È UN RIDIMENSIONAMENTO, MA A DI FRANCESCO SI DIA CARTA BIANCA

Se ne è andato Juric, è arrivato Di Francesco. Si è sentito di tutto, ma proprio di tutto, soprattutto contro Juric “colpevole” di essere leggermente più ambizioso (pensa te, che colpa!), ma anche contro il nuovo allenatore, come se tutto si riducesse a una questione personale. Il silenzio è sceso come una cappa di fumo invece sull’unica questione che conta,  con tanto di censura della parola che a me pare più ricca di sostanza in questa storia, la vera convitata di pietra: ridimensionamento.

Perché, diciamocelo, siamo alle solite: il Verona non approfitta di due anni in serie A , dei diritti tv che crescono e delle ennesime plusvalenze, per gettare basi un minimo più ambiziose. La scusa, ca vans sa dire, ora è il Covid, che ha sostituito le mitiche cavallette di belushiana memoria.  Se Juric va al Toro – società ricca di storia, espressione di una città metropolitana anche sul piano mediatico e con un presidente tra gli uomini più in vista d’Italia, ma non certamente una big – significa che non è stato fatto quel passo di consolidamento e crescita promesso da Setti e che invece viene ancora una volta rimandato.  Intendiamoci: consolidamento non significa solo restare in serie A, o contare gli anni di permanenza nella massima serie, ma alzare il budget e strutturare il club in modo da non rischiare (o rischiare il meno possibile) di doverla abbandonare a stretto giro. Invece l’obiettivo di partenza è ancora una salvezza con investimenti minimi, quindi sulla carta “da bagarre”, che può diventare solamente qualcosina di più se s’indovinano nuove scommesse e l’allenatore trova la chimica giusta con la rosa. Ma queste sono variabili, non certezze.

Questo ragionamento è a monte, altra cosa è il giudizio sul nuovo tecnico. Che è una persona perbene ed equilibrata, e che appena tre anni fa era considerato tra i più bravi in Italia. Arrivare in semifinale di Champions League con la Roma è da eletti (solo Liedholm ha fatto meglio), come da incorniciare fu un sesto posto con il Sassuolo. Di Francesco, va ricordato, in carriera ha fatto soprattutto bene; il male è poco ma tutto recente. Perché questa repentina caduta culminata nei due esoneri con Samp e Cagliari? Chiederlo non è un misfatto, si tratta di capire. Crisi personale dettata dal dover tornare indietro dopo i fasti europei? Esperienze sfortunate e scelte frettolose nate da compromessi rivelatisi esiziali?  Come è lecito chiedersi se le sue convinzioni tattiche (calcio offensivo che necessita di calciatori di qualità) siano adatte al budget di Setti e il suo temperamento understatement possa legare con la piazza.

Ma a Di Francesco servono soprattutto calciatori funzionali al suo calcio. Di qualità, dicevamo. Ma se il budget non dovesse permetterlo, o lo scouting non dovesse riuscirci, quantomeno si ingaggino quelli inclini per caratteristiche. Perché Di Francesco non appartiene alla categoria degli allenatori che si “adattano”, grandi pragmatici (Allegri, Ancelotti) o mestieranti di piccolo cabotaggio (Iachini, Nicola) che siano. Un conto è l’elasticità, un conto è costringerlo a giocare con schemi e moduli in cui lui per primo non crede. Gli è successo a Cagliari e abbiamo visto il finale. Ora che lo si è scelto, gli si dia carta bianca.

 

 

IL PROBABILE ADDIO DI JURIC E LE INACCETTABILI NOZZE CON I FICHI SECCHI

Ma dove lo (ri)troviamo uno così? Juric che ci fa giocare da dio. Juric che ci dà ogni stagione 7-8 punti in più. Juric che va dritto al punto, che rifletta o polemizzi. Juric istrione mattatore in una città che forse non ha gli anticorpi storici per reggerlo del tutto.

