UN CAMPIONATO ANONIMO NON BASTA AL VERONA




Sei gare sono passate, ne mancano ancora quattro per dare un giudizio, come spiegava un mese fa Nardino Previdi. Ma dopo sei partite qualche considerazione va fatta. La prima pare evidente. Il Verona non è una squadra di primo livello. Troppo ingenua, troppo debole in alcuni reparti, poco convinta dei propri mezzi.

La seconda: Previdi aveva promesso un Verona da battaglia e fino ad oggi questo aspetto non è mancato. Il Verona, anche quando va sotto, è formazione gagliarda che ha un sacco di carattere ed è capace di rimediare anche ad errori banali.

La terza: che tipo di allenatore è Remondina? E qui il punto di domanda si fa enorme. Perchè fino ad oggi è stato proprio il tecnico a deludere di più. Mi spiego meglio: Remondina, cultore del lavoro è partito con il Verona in ritiro l’11 luglio.

Da tre mesi lavora con questa squadra che è stata completamente rivoluzionata. Ma dopo tre mesi parla ancora dell’Hellas come di un cantiere aperto. Le sue scelte sono state equivoche. Prima il 4-3-3 poi il 4-3-1-2, infine ancora il 4-3-3. E non è solo questione di moduli.

Ormai dopo novanta giorni di lavoro il tecnico dovrebbe aver capito chi è pronto per giocare in questa squadra e chi no (non parliamo di qualità che è un’altra cosa). Ha fatto due buone scelte in difesa (Bergamelli e Conti) ma ha creato un sacco di casino in attacco. Tiboni è stato spostato come un birillo, immolato sull’altare del modulo. Parolo idem. I terzini non vanno in avanti, non spingono. I tempi di gioco sono approssimativi. E poi c’è la lettura della partita. Assolutamente deficitaria. Sembra quasi che Remondina debba decidere durante la settimana i cambi da fare. E che si senta più sicuro, quando come ieri, inserisce dalla panca Tiboni e Parolo e non Da Dalt e Gomez.

Infine quarta considerazione: tra quattro partite anche Previdi e Arvedi dovranno trarre le loro conclusioni. Giusto fare piazza pulita del lerciume dello spogliatoio, giusto ripartire con un monte ingaggi adeguato, giusto dare spazio ai giovani. Ma è sufficiente tutto questo per il Verona?

Sicuramente non basta, perchè da adesso in poi è bene dirlo (se non lo dicono loro pubblicamente, glielo diciamo noi): l’obiettivo minimo per Verona deve essere i play-off. Gennaio si avvicina e se i due e non sono in grado di farci fare il salto di qualità, allora resta sempre l’invito dello striscione…

 

CONVINCIAMO MAZZI A RIPRENDERSI IL VERONA

 A.A.A cercasi disperatamente imprenditore veronese interessato all’Hellas Verona. Possibilmente ricco, intelligente, ben inserito nel tessuto politico e finanziario della città, appassionato di calcio. Detta così sembra una missione impossibile. Il problema è che l’imprenditore in questione, esattamente quello che corrisponde a questo identikit, Verona ce lo aveva. E non mille anni fa. Qualche anno fa. Pochi anni fa. Giusto prima che arrivasse l’ondata di locuste vicentine. Il suo nome? Alberto Mazzi, referente della famiglia Mazzi, costruttori edili veronesi, una delle poche famiglie in cui si è tifato veramente Verona. Ora credo che la domanda, la madre di tutte le domande, è semplice: perchè l’Hellas Verona non è riuscita a tenere Mazzi? Le risposte sono ovvie. Mazzi se n’è andato lasciando il Verona con un patrimonio giocatori invidiabile, con due miliardi in contanti in banca, con un futuro davanti. Gli hanno fatto difetto in qualche momento i risultati e per questo è stato massacrato oltremisura.Credo però che oggi non si possa trovare un veronese che sia uno d’accordo con quella critica (contestazione?) esagerata. Questo è il passato, certo, ma come dico sempre: capire la storia è importante per comprendere anche il presente. E se oggi c’è una Verona-connection è anche perchè Mazzi ha ceduto allora il Verona.

