QUESTA VOLTA SETTI HA AVUTO IL CORAGGIO (E L’UMILTÀ ) DI DARSI TORTO

No, questa volta non moriremo di “pecchismo”. Setti quattro anni fa – 2017-18 –  lasciò la barca placidamente affondare, confermando Pecchia fino alla fine di quella disgraziata stagione, culminata con la più infausta retrocessione dalla A alla B della storia del Verona. Anche con Grosso, l’anno dopo, si aspettò la disperazione dell’acqua alla gola per cambiare e chiamare Aglietti.

Setti questa volta si è dato una mossa con velocità disarmante e inusitata per i suoi standard. Via Di Francesco dopo tre partite. Giusto così. Il tecnico abruzzese è parso da subito un pesce fuor d’acqua e solo i trinariciuti su social e media “lealisti” hanno finto di non accorgersene.

Chi vi scrive, su questa testata aveva espresso forti perplessità sulla scelta del tecnico già il 13 giugno, poche ore dopo la sua presentazione. (https://tggialloblu.telenuovo.it/hellas-verona/2021/06/13/barana-sara-ridimensionamento-ma-di-francesco-deve-avere-carta-bianca). Concetti che avevo ribadito il 18 agosto alla vigilia del campionato (https://tggialloblu.telenuovo.it/hellas-verona/2021/08/18/barana-ok-i-giocatori-lincognita-e-lallenatore-ecco-perche).  Quindi non sto qui a dilungarmi su cose già dette

Piuttosto plaudo Setti, che questa volta ha avuto il coraggio di darsi platealmente torto (rispetto appunto alla scelta estiva) pur di salvare il bene superiore: il Verona. Per chi in passato ha peccato (mortalmente) di orgoglio e superbia, è una svolta morale non da poco. Insomma, per dirla con un po’ di sana demagogia:  non è più tempo di paracaduti.

Torno a ripetere quanto detto e scritto nelle scorse settimane: come parco giocatori il Verona è tranquillamente da salvezza. Magari non da parte sinistra della classifica (quello è stato l’effetto di un tecnico straordinario come Juric), ma in grado di mettere dietro 5-6 squadre sì. Lazovic, Faraoni, Barak, Simeone, Ilic, Magnani, Cancellieri, Tamezé (e ci metto dentro anche il desaparecido Kalinic e Lasagna) sono giocatori di tutto rispetto nell’attuale (scadente) serie A.

Il nuovo allenatore Tudor, se vogliamo, non mi entusiasma in assoluto, ma per temperamento e una maggiore somiglianza calcistica al concittadino Juric, mi sembra già più adatto a raggiungere il minimo sindacale, pur senza frizzi e lazzi. Non è l’allenatore dei sogni, ma nemmeno un equivoco come Di Francesco.

 

DI FRANCESCO E I FANTASMI DEL (NOSTRO) RECENTE PASSATO

“Manca l’analisi” cantava caustico Venditti in Bomba non Bomba. Manca l’analisi all’Eusebio (poco esuberante) Di Francesco. Per carità, non vorrei mai che il nostro si trasformasse nel Gianni Cuperlo del calcio – il riferimento è al colto e mite dirigente del Pd specializzato da anni nella grama materia dell’ “analisi della sconfitta” (del suo partito). Anche perché auspicherei che il Verona cominciasse a macinare punti e non a collezionare compassionevoli e ipocriti complimenti. Tuttavia dall’allenatore del Verona mi aspetterei anche che, mediaticamente, uscisse dalla bolla delle solite messe cantate sullo “spirito” da cui, ci mancherebbe!, bisogna ripartire e, magari, desse qualche spiegazione in primis sui sei gol beccati in appena due partite nel proprio stadio.

Diciamocelo, il buon Eusebio, persona a modo e rispettabile e allenatore dalle comprovate conoscenze, storicamente non passa per un “drago” della fase difensiva e le stimmate zemaniane di inizio carriera, nel paese delle radici o (fate voi) delle etichette, pesano non poco. Il fatto è che Sassuolo e Inter non hanno contribuito a mettere in discussione questo stereotipo, anzi. A oggi, il Verona, dopo approcci interessanti alla partita nei quali la mole di gioco non manca (ma con l’Inter occasioni vere prima del gol zero), si squaglia, diventa burro, cala d’intensità e concentrazione (e anche fisicamente), così “s’allunga” e buonanotte.