Be’ lo stiamo perdendo senza muovere un dito, Juric. E passi  il rosario di frasi autoconsolatorie che si leggono in questi giorni: da “conta il Verona” a “ce ne faremo una ragione”, fino al proverbiale e immancabile “morto un Papa se ne fa un altro”. Tutto vero.  Tutto persino ovvio. Sul piano strettamente tecnico Setti dovrà trovare un sostituto bravo – emergente o esperto che sia –  e non il solito raccomandato che vive di rendita dei fasti da calciatore. Ma non è scontato: lo “storico” non è dalla parte del presidente, che Mandorlini se lo è trovato in casa e quelli che ha scelto  – Delneri, Pecchia, Grosso, Aglietti e Juric – tre volte su cinque li ha sbagliati.

Lo stiamo perdendo non per una big, Juric, ma per il Torino, o il Cagliari, o la Fiorentina. Sia chiaro, piazze importati, club danarosi e ambiziosi, in particolare Torino e Firenze. Ecco il punto sta qui: se Juric decide di andarsene non per un vero grande club, ma per società potenzialmente “solo” medio-grandi, significa che con Setti il Verona non potrà mai fare uno step successivo di autentico consolidamento.

Una realtà che è difficile accettare dati i cospicui incassi (tra diritti tv e plusvalenze) che il Verona ha totalizzato in questi anni.  Ancor di più alla luce delle recenti notizie sull’inchiesta bolognese. Sulla vicenda giudiziaria è necessario il totale garantismo. La linea difensiva di Setti, si evince dal suo comunicato, è che i 6,5 milioni oggetto dell’indagine non sono stati sottratti illecitamente dalle casse del Verona. E fino a prova contraria, in nome del garantismo, è così. Siamo ancora in territorio di indagini, quindi in una fase precedente a un possibile rinvio a giudizio e a un eventuale processo. Restano però i fatti. Che dalle casse del Verona quei soldi sono effettivamente usciti verso altre società. Fino a prova contraria è tutto legale, ripeto, ma il fatto è che quelli erano soldi del Verona che non sono stati reinvestiti nel Verona. Questo andrà pur sottolineato, visto che la squadra pare destinata eternamente a fare le nozze con i fichi secchi, o no?

 

CAMBIAMO PROSPETTIVA: MA SETTI LO VUOLE DAVVERO JURIC?

È il silenzio che segna e misura le distanze. Tutti commentano, discutono, interpretano ogni parola di Juric, che ieri si è lamentato del fatto che Setti in questi mesi non lo ha mai chiamato o avvicinato, nemmeno per ringraziarlo. Nessuno invece che si soffermi appunto sui silenzi di Setti. Quindi sulla prospettiva di Setti. Perché, torno a ribadire, mentre tutti siamo “distratti” da Juric, è verso Setti che bisogna volgere lo sguardo per capire cosa succederà sulla panchina del Verona. Quindi mentre vi chiedete se Juric desidera davvero rimanere, la domanda vera è: ma Setti lo vuole ancora Juric? 

Chi scrive è un ammiratore incondizionato di Juric. Allenatore fantastico, dal calcio rutilante e focoso. Uomo inquieto, avrebbe detto lo scrittore Mankell, profondo, colto e complesso. Ma, si sa, il mondo purtroppo non è degli eroi, Gesù Cristo finì in croce e gli indiani furono dirottati nelle riserve dai coloni americani.

Figurarsi, nel suo piccolo, come se la passa Juric, che più brontola e più in questa storia sembra il famoso cane che abbaia senza mordere. Al contrario di Setti, che tace perché il potere è silenzio e il potere in questa storia ce l’ha lui. Non solo perché lui è il presidente del Verona, mentre Juric “solo” l’allenatore. Non solo perché Juric ha altri due anni di contratto e chi lo volesse dovrebbe pagare profumatamente la rescissione (anche qui, tutti a disquisire sul fatto che a Juric un anno fa stava bene firmare un triennale milionario, ma sfugge ai più che quel rinnovo era anche e soprattutto nell’interesse di Setti come investimento e fonte di eventuale plusvalenza). Il vero potere di Setti non è gerarchico né economico: è psicologico, cioè risiede nella sua convinzione di poter anche rinunciare a Juric senza subire danno.