Mi chiedo comunque e mi riprometto di chiederlo anche ad Alberto: è possibile oggi riannodare i fili di questa storia? Perchè Mazzi non torna nel Verona? Forse (dico forse, non fate dietrologia, non lo so è solo una supposizione) sta aspettando qualcuno che vada da lui e dica: ci siamo sbagliati, vogliamo che lei torni. Poi si potrà parlare dello stadio nuovo (immagina Alberto quanto sarebbe più facile costruirlo se lui acquistasse di nuovo l’Hellas?), di business e di tutto il resto. Ma il Verona con i Mazzi tornerebbe davvero ad essere "qualcosa" della città e non "qualcosa" di avulso. Per me questa è una strada maestra, perfino un’ovvietà. Ma, si sa, far notare che il re è nudo è la cosa più scandalosa che esista al mondo.

IL MEA-CULPA DI REMONDINA

Ne ho sentiti pochi di allenatori che hanno recitato il mea-culpa e dire a fine gara "ho sbagliato". Anzi: prima di oggi mi era successo una volta sola con Salvioni che dopo aver sbagliato un cambio (mi pare con l’Avellino), quasi in lacrime, disse: "Scusatemi, ho sbagliato io".

Remondina oggi, con grande onestà, ha ripetuto praticamente le stesse parole. La sconfitta contro il Padova è stata colpa sua e dei suoi cambi incomprensibili. Fuori Tiboni (inguardabile) dentro Da Dalt (fuori gara e fuori partita). Poi fuori Girardi e dentro Scapini, privando il Verona dell’unico vero attaccante che fin lì aveva creato qualcosa. Infine dentro anche Gomez con cambio conseguente di modulo. Insomma un casino senza confini.

Mi pare chiaro che l’allenatore si sia assunto responsabilità anche non sue per "riparare" la squadra e i giovani della rosa da inevitabili critiche. Ma secondo me ha sbagliato. Verona non è Sassuolo e se Da Dalt non se la sente di giocare al Bentegodi cambi mestiere.

L’abbiamo sempre sostenuto: Verona è una grande piazza e questi ragazzi si devono abituare in fretta. Si devono abituare anche a fare vita da professionisti. Che vanno a letto presto e tolgono Piazza Erbe e i suoi bar dalle proprie frequentazioni serali…

L’allenatore ha dato l’impressione di non avere le idee chiare e la sua dichiarazione altro non ha fatto che aumentare questa sensazione, sia dentro sia fuori dallo spogliatoio. Ora tocca a lui riprendere in mano la situazione. Prima che sia troppo tardi.

TUTTA LA VERITA’ SUL NUOVO STADIO

La questione stadio resta una questione fondamentale nella vicenda dell’Hellas Verona. Tra poco il problema esploderà in maniera deflagrante. Il Bentegodi è infatti uno stadio vecchio e ormai bisognoso di pesanti (dal punto di vista finanziario) ristrutturazioni.

Voci di Palazzo, dicono che non si può ormai più rimandare il rifacimento completo degli impianti (elettrico ed idraulico) e che tra poco bisognerà affrontare seriamente anche il problema della copertura che richiede un profondo maquillage. Non è ancora quantificato il costo di questi interventi ma è certo che si parla di cifre milionarie.

Tornerà quindi di estrema attualità la proposta di costruire un nuovo Bentegodi. Spinge in questa direzione l’amministrazione comunale guidata dal leghista Tosi, che intravvede una nuova forma di business. Stadio nuovo, infatti, uguale spazi e cubature (in termini di cemento) lasciati liberi nell’attuale zona. Tosi (o qualcuno vicino a lui…) avrebbe addirittura pensato di fare qui il nuovo polo finanziario, dopo aver bocciato l’ubicazione agli ex magazzini.