Non è nemmeno questione di singoli, perché gli stessi con il precedente allenatore formavano una tra le migliori difese del campionato (tralasciando i sonnolenti finali senza più obiettivi). Certo, qui lo diciamo da due anni che Gunter è inadatto alla serie A e che Juric ne nascondeva (anche se non del tutto) i limiti. Lo stesso si può dire per Dawidowicz. Ma Magnani è un ottimo difensore, il nostro migliore, Ceccherini uno che in categoria ci sta onestamente. E aspettiamo l’inserimento di Sutalo. L’impressione però è che il vulnus sia  nell’impostazione d’assieme, che rende il Verona troppo morbido quando la palla l’hanno gli avversari.

La sosta può dare respiro all’allenatore, permettergli di riordinare le idee e magari ridisegnare il Verona a suo piacimento. Ecco, non vorrei che ci fossero degli equivoci di fondo che nascono dal nostro ingombrante e recente passato. Lo abbiamo scritto il giorno della presentazione del tecnico e lo ribadiamo oggi: Di Francesco sia se stesso fino in fondo, poi vada come vada. E’ ora di emanciparsi dai fantasmi di ieri.

PIÙ CHE LA PUNTA, (NON) POTÉ LA FASE DIFENSIVA

A forza di parlare della punta (tradizionale hit estiva) ci siamo dimenticati come si difende. E così ieri con il Sassuolo ci è toccato assistere alla “passione” di Gunter e Dawidowcz, che già non sono draghi di loro, a impacciate costruzioni dal basso di difensori che non hanno certo piedi di fata (e allora a cosa serve il regista basso a centrocampo?), a soventi infilate del Sassuolo nelle nostre vaste praterie centrali. Insomma, un martirio difensivo. E non mi riferisco solo ai gol subiti, ma anche ad altre situazioni poi sbrogliate last minute con affanno.

Ora, ognuno scelga la prospettiva che vuole per analizzare l’esordio di ieri. Elementi ce ne sono, l’uomo in meno per tutto il secondo tempo, i gol sbagliati, i se e i ma.  Tutto perfetto. Aggiungici anche qualche scelta tecnica da rivedere: auspico che l’investimento societario per Ilic trovi riscontro in campo e non in panchina; che Magnani, il miglior marcatore sull’uomo che abbiamo, sia titolare in difesa. Rimane però un fatto incontrovertibile: una squadra, qualsiasi squadra, che vuole salvarsi non può essere così morbida in fase difensiva. Poi, per carità, si continui a parlare della punta: magari sono gli stessi che un anno fa ti additavano se mettevi in dubbio la condizione fisica di Kalinic – che Ranzani nostro aveva spacciato per colpo del secolo – o se sottolineavi che (il bravo) Lasagna non è una punta centrale eccetera eccetera.

Il Verona, in serie A, non schiera un centravanti decente dai tempi di Luca Toni, ma nelle ultime due stagioni, quando i punti contavano, ha supplito alla lacuna con una fase difensiva tra le migliori del torneo. Ecco, siccome la rosa è decisamente all’altezza per salvarsi,  prima di pensare alla punta (ri)cominciamo da lì.

P.S. Discorso Kalinic: o arriva un attaccante davvero forte, oppure se la scelta è tra i nomi che si leggono meglio aspettare il croato, che pur al crepuscolo rimane giocatore di tutto rispetto.

P.P.S. La rosa ovviamente è già competitiva così con Zaccagni e Barak, non senza. A buon intenditor…

È UN RIDIMENSIONAMENTO, MA A DI FRANCESCO SI DIA CARTA BIANCA

Se ne è andato Juric, è arrivato Di Francesco. Si è sentito di tutto, ma proprio di tutto, soprattutto contro Juric “colpevole” di essere leggermente più ambizioso (pensa te, che colpa!), ma anche contro il nuovo allenatore, come se tutto si riducesse a una questione personale. Il silenzio è sceso come una cappa di fumo invece sull’unica questione che conta,  con tanto di censura della parola che a me pare più ricca di sostanza in questa storia, la vera convitata di pietra: ridimensionamento.