Insomma Setti si sente forte, fortissimo. E non molla di un centimetro. Del resto, grazie al paracadute, ha saputo trarre profitto perfino dalle retrocessioni, figurarsi ora, pienamente in A, se lo spaventa perdere un allenatore, per quanto bravo. Le plusvalenze, dite? Merito indubbio di Juric, come a suo tempo furono di Sogliano, ma qualche milionaria plusvalenza la si è fatta persino nel rabberciato Verona di Pecchia e Fusco, nel calcio di oggi non è un affare complicato. E comunque, quel che conta in questa analisi, è la convinzione di  Setti, certo di poter continuare a fare business con o senza Juric.

Il silenzio di Setti pertanto parla eccome e lo interpretiamo così: o Juric si adegua alla politica societaria, oppure può anche dimettersi o rescindere, o persino per un periodo restare fermo con stipendio assicurato. Una politica rischiosa sul piano squisitamente sportivo. Ma Setti non fa calcio, fa il presidente-manager di un club di calcio. Non è solo una differenza sintattica, ma sostanziale. Ed è questa differenza che spiega la freddezza di Setti con Juric. 

MEGLIO TORNARE A SOFFRIRE, COSÌ NON C’È GUSTO

Mi sovviene l’esilarante gag di Massimo Troisi con Angelo Orlando in Pensavo fosse amore e invece era un calesse: “Voglio soffrire bene, con te qua non riesco, non mi diverto, soffro male”.

Ecco anch’io,  nel vedere il malconcio  Verona del girone di ritorno, soffro male e non mi diverto. Anzi mi annoio proprio. Lo sappiamo come vanno le cose da quando c’è il campionato a 20 squadre con tre sole retrocessioni: i piccoli-medi club, raggiunta in anticipo la salvezza, senza più obiettivi, anche inconsciamente mollano un po’ gli ormeggi. Così sembra quasi di timbrare il cartellino, mica è calcio, sport, agonismo.

Allora, senza fare discorsoni sulla riforma della serie A, che pure servirebbe (altroché Superlega), la faccio più semplice per gusto della provocazione e del paradosso: spero che il Verona torni a lottare per la salvezza fino (quasi) alla fine. Ovviamente poi salvandosi. Per soffrire bene, divertendosi, per dirla alla Troisi. Meglio avere un obiettivo, per quanto modesto, che non averlo.

L’anonimato crea disaffezione. Pare brutto trovarsi a non aspettare più con ansia la domenica, la partita. Manca il senso dell’attesa. I sentimenti sono anestetizzati e non ci divertiamo più. Voglio tornare a soffrire, così non c’è gusto.

IL VERONA E JURIC: SIMILI MA DIVERSISSIMI (AMORE NON È)

Nello stanco incedere di una finale di campionato divertente come un simposio di fisica quantistica, tiene banco il futuro di Juric. Pare che Setti – almeno a sentire l’allenatore – non se lo fili proprio il croato. I due non si parlano e il presidente non si è pronunciato nemmeno in camera caritatis sul futuro della squadra.

Ma Setti lo conosciamo e il ragionamento del presidente sul tecnico è semplice: ha un contratto, gli obiettivi e il budget non cambiano più di tanto, se vuole andarsene può rescindere purché qualcuno paghi. Setti non si espone perché non ha nulla di nuovo da dire. Con lui il Verona sarà sempre questo.

Quello che sorprende, ma fino a un certo punto, è che la piazza sta con Setti e inizia a borbottare rumorosamente a ogni dichiarazione di Ivan, hombre vertical, mattatore e genuino, forse anche troppo per i canoni un po’ minimalisti e prudenziali di noi veronesi, che siamo di poche parole e tendiamo a stare “nel mazzo”. Siamo matti sì, come dice il detto, ma nel gioco, nel cazzeggio. In realtà nella quotidianità siamo molto ordinati e disciplinati.

Ecco perché non sono stupito: Juric a Verona è (ovviamente) apprezzato e ammirato, ma non è mai stato davvero amato. Juric e Verona sono simili nella loro rispettiva forza identitaria, ma diversi (diversissimi) nella tipologia di identità. Juric è un anarco-libertario balcanico, figlio di un popolo individualista, che non a caso ha sempre sofferto qualsiasi regime. Ivan poi è figlio di una famiglia che la ribellione l’ha fatta sul serio, sulla propria pelle e sui banchi universitari contro la Jugoslavia comunista.