Lo stadio è fortemente voluto da Luca Campedelli assieme alla famiglia Mazzi, titolari dell’omonima impresa di costruzioni, che già aveva realizzato l’attuale impianto. Progetti che sono già sui tavoli dell’amministrazione comunale. Anche il Verona faceva parte di una società costruita ad hoc che avrebbe dovuto partecipare a questo business. Lo aveva voluto Pastorello che aveva usato come "cavallo di Troia" per arrivare in questo "salotto" Arvedi e il suo progetto che prevedeva il nuovo stadio "Arena" di proprietà esclusiva dell’Hellas, a S. Massimo nei terreni attigui all’ex seminario.

Anche "ingolosito" da questo possibile affare, Piero Arvedi aveva sbaragliato il campo da ogni concorrente, offrendo per la società di calcio cifre che altrimenti sarebbero state completamente fuori mercato, visto l’altissimo indebitamento creato da Pastorello.

In breve però Arvedi ha ricevuto una serie di no. Il primo proprio da Tosi, sebbene il conte avesse informalmente appoggiato la sua elezione a Palazzo Barbieri. Resta in piedi dunque l’idea Mazzi-Campedelli. Demolizione dell’attuale stadio e nuovo impianto nell’area verde che sta tra l’attuale antistadio, il campo di via Sogare e il Palasport.

 

 

Tutti però devono essere d’accordo. Senza il Verona (e quindi Arvedi) è durissima dare vita ad un nuovo stadio. Arvedi lo sa be

BOCCIATI, MA NIENTE DRAMMI. E NESSUN ALIBI

Sofferenza? Sì come sempre. Ma non basta questo per spiegare la sconfitta contro la Cremonese. Si parlava di esame da grande, di esame da maturità e l’impietoso responso del campo parla di un Verona bocciato. Ma sarebbe ingeneroso liquidare la questione in questa maniera. Perchè ci sono sconfitte e sconfitte. E quella di Cremona è una batosta ingiusta. Il Verona del primo tempo ha regalato una lezione di calcio. Il gol di Pesaresi ha condizionato la gara. Secondo me Rafael ha delle responsabilità, ma non ho la controprova. Poi c’è da meditare. Il secondo gol è un gol che non devi prendere. La terza rete non fa testo. Ho sentito le interviste. Si recrimina per il rigore (sacrosanto) su Girardi. Giusto da un certo punto di vista, sbagliato per altri. Giusto se la recriminazione resta nello spogliatoio dello Zini a commento della partita. Sbagliato se martedì si tirerà fuori ancora la storia. Per maturare e crescere non bisogna trovare alibi e chiedersi come mai, pur giocando peggio, la Cremonese ha vinto 3-1. Questa è la domanda che il Verona oggi si deve fare.

ESAME DA GRANDE

Una volta, non molto tempo fa, dire "incontrare una grande" per il Verona voleva dire giocare contro Milan, Juve e Inter. Nemmeno la Roma, qualche tempo fa, era considerata una "grande". 

Domenica l’Hellas, affronterà la Cremonese. Una GRANDE del campionato di Lega Pro Prima divisione. "O tempora o mores", mi pare dicessero i latini. Che aggiungevano anche: "mala tempora currunt".  Comunque sia: la Cremonese, è la prima grande del campionato che il Verona va ad affrontare.

Va da sè che l’Hellas, al confronto della Cremonese dell’Arvedi dell’acciaio, dovrebbe essere una corazzata. Ma bisogna sapersi accontentare, soprattutto dopo aver rischiato di sparire in fondo al mare con quella corazzata.

La squadretta allestita da Previdi e Prisciantelli all’insegna del risparmio, non è poi così male come poteva sembrare ai più critici. In un modo o nell’altro ha portato a casa sette punti nelle prime tre partite e ora si trova al secondo posto in classifica. Ha dato, in più, l’idea di essere una squadra vera, capace di reagire, di fare la partita e anche di soffrire.

Ora, dunque, il match con la città delle tre T (torrone, torrazzo e… non ricordo più la terza…) capita a proposito. E’ una sfida che per il Verona di Remondina è un primo importante esame. Se l’Hellas lo supererà, allora potremo già trarre qualche spunto positivo per il resto del torneo. Sbagliare gara vuol dire gettare alle ortiche quanto di buono è stato fatto in questo primo scorcio di campionato.