Perché, diciamocelo, siamo alle solite: il Verona non approfitta di due anni in serie A , dei diritti tv che crescono e delle ennesime plusvalenze, per gettare basi un minimo più ambiziose. La scusa, ca vans sa dire, ora è il Covid, che ha sostituito le mitiche cavallette di belushiana memoria.  Se Juric va al Toro – società ricca di storia, espressione di una città metropolitana anche sul piano mediatico e con un presidente tra gli uomini più in vista d’Italia, ma non certamente una big – significa che non è stato fatto quel passo di consolidamento e crescita promesso da Setti e che invece viene ancora una volta rimandato.  Intendiamoci: consolidamento non significa solo restare in serie A, o contare gli anni di permanenza nella massima serie, ma alzare il budget e strutturare il club in modo da non rischiare (o rischiare il meno possibile) di doverla abbandonare a stretto giro. Invece l’obiettivo di partenza è ancora una salvezza con investimenti minimi, quindi sulla carta “da bagarre”, che può diventare solamente qualcosina di più se s’indovinano nuove scommesse e l’allenatore trova la chimica giusta con la rosa. Ma queste sono variabili, non certezze.

Questo ragionamento è a monte, altra cosa è il giudizio sul nuovo tecnico. Che è una persona perbene ed equilibrata, e che appena tre anni fa era considerato tra i più bravi in Italia. Arrivare in semifinale di Champions League con la Roma è da eletti (solo Liedholm ha fatto meglio), come da incorniciare fu un sesto posto con il Sassuolo. Di Francesco, va ricordato, in carriera ha fatto soprattutto bene; il male è poco ma tutto recente. Perché questa repentina caduta culminata nei due esoneri con Samp e Cagliari? Chiederlo non è un misfatto, si tratta di capire. Crisi personale dettata dal dover tornare indietro dopo i fasti europei? Esperienze sfortunate e scelte frettolose nate da compromessi rivelatisi esiziali?  Come è lecito chiedersi se le sue convinzioni tattiche (calcio offensivo che necessita di calciatori di qualità) siano adatte al budget di Setti e il suo temperamento understatement possa legare con la piazza.

Ma a Di Francesco servono soprattutto calciatori funzionali al suo calcio. Di qualità, dicevamo. Ma se il budget non dovesse permetterlo, o lo scouting non dovesse riuscirci, quantomeno si ingaggino quelli inclini per caratteristiche. Perché Di Francesco non appartiene alla categoria degli allenatori che si “adattano”, grandi pragmatici (Allegri, Ancelotti) o mestieranti di piccolo cabotaggio (Iachini, Nicola) che siano. Un conto è l’elasticità, un conto è costringerlo a giocare con schemi e moduli in cui lui per primo non crede. Gli è successo a Cagliari e abbiamo visto il finale. Ora che lo si è scelto, gli si dia carta bianca.

 

 

IL PROBABILE ADDIO DI JURIC E LE INACCETTABILI NOZZE CON I FICHI SECCHI

Ma dove lo (ri)troviamo uno così? Juric che ci fa giocare da dio. Juric che ci dà ogni stagione 7-8 punti in più. Juric che va dritto al punto, che rifletta o polemizzi. Juric istrione mattatore in una città che forse non ha gli anticorpi storici per reggerlo del tutto.

Be’ lo stiamo perdendo senza muovere un dito, Juric. E passi  il rosario di frasi autoconsolatorie che si leggono in questi giorni: da “conta il Verona” a “ce ne faremo una ragione”, fino al proverbiale e immancabile “morto un Papa se ne fa un altro”. Tutto vero.  Tutto persino ovvio. Sul piano strettamente tecnico Setti dovrà trovare un sostituto bravo – emergente o esperto che sia –  e non il solito raccomandato che vive di rendita dei fasti da calciatore. Ma non è scontato: lo “storico” non è dalla parte del presidente, che Mandorlini se lo è trovato in casa e quelli che ha scelto  – Delneri, Pecchia, Grosso, Aglietti e Juric – tre volte su cinque li ha sbagliati.

Lo stiamo perdendo non per una big, Juric, ma per il Torino, o il Cagliari, o la Fiorentina. Sia chiaro, piazze importati, club danarosi e ambiziosi, in particolare Torino e Firenze. Ecco il punto sta qui: se Juric decide di andarsene non per un vero grande club, ma per società potenzialmente “solo” medio-grandi, significa che con Setti il Verona non potrà mai fare uno step successivo di autentico consolidamento.