Verona, per la sua origine contadina-latinfondista e il suo tessuto di piccole-imprese familiari dove paron e operaio si conoscono, tende invece a condividere convintamente le logiche aziendali, lo status quo, e a rifiutare la ribellione. Siamo matti, certamente, ripeto, ma non rivoluzionari.

Per questo i tifosi oggi soffrono il “protagonismo” di Juric nel rapporto con Setti. Per questo i tifosi stanno perlopiù con Setti. Le dichiarazioni dell’allenatore invece sono giudicate “polemiche” e a esse si reagisce con evidente malessere.

Attenzione però. In questa storia nessuno ha torto. Non i tifosi, che amano Verona e il Verona, profonda identità da custodire sopra a tutto e a tutti. Un atteggiamento che ci ha salvato la pelle nei momenti più duri e che segna anche una “diversità” di cui siamo gelosissimi. Non Juric, che ha la sua indole altrettanto profonda e marcata, è uomo affascinante, intelligente e carismatico, ed è professionista giustamente ambizioso.

Non so se Juric e il Verona proseguiranno sulla stessa strada. Una cosa è certa: questa singolare unione di simili ma diversi (diversissimi) ha scatenato quell’euforia, quell’orgasmo di due anni meravigliosamente sopra le righe. Ma non l’amore. L’amore è un’altra cosa.

E se dovesse finire non ci sarà mai vera rabbia, ma solo gratitudine e consapevolezza delle differenze. E si andrà avanti, senza guardarsi indietro.

IL DOVERE DI SETTI? ESSERE FORTE ANCHE SENZA JURIC

Con Setti non saremo mai l’Atalanta. Mettiamocelo in testa. Mica è una polemica, attenzione, è una semplice constatazione dei fatti.  Setti non è Percassi nemmeno lontanamente e, spiace dirlo,  il tessuto economico-imprenditoriale-politico lombardo è storicamente più potente di quello veneto. L’Atalanta ha soldi (tanti), da anni un centro sportivo d’avanguardia e uno stadio di proprietà (senza messicani o bizzarrie varie).

Per ragionare sul futuro di Juric è importante partire (anche) da qui. Juric che a Verona sta bene (ampia libertà, società che si sta consolidando, ricco contratto), se ne andrà se in Italia avrà un’offerta reale (non le chiacchiere di un anno fa) dalle sette società che ci stanno davanti in classifica. In questo scenario non è pensabile che possa rimanere e non sarebbe nemmeno giusto per lui. Il Verona, con Setti, è oggi un club economicamente da 12-14° posto che negli ultimi due anni è andato sopra le sue possibilità grazie all’allenatore e alla scelta di alcuni giocatori.  Juric, se restasse, potrebbe al massimo ripetere questi due campionati (ma non è scontato), ma difficilmente potrebbe fare meglio.

Setti, insomma, non ha il dovere di trattenere Juric, perché non ne ha i mezzi. Se poi Juric – in mancanza di offerte reali – resterà, tanto di guadagnato, ma questa è una variabile che non dipende dal Verona. Dal Verona e da Setti invece dipende, eccome, la ricerca di un sostituto all’altezza. Chi scrive fu tra i pochissimi a non volere la conferma di Aglietti due anni fa, consapevole che Aglio in A non aveva mai allenato e che non ci si poteva appellare ai sentimenti o ai debiti di gratitudine. Juric fu il profilo giusto per quel Verona (che non è il Verona di oggi) che si affacciava alla serie A povero ma non più poverissimo (come ai tempi di Pecchia): un allenatore che aveva vinto in B e si era salvato in A l’unica volta che al Genoa gli avevano permesso di concludere il torneo (giusto per smentire il cliché che il croato al Genoa abbia fallito). Insomma lo Juric di allora era allenatore con potenziale, già esperto, emergente ma non ancora emerso.

