MAL DA TRASFERTA

Ci vuole pazienza. Però alla lunga qualcuno comincia a stufarsi. Non va preso come un segnale il fatto che il Palaolimpia ultimamente sia tutt’altro che una bolgia, però l’attesa deve finire. Prima possibile. A Brescia si sono rivisti gli stessi problemi delle precedenti trasferte: cali preoccupanti quanto inspiegabili, break pesanti che condizionano l’esito della partita. Se tre indizi fanno una prova è arrivato il momento di metterci rimedio. Marione Ghersetti dice che la squadra è ancora un cantiere aperto e deve continuare a lavorare per trovare l’intesa, Ramagli rende onore ai meriti avversari, Ganeto al momento è un mistero; però non si può continuare a suonare due spartiti diversi. Con Bologna sarà sfida alla capolista, da lì deve ricominciare la riscossa della Verona dei canestri per poi vincere il mal da trasferta, senza aspettare dicembre.

ASPETTANDO DICEMBRE

L’anno scorso la Tezenis in una stagione piuttosto ondivaga (per usare un eufemismo), batteva le grandi al Palaolimpia per cadere puntualmente in trasferta e faticare in casa contro avversarie meno titolate. Dopo quattro partite giocate (tra le quali una cancellata) finora i giganti di Ramagli hanno mostrato due volti: forti con carattere e personalità sul parquet amico, arrendevoli con debolezze e troppe pause lontano da Verona.
L’impressione è che la squadra sia ancora un po’ un laboratorio. Ma il tempo del rodaggio ormai deve finire: Westbrook sta dimostrando di avere punti nelle mani, mentre su Lawal si potrebbe scommettere che vincerà la classifica dei rimbalzisti. Come ho già fatto notare, se segnasse anche un ventello per gara non avrebbe girato il mondo calcando pure i campi libici.
Dopo il match interno con Capo d’Orlando ci saranno tre trasferte (inframmezzate dal “partitone” al Palaolimpia con Bologna) contro squadre non di prima fascia: Brescia, Imola e Trento. Un ciclo-chiave per capire quando lontano e quanto in alto potrà andare la Verona dei canestri.

VEDI NAPOLI E POI MUORI

I 51 punti segnati a Pistoia rappresentano un punto negativo dal quale, si spera, la Tezenis può solo risollevarsi. Lo stesso discorso vale per lo sconsola 4/13 dalla linea delle carità. Ce la siamo presa un anno intero con la mano quadrata di Mario West ai liberi, e adesso ci si mette la squadra intera. Lawal non sarà un realizzatore principe, cattura rimbalzi a gogò, ma non può raccogliere 2/7 dalla lunetta.
Il campionato è lungo e si deciderà ai playoff. E Giorgio Pedrollo un po’ di ragione ce l’ha quando dice che la squadra è ancora come fosse in precampionato. Però dalle prime due trasferte non è uscito nulla di buono.
E veniamo alla vittoria a tavolino di Napoli. Ci piacerebbe sapere come sia stato possibile iscrivere al secondo campionato professionistico una squadra che non riesce nemmeno ad aggiornare il proprio sito internet, ancora inchiodato su “Un nuovo gruppo per una nuova avventura”. Eppure dopo la sconfitta a tavolino sono arrivati due stop di misura. Dicono che non arriveranno a novembre. Speriamo di no, perché in caso di esclusione dal campionato le partite dei partenopei verrebbero annullate e Verona si vedrebbe privata di due punti.
Meglio serrare le fila e guardare avanti.

CALCI, SPUTI E COLPI DI TESTA

La personalità uno non la può costruire in allenamento. O ce l’ha, oppure niente. Alessandro Ramagli sta forgiando una squadra che oltre ai mezzi tecnici vuole pescare fino in fondo sul carattere dei singoli giocatori. La reazione di Trieste è emblematica. Con un particolare: rispetto all’osceno match d’andata al Palaolimpia c’era Charlie Westbrook.
Lasciando perdere vecchi luoghi comuni (una rondine non fa primavera…anche perché siano in autunno) il suo debutto è stato decisamente confortante. Per di più con Ghersetti sui legni per 40 minuti.
Ma con l’addizione americana i giganti gialloblù hanno messo anche carattere, hanno tirato fuori le palle, proprio come aveva auspicato Matteo Da Ros nell’autocritica che ha fatto il giro del web. Assumersi le responsabilità senza dare la colpe a qualche altro è già una grande qualità. Mi piace ricordare il titolo del libro autobiografico di Paolo Sollier, calciatore ribelle nel Perugia dei record: “Calci, sputi e colpi di testa”.
Poi La Gazzetta indica Verona nel poker di favorite per la promozione? Per due anni non si è mai parlato di semplice salvezza e sappiamo tutti com’è andata a finire. Quindi tocchiamo ferro, nella speranza che abbia ragione Pedrollo quando dice che è una fortuna non avere la promozione diretta. Ai playoff non sempre vince la più forte.

IL RAGAZZO DELL’85

Quando muore un giocatore la rabbia e lo sconforto sono sentimenti che prendono il sopravvento. Quando se ne va un ragazzo di 27 anni, ai suoi ricordi sul campo si sovrappongono le immagini dei suoi amici, dei suoi compagni, muti e increduli, seduti per terra fuori da un palazzetto, prima di un’amichevole che non giocheranno. Per rispetto, per dolore.