Una realtà che è difficile accettare dati i cospicui incassi (tra diritti tv e plusvalenze) che il Verona ha totalizzato in questi anni.  Ancor di più alla luce delle recenti notizie sull’inchiesta bolognese. Sulla vicenda giudiziaria è necessario il totale garantismo. La linea difensiva di Setti, si evince dal suo comunicato, è che i 6,5 milioni oggetto dell’indagine non sono stati sottratti illecitamente dalle casse del Verona. E fino a prova contraria, in nome del garantismo, è così. Siamo ancora in territorio di indagini, quindi in una fase precedente a un possibile rinvio a giudizio e a un eventuale processo. Restano però i fatti. Che dalle casse del Verona quei soldi sono effettivamente usciti verso altre società. Fino a prova contraria è tutto legale, ripeto, ma il fatto è che quelli erano soldi del Verona che non sono stati reinvestiti nel Verona. Questo andrà pur sottolineato, visto che la squadra pare destinata eternamente a fare le nozze con i fichi secchi, o no?

 

CAMBIAMO PROSPETTIVA: MA SETTI LO VUOLE DAVVERO JURIC?

È il silenzio che segna e misura le distanze. Tutti commentano, discutono, interpretano ogni parola di Juric, che ieri si è lamentato del fatto che Setti in questi mesi non lo ha mai chiamato o avvicinato, nemmeno per ringraziarlo. Nessuno invece che si soffermi appunto sui silenzi di Setti. Quindi sulla prospettiva di Setti. Perché, torno a ribadire, mentre tutti siamo “distratti” da Juric, è verso Setti che bisogna volgere lo sguardo per capire cosa succederà sulla panchina del Verona. Quindi mentre vi chiedete se Juric desidera davvero rimanere, la domanda vera è: ma Setti lo vuole ancora Juric? 

Chi scrive è un ammiratore incondizionato di Juric. Allenatore fantastico, dal calcio rutilante e focoso. Uomo inquieto, avrebbe detto lo scrittore Mankell, profondo, colto e complesso. Ma, si sa, il mondo purtroppo non è degli eroi, Gesù Cristo finì in croce e gli indiani furono dirottati nelle riserve dai coloni americani.

Figurarsi, nel suo piccolo, come se la passa Juric, che più brontola e più in questa storia sembra il famoso cane che abbaia senza mordere. Al contrario di Setti, che tace perché il potere è silenzio e il potere in questa storia ce l’ha lui. Non solo perché lui è il presidente del Verona, mentre Juric “solo” l’allenatore. Non solo perché Juric ha altri due anni di contratto e chi lo volesse dovrebbe pagare profumatamente la rescissione (anche qui, tutti a disquisire sul fatto che a Juric un anno fa stava bene firmare un triennale milionario, ma sfugge ai più che quel rinnovo era anche e soprattutto nell’interesse di Setti come investimento e fonte di eventuale plusvalenza). Il vero potere di Setti non è gerarchico né economico: è psicologico, cioè risiede nella sua convinzione di poter anche rinunciare a Juric senza subire danno.

Insomma Setti si sente forte, fortissimo. E non molla di un centimetro. Del resto, grazie al paracadute, ha saputo trarre profitto perfino dalle retrocessioni, figurarsi ora, pienamente in A, se lo spaventa perdere un allenatore, per quanto bravo. Le plusvalenze, dite? Merito indubbio di Juric, come a suo tempo furono di Sogliano, ma qualche milionaria plusvalenza la si è fatta persino nel rabberciato Verona di Pecchia e Fusco, nel calcio di oggi non è un affare complicato. E comunque, quel che conta in questa analisi, è la convinzione di  Setti, certo di poter continuare a fare business con o senza Juric.

Il silenzio di Setti pertanto parla eccome e lo interpretiamo così: o Juric si adegua alla politica societaria, oppure può anche dimettersi o rescindere, o persino per un periodo restare fermo con stipendio assicurato. Una politica rischiosa sul piano squisitamente sportivo. Ma Setti non fa calcio, fa il presidente-manager di un club di calcio. Non è solo una differenza sintattica, ma sostanziale. Ed è questa differenza che spiega la freddezza di Setti con Juric. 

MEGLIO TORNARE A SOFFRIRE, COSÌ NON C’È GUSTO

Mi sovviene l’esilarante gag di Massimo Troisi con Angelo Orlando in Pensavo fosse amore e invece era un calesse: “Voglio soffrire bene, con te qua non riesco, non mi diverto, soffro male”.