Oggi il Verona, inteso come club, è ulteriormente cresciuto economicamente e quindi si può permettere un sostituto meno quotato dello Juric di oggi, ma più avanti, migliore dello Juric di allora. Questo è il dovere di Setti. Qui si misurerà la vera crescita della società: non tanto nel trattenere Juric, ma nel creare le premesse per continuare a fare bene anche senza e indipendentemente da Juric.

SETTI PRETORIANO DEL SISTEMA

Ancora una volta è stato Ivan Juric a metterci la faccia e a esigere rispetto per il Verona, che a leggere in giro sembra ridotto al rango di supermercato. Ridda di voci, retroscena, procuratori che parlano. Tutto, ovviamente, sempre e soltanto in un’unica direzione: quella delle cessioni o degli addii.

Per carità, ci siamo abituati, da provinciale sappiamo che i giocatori forti siamo destinati a perderli. Ma c’è un discorso di forma che poi si fa sostanza, che poi è anche il succo del ragionamento di Juric: non si può dare per scontato che il Verona vende questo o quell’altro, o sia a disposizione dei desiderata di altri club più ricchi. Cioè, si può anche vendere, ma non si deve darlo per scontato già adesso.

Juric ha pure chiesto espressamente che la società si faccia sentire al riguardo. Mi verrebbe da usare un’espressione tipicamente romana (“ciao core”) per dare l’idea di come le aspettative dell’allenatore naufragheranno. Setti da sempre ha scelto il basso profilo politico, decidendo di stare nel mazzo delle carte da gioco. Setti, al contrario di Juric, si adatta, vede un po’ dove tira il vento e si aggrega. Il presidente è un pretoriano del sistema, non un attore protagonista, intelligentemente consapevole dei suoi limiti, conscio che solo così può ricavarci business.

Il Verona con Setti sarà sempre a ruota dei club più potenti, sia nel palazzo quando si discutono i diritti tv, sia in sede di calciomercato. Sono le regole non scritte del sistema, che puoi modificare a tuo piacimento solamente se hai tanti capitali da poter avere peso e voce in capitolo. Altrimenti sempre pretoriano rimarrai.

Insomma, Juric ha ragione, ma rischia di abbaiare alla luna. E il paradosso è che è il primo a saperlo.

JURIC COME PRANDELLI. AGGRAPPATI ALLE SUE DECISIONI

Lo dico francamente: oramai penso poco al campionato e molto a quel signore che siede sulla nostra panchina. Siamo aggrappati alle sue decisioni, come nel 2000 – un secolo fa – fummo aggrappati a quelle di Cesare Prandelli. Situazioni e tempi diversi, due Verona e contesti differenti, ma c’è una similitudine: oggi come allora molto dipende dall’allenatore e poco può fare la società. Perché quando sei un club medio-piccolo come il Verona e hai un grande tecnico è evidente che i rapporti di forza li tiene quest’ultimo. Era così ieri, è così oggi e sarà così domani.

La differenza, non di poco conto, è che il Verona di Setti è più ricco di quello di Pastorello e Juric ha altri due anni di un contratto milionario. Insomma sarebbe blindato, ma il condizionale è d’obbligo, perché sappiamo che i contratti nel calcio valgono quel che valgono e soprattutto nessuno di noi può entrare nella testa del tecnico di Spalato. Che, corteggiato dal Napoli, è comprensibile possa nutrire ambizioni tecniche che a Verona difficilmente potrebbe coltivare. D’altro canto, come spesso ripete Gianluca Vighini, qui Juric ha tutto: può lavorare in pace, è amato, insomma può esprimere se stesso.

Può bastare? Forse sì, ma non è detto. Ogni allenatore ha dentro di sé una (sana) presunzione: di poter allenare ed esprimere il suo calcio dappertutto, in particolare dove sembra impossibile. Il tifoso pensa: ma Juric sa che a Napoli con De Laurentis sarebbe un casino, chi glielo fa fare? Va invertito il ragionamento: forse Juric lo saprà pure, ma la sua (sana) presunzione (di ogni allenatore e professionista di livello) è che sarà il De Laurentis di turno a non poter fare a meno di lui.