Nicola Masè era l’emblema dei giocatori “genio e sregolatezza”. C’erano momenti in cui l’avresti ucciso, ma tanti altri in cui ti chiedevi cosa ci facesse in Dnc uno con i suoi mezzi.
Parlava poco, era introverso e intransigente, ma generoso e pieno di energia. Per questo gli volevano bene tutti, tranne forse qualche avversario con il quale si era attaccato in campo.
In campo andava sempre di corsa, scontato per uno che amava le moto; una passione di famiglia, che gli è costata cara, troppo cara.

Nicola Masè era uno delle minors, ma era stato, non ancora 18enne, uno dei protagonisti della prima stagione della Sanzeno in C1, dopo il fallimento della Scaligera. Era uno dei ragazzi dell’85, la fantastica nidiata allevata da Simone Guadagnini e Fabio Barba: quattro veronesi in un colpo solo chiamati in Nazionale Cadetti (Costantino, Bolcato, Rossignoli, Masè): quando mai succederà ancora? Un gruppo irripetibile, che ha portato tutti a giocare almeno in C.
Una catena formidabile che si è spezzata improvvisamente e nel modo più straziante. Ti sia lieve la terra, Desmomaso.

PAGINA PIENA

Non guardo in casa degli altri. Non esprimo giudizi sul mercato delle avversarie. Non stilo pagelle con asterischi o stellette per le squadre più o meno favorite. M’interessa quello che ha fatto la Tezenis, come si è mosso il g.m. Giuliani su input della proprietà. Cito in ordine sparso: un nazionale (Chessa), uno che ha lavorato con gli azzurri (Da Ros), uno dei passaportati con miglior rapporto qualità-prezzo (Ghersetti), un giovane ambizioso (Ganeto), un talento emergente (De Nicolao), un gigante che promette di far bene (Lawal), uno dei più forti americani nell’ultima stagione di Legadue (McConnell), un prospetto che annuncia spettacolo (Westbrook). E il capitano, confermato alla vigilia del raduno. Temo che se le cose gireranno bene per Renzi non ci sarà posto in questo gruppo. Adesso la pagina bianca di coach Ramagli è zeppa. Buon lavoro.

ALFABETO OLIMPICO

Passano in archivio anche le Olimpiadi 2012. Breve abbecedario di pensieri e commenti da “spettatore-tecnico-tifoso” in chiave veronese, dedicati agli italiani protagonisti a Londra con qualche divagazione, lasciando stare le stelle come Bolt o Phelps, o le ragazze della scherma, sulle quali è stato detto di tutto e di più.
A – Allenatori: ma anche come Alberto (Castagnetti). Mai come a Londra si è sentita la sua mancanza. Allenatori come gli italiani Scariolo, Placì, Anastasi, profeti oltre confine.
B – Bonifacenti (Federico, allenatore nuoto): vedi sopra.
C – Calcio: a mio modesto parere lo sport che in assoluto non ha nulla a che vedere con le Olimpiadi.
D – De Vecchi (Manuel, mountain bike): ha fatto tutto il possibile per onorare la sua seconda Olimpiade, facendoci amare uno sport come il bmx, che sembra da bambini. Per uno che si cerca da solo gli sponsor, chapeau.
E – Ejjafini (Nadia, atletica): ha gareggiato per il Marocco, suo paese natale, poi per il Bahrein. Adesso per l’Italia. I criteri della Iaaf sono quantomeno bizzarri, rispetto alla severità di altre federazioni.
F – Federica (Pellegrini, nuoto): quando anche Naomi Campbell l’ha criticata è cominciata a diventarmi più simpatica. Strano che nessuno abbia cercato di spiegare che i cicli sono destinati a chiudersi e che l’imbattibilità, prima o poi, finisce. Bello vederla fare un tifo accanito alla nazionale di pallanuoto. Sulle esternazioni del boyfriend meglio stendere un velo pietoso.
G – Giudici: ginnastica, tuffi, pugilato. Ogni volta la solita storia, a quelli della finale di Cammarelle (in particolare l’americano) tutti gli insulti possibili. Molto meglio quando la vittoria è certa per chi va più forte, segna più reti, salta di più o lancia più lontano.
H – Hooper (Gloria, atletica): nata a Villafranca da una famiglia ghanese, vive a Isola della Scala. Ha cominciato a correre da poco, scoperta a scuola: ne sentiremo parlare ancora.
I – Ilva (acciaieria): il danese Anders Golding, argento nello skeet, ha dedicato la medaglia ai lavoratori dell’azienda di Taranto, dove il tiratore si allena durante l’inverno. Da ricordare. Come è da ricordare l’immagine della figlia di Farah, “costretta” dal papà appena vincitore dei 10mila a togliersi le scarpe per camminare sulla pista olimpica. Un esempio per tutti Liu Xiang che zompetta in lacrime su una gamba sola fino al traguardo dopo che gli è saltato il tendine di Achille come quattro anni fa a Pechino.
J – Josefa (Idem, canoista): a 48 anni un esempio per tutti. Sarà un caso, ma non è italiana. Ma anche come Jessica (Rossi), la più giovane medaglia d’oro azzurra.
K – Kobe (Bryant, cestista Usa): avvistato durante le gare di nuoto, in tribuna al beach volley (femminile, of course), al tennis e naturalmente alle partite delle colleghe della