Ecco anch’io,  nel vedere il malconcio  Verona del girone di ritorno, soffro male e non mi diverto. Anzi mi annoio proprio. Lo sappiamo come vanno le cose da quando c’è il campionato a 20 squadre con tre sole retrocessioni: i piccoli-medi club, raggiunta in anticipo la salvezza, senza più obiettivi, anche inconsciamente mollano un po’ gli ormeggi. Così sembra quasi di timbrare il cartellino, mica è calcio, sport, agonismo.

Allora, senza fare discorsoni sulla riforma della serie A, che pure servirebbe (altroché Superlega), la faccio più semplice per gusto della provocazione e del paradosso: spero che il Verona torni a lottare per la salvezza fino (quasi) alla fine. Ovviamente poi salvandosi. Per soffrire bene, divertendosi, per dirla alla Troisi. Meglio avere un obiettivo, per quanto modesto, che non averlo.

L’anonimato crea disaffezione. Pare brutto trovarsi a non aspettare più con ansia la domenica, la partita. Manca il senso dell’attesa. I sentimenti sono anestetizzati e non ci divertiamo più. Voglio tornare a soffrire, così non c’è gusto.

IL VERONA E JURIC: SIMILI MA DIVERSISSIMI (AMORE NON È)

Nello stanco incedere di una finale di campionato divertente come un simposio di fisica quantistica, tiene banco il futuro di Juric. Pare che Setti – almeno a sentire l’allenatore – non se lo fili proprio il croato. I due non si parlano e il presidente non si è pronunciato nemmeno in camera caritatis sul futuro della squadra.

Ma Setti lo conosciamo e il ragionamento del presidente sul tecnico è semplice: ha un contratto, gli obiettivi e il budget non cambiano più di tanto, se vuole andarsene può rescindere purché qualcuno paghi. Setti non si espone perché non ha nulla di nuovo da dire. Con lui il Verona sarà sempre questo.

Quello che sorprende, ma fino a un certo punto, è che la piazza sta con Setti e inizia a borbottare rumorosamente a ogni dichiarazione di Ivan, hombre vertical, mattatore e genuino, forse anche troppo per i canoni un po’ minimalisti e prudenziali di noi veronesi, che siamo di poche parole e tendiamo a stare “nel mazzo”. Siamo matti sì, come dice il detto, ma nel gioco, nel cazzeggio. In realtà nella quotidianità siamo molto ordinati e disciplinati.

Ecco perché non sono stupito: Juric a Verona è (ovviamente) apprezzato e ammirato, ma non è mai stato davvero amato. Juric e Verona sono simili nella loro rispettiva forza identitaria, ma diversi (diversissimi) nella tipologia di identità. Juric è un anarco-libertario balcanico, figlio di un popolo individualista, che non a caso ha sempre sofferto qualsiasi regime. Ivan poi è figlio di una famiglia che la ribellione l’ha fatta sul serio, sulla propria pelle e sui banchi universitari contro la Jugoslavia comunista.

Verona, per la sua origine contadina-latinfondista e il suo tessuto di piccole-imprese familiari dove paron e operaio si conoscono, tende invece a condividere convintamente le logiche aziendali, lo status quo, e a rifiutare la ribellione. Siamo matti, certamente, ripeto, ma non rivoluzionari.

Per questo i tifosi oggi soffrono il “protagonismo” di Juric nel rapporto con Setti. Per questo i tifosi stanno perlopiù con Setti. Le dichiarazioni dell’allenatore invece sono giudicate “polemiche” e a esse si reagisce con evidente malessere.

Attenzione però. In questa storia nessuno ha torto. Non i tifosi, che amano Verona e il Verona, profonda identità da custodire sopra a tutto e a tutti. Un atteggiamento che ci ha salvato la pelle nei momenti più duri e che segna anche una “diversità” di cui siamo gelosissimi. Non Juric, che ha la sua indole altrettanto profonda e marcata, è uomo affascinante, intelligente e carismatico, ed è professionista giustamente ambizioso.

Non so se Juric e il Verona proseguiranno sulla stessa strada. Una cosa è certa: questa singolare unione di simili ma diversi (diversissimi) ha scatenato quell’euforia, quell’orgasmo di due anni meravigliosamente sopra le righe. Ma non l’amore. L’amore è un’altra cosa.

E se dovesse finire non ci sarà mai vera rabbia, ma solo gratitudine e consapevolezza delle differenze. E si andrà avanti, senza guardarsi indietro.