Nel 2000 ci fu molta tristezza nel veder partire Cesare Prandelli, per altro a Venezia, in B, dove due stagioni più in là sarebbe stato esonerato e il Venezia retrocesso. Si ebbe la sensazione di un coito interrotto, di un ciclo bruciato sul più bello. Oggi l’attesa del popolo gialloblu è simile: come allora si attendeva il rinnovo di Cesare, oggi si attende la conferma di Juric per poter proseguire un qualcosa che forse ancora non si è esaurito. La speranza è che oggi il finale sia diverso da ieri.

 

L’ANONIMATO SENZA NARRAZIONE

Fatico a concepire il calcio, e lo sport in generale, se è privo di un obiettivo. Apprezzo dunque che Setti ieri abbia apertamente parlato di rincorsa al settimo posto e abbia esortato la squadra a non “perdere l’agonismo”.

Questo è storicamente il pericolo delle medio-piccole dopo un eccellente girone d’andata.  Ed è un rischio che sta correndo anche il Verona, che vive un paradosso: i suoi indubbi meriti ora lo portano a essere “noioso”, cioè privo anzitempo di un obiettivo.  Da tempo siamo inchiodati lì nel limbo del nono-ottavo posto, sempre distantissimi dalla zona rossa (e questo è un merito assoluto), eppure non in grado di puntare all’Europa. E la sconfitta di Reggio con il Sassuolo rischia di rinforzare questo limbo. Gli emiliani ci hanno superato in ottava posizione e hanno una partita in meno, come la Lazio, settima, che ha già otto punti in più.

Noi mass media possiamo inventarci “la qualunque”, raccontarla bella, ma il momento attuale è privo di qualunque reale storytelling. In più gli spalti vuoti e i bar chiusi, ergo la parte popolare del calcio, quella che è anima e narrazione a prescindere dai risultati, ci mettono il loro devastante carico a questa anonima medietà.

Vorrei il classico colpo di coda della squadra, cioè un filotto di vittorie prodigioso per riavvicinarci a una meta. Setti lo ha chiesto, forse ora si annoia anche lui.  In ballo non c”è tanto l’Europa, ma arrivare a maggio con un significato. Altrimenti, per dirla con Gianni Brera, sarà solo un masturbatio grillorum.

IL SETTI INEDITO

Il Verona con Juric è una realtà del calcio italiano: pareggiare con disarmante autorevolezza contro una buona Juventus  – non più la trascendentale di Allegri, certo, ma pur sempre squadra da terzo o quarto posto – attesta il superbo lavoro in questo anno e mezzo del tecnico di Spalato.

L’ambizione di Setti tuttavia deve essere quella di restare così a prescindere da Juric – auspicando ovviamente che l’allenatore (che ha altri due anni di contratto a cifre a sei zeri) rimanga il più a lungo possibile. Setti ci pensa; Setti (probabilmente) ci ha preso gusto; Setti potrebbe aver capito come si fa e questo sarebbe il fatto più importante. Sabato a Dazn prima della partita ha accennato anche al futuro, con una dichiarazione importante e inedita: “Il ritorno alla normalità (post Covid, nda) potrebbe farci puntare a una dimensione diversa”.  Mai prima di oggi il presidente del Verona si era esposto così. E mai si era espresso sulla stagione successiva con tale anticipo.

Intendiamoci, non credo ci saranno mai grossi investimenti (Setti con il calcio fa business e per farlo deve mantenere una gestione lineare, piatta), ma potranno ripetersi operazioni intelligenti come quella di Lasagna. Setti ha auspicato anche al ritorno del pubblico e certamente piange il cuore sapere di avere una tifoseria calorosa e fortemente identitaria costretta a restare davanti alla tv (sebbene sappiamo che il Covid ha implicazioni più serie di questa).

Ecco, diventare ancora più forti sarebbe il più bel regalo ai tifosi per quando torneranno. La bellezza di oggi passa quasi in sordina con gli spalti vuoti, sembra quasi sprecata. “La felicità è reale solo quando è condivisa” diceva Tolstoj.  L’impegno morale del club sarà farsi trovare pronto quando il Bentegodi riaprirà i cancelli.