Intanto abituiamoci alla nostra nuova realtà. Siamo un piccolo vascello da incursione, pronti a fare del male alle grandi del campionato. E vi dirò che in fondo la cosa non mi dispiace affatto… Nella nostra storia le cose più belle le abbiamo ottenute proprio in questi panni…

PAROLA D’ORDINE: VOLARE BASSO (E RICOMPATTARCI)

Guardo la classifica e non ci credo. Sette punti…, l’Hellas ancora imbattuto, la squadra che segna e che addirittura non prende gol. Ce n’è abbastanza per infiammare gli animi, per decollare con la fantasia e iniziare a sognare. E’ l’effetto naturale che arriva dopo anni di umiliazioni, di gare scandalose (e putride…), di partite della vita (per non retrocedere). Tre partite sette punti, due vittorie: un pareggio stentato a Lumezzane, poi un successo di rimonta con la Spal, e ora i convincenti tre punti con la Sambendettese.

Ma è proprio adesso che dobbiamo tenere tutti i piedi ben saldi a terra. Noi come tifosi, ma anche la società e il conte Arvedi in primis. Primo perchè ancora non s’è vinto nulla e l’esperienza insegna come sia facile dilapidare questi illusori vantaggi. Secondo perchè l’equilibrio è un esercizio sempre utile. Terzo perchè potrebbe essere pericolosissimo accendere false speranze.

Il campionato del Verona è prima di tutto un campionato della ricostruzione, almeno così si spera. Lo spogliatoio è stato lavato dal lerciume che lo aveva ricoperto negli ultimi anni e questo è un bel risultato.

Ora però, proprio grazie a questi primi timidi risultati è necessario ricompattare l’ambiente dopo le lacerazioni che abbiamo vissuto questa estate. Società, tifosi, squadra devono ritrovare un minimo di serenità nei rapporti, evitare tensioni, smetterla con il "giochetto" se perde avevo ragione io, se vince avevo ragione io. Non credo come ha detto Previdi, ai "contestatori di professione", penso piuttosto a tifosi delusi, amareggiati e stanchi di dare credito ad ogni farabutto che s’è succeduto al Verona in questi anni.

La questione del blocco degli abbonamenti ora mi pare passata. A prescindere dalle rispettive posizioni, a mio avviso, ora è necessario ritrovare tutti assieme quella strada comune che, forse permetterà all’Hellas di risalire la china. Mentre i corvi che pensavano alla fine dell’Hellas, oggi voleranno sicuramente un po’ più bassi.