IL DOVERE DI SETTI? ESSERE FORTE ANCHE SENZA JURIC

Con Setti non saremo mai l’Atalanta. Mettiamocelo in testa. Mica è una polemica, attenzione, è una semplice constatazione dei fatti.  Setti non è Percassi nemmeno lontanamente e, spiace dirlo,  il tessuto economico-imprenditoriale-politico lombardo è storicamente più potente di quello veneto. L’Atalanta ha soldi (tanti), da anni un centro sportivo d’avanguardia e uno stadio di proprietà (senza messicani o bizzarrie varie).

Per ragionare sul futuro di Juric è importante partire (anche) da qui. Juric che a Verona sta bene (ampia libertà, società che si sta consolidando, ricco contratto), se ne andrà se in Italia avrà un’offerta reale (non le chiacchiere di un anno fa) dalle sette società che ci stanno davanti in classifica. In questo scenario non è pensabile che possa rimanere e non sarebbe nemmeno giusto per lui. Il Verona, con Setti, è oggi un club economicamente da 12-14° posto che negli ultimi due anni è andato sopra le sue possibilità grazie all’allenatore e alla scelta di alcuni giocatori.  Juric, se restasse, potrebbe al massimo ripetere questi due campionati (ma non è scontato), ma difficilmente potrebbe fare meglio.

Setti, insomma, non ha il dovere di trattenere Juric, perché non ne ha i mezzi. Se poi Juric – in mancanza di offerte reali – resterà, tanto di guadagnato, ma questa è una variabile che non dipende dal Verona. Dal Verona e da Setti invece dipende, eccome, la ricerca di un sostituto all’altezza. Chi scrive fu tra i pochissimi a non volere la conferma di Aglietti due anni fa, consapevole che Aglio in A non aveva mai allenato e che non ci si poteva appellare ai sentimenti o ai debiti di gratitudine. Juric fu il profilo giusto per quel Verona (che non è il Verona di oggi) che si affacciava alla serie A povero ma non più poverissimo (come ai tempi di Pecchia): un allenatore che aveva vinto in B e si era salvato in A l’unica volta che al Genoa gli avevano permesso di concludere il torneo (giusto per smentire il cliché che il croato al Genoa abbia fallito). Insomma lo Juric di allora era allenatore con potenziale, già esperto, emergente ma non ancora emerso.

Oggi il Verona, inteso come club, è ulteriormente cresciuto economicamente e quindi si può permettere un sostituto meno quotato dello Juric di oggi, ma più avanti, migliore dello Juric di allora. Questo è il dovere di Setti. Qui si misurerà la vera crescita della società: non tanto nel trattenere Juric, ma nel creare le premesse per continuare a fare bene anche senza e indipendentemente da Juric.

SETTI PRETORIANO DEL SISTEMA

Ancora una volta è stato Ivan Juric a metterci la faccia e a esigere rispetto per il Verona, che a leggere in giro sembra ridotto al rango di supermercato. Ridda di voci, retroscena, procuratori che parlano. Tutto, ovviamente, sempre e soltanto in un’unica direzione: quella delle cessioni o degli addii.

Per carità, ci siamo abituati, da provinciale sappiamo che i giocatori forti siamo destinati a perderli. Ma c’è un discorso di forma che poi si fa sostanza, che poi è anche il succo del ragionamento di Juric: non si può dare per scontato che il Verona vende questo o quell’altro, o sia a disposizione dei desiderata di altri club più ricchi. Cioè, si può anche vendere, ma non si deve darlo per scontato già adesso.

Juric ha pure chiesto espressamente che la società si faccia sentire al riguardo. Mi verrebbe da usare un’espressione tipicamente romana (“ciao core”) per dare l’idea di come le aspettative dell’allenatore naufragheranno. Setti da sempre ha scelto il basso profilo politico, decidendo di stare nel mazzo delle carte da gioco. Setti, al contrario di Juric, si adatta, vede un po’ dove tira il vento e si aggrega. Il presidente è un pretoriano del sistema, non un attore protagonista, intelligentemente consapevole dei suoi limiti, conscio che solo così può ricavarci business.

Il Verona con Setti sarà sempre a ruota dei club più potenti, sia nel palazzo quando si discutono i diritti tv, sia in sede di calciomercato. Sono le regole non scritte del sistema, che puoi modificare a tuo piacimento solamente se hai tanti capitali da poter avere peso e voce in capitolo. Altrimenti sempre pretoriano rimarrai.

Insomma, Juric ha ragione, ma rischia di abbaiare alla luna. E il paradosso è che è il primo a saperlo.