snodo decisivo per il Verona, che per la prima volta dagli anni ‘80 farà il suo quarto torneo di serie A consecutivo. Ci stiamo consolidando, ma non ci siamo ancora consolidati. La differenza è tutta qui. E richiede di non sbagliare la scelta sul diesse.