REMONDINA, IMPARA DALL’OSVALDO

Osvaldo Bagnoli aveva una sua idea di calcio. Ma prima di tutto sapeva adattare gli uomini al modulo e non viceversa. Era questo il suo segreto. “Parlo poco con i calciatori” mi spiegò una volta “e quando lo faccio è per chiedere loro dove preferiscono giocare”. Così l’Osvaldo riuscì a “inventare” il Briegel mediano e poi marcatore su Maradona, riuscì a giocare con i due attaccanti piccoli (Iorio e Galderisi) e con la torre (Pacione), fece faville con i terzini che “aggredivano” lo spazio (Marangon) e con le ali che diventavano attaccanti aggiunti (Fanna). Persino quando i dirigenti sconvolsero la sua squadra e le sue idee acquistando Dirceu per sacrificare Guidolin, Bagnoli, dopo una buona dose di incazzature, adattò la squadra alle esigenze del brasiliano e non viceversa. Altro calcio, certo. Meno pressing, non esisteva la zona se non per i centrocampisti e non per tutti. Ma la lezione “filosofica” dell’Osvaldo resiste comunque al tempo. Una squadra deve avere un progetto di gioco ma deve al contempo mettere nelle condizioni i singoli di esprimersi al meglio.
Oggi appare evidente che il Verona di Remondina gioca molto meglio con il suggeritore (Parolo) alle spalle delle punte che con i tre attaccanti voluti e preferiti dal tecnico.
Le cose migliori della stagione si sono viste proprio quando entra in campo il centrocampista ex Foligno e non con le due ali larghe e il centravanti isolato in mezzo. Il gioco del tridente è infatti funzionante se i due laterali sono veloci e sanno creare tagli e superiorità numerica. Questo, per un motivo o per l’altro, fino ad oggi nel Verona non s’è visto. Vuoi per gli infortuni, vuoi per l’equivoco Tiboni (punta centrale o laterale?). Spinto dalla necessità, dunque, Remondina ha adattato il modulo alle caratteristiche della squadra imitando in questo l’Osvaldo. Il problema è che il mister non appare convinto di questa scelta, affezionato com’è alla sua idea originale di 4-3-3. Ed è un errore grossolano che rischia di costare caro al Verona soprattutto se Remondina continuerà a perseguirlo. In questo momento, infatti la squadra non può giocare con quel modulo, non c’è niente da fare. S’è visto benissimo nel primo tempo della gara con la Spal, quando il povero Girardi veniva sommerso dai due centrali avversari, mentre i due esterni vagavano larghi come i reduci della “zattera della medusa”. Quando invece è entrato Parolo la squadra ha trovato subito la misura. Si è accorciata, ha ristabilito le distanze e il resto è venuto di conseguenza.
Quindi Remondina si faccia convinto. Non è un disonore essere un allenatore moderno e cambiare idea adattando il materiale umano al suo progetto di gioco. Bagnoli ha costruito su ciò uno scudetto allestendo una macchina perfetta. Chissà che anche il buon Gian Marco non riesca a creare, con un po’ più di elasticità, il suo piccolo miracolo.

LA PARTITA DEGLI SMS

Gara finita da un minuto. Scrivo da un internet point. Scaraventato via ragazzino inglese che sedeva davanti al computer. In spiaggia il mio tatuaggio con la scritta Hellas mi fa scambiare per un nazionalista greco. Ho spiegato già una decina di volte che non trattasi di nazione greca ma di nobile squadra pallonara veronese.
Stasera Rasu ha speso una fortuna in messagini per tenermi informato dell’andamento del match, mentre era in diretta con la trasmissione. Ho avuto anche un "infiltrato" speciale in Curva, noto frequentatore del blog, nonchè "santo" e oracolo. Pare abbia veramente doti divinatorie visto che il messaggio con il gol di Corrent era già pronto prima che il nostro "220 volt"  battesse la punizione. Non mi pare che sia stata una grande partita. Ma che bello vincere in rimonta. Adesso basta con il mojito. Andiamo con l’Ouzo. Sono o non sono dell’Hellas, in fondo?

PS: il ragazzo inglese mi ha chiesto se gli ridò il computer: Cosa faccio? Offro da bere anche a lui? Buonanotte a tutti

HO TROVATO UN HOTSPOT

Ho fatto i salti mortali, ma alla fine ce l’ho fatta. Ho trovato un hotspot wi-fi per collegarmi. Dopo quattro giorni di black-out informativo ho aperto il computer e sono volato al sito del Tggialloblu. Con la fame (e te parea…) d’informarmi sull’amato Hellas.

Ho ricevuto una prima pugnalata quando ho letto della sconfitta con il Rodengo. Una seconda quando ho sentito Remondina al microfono di Fabbri chiedere scusa. Una terza quando ho letto l’intervista di Previdi che parlava di prestazione vergognosa.

Porca put… Mi sa che ho buttato via tempo e denaro per collegarmi a Internet. Da lontano si vede tutto con occhi diversi. Ma non è che le incazzature sono minori. Ora capisco che cosa dovete provare voi tifosi dell’Hellas che siete in giro per il mondo.

Vedere la propria squadra fare schifo con i proprio occhi è doloroso, non vederla e leggere soltanto lo è ancora di più.

Potrei continuare la navigazione e guardarmi la sintesi e il 4-2. Ma risparmio i soldi e stasera mi faccio un mojito in riva al mare. Forse per dimenticare. Forse perchè è gusto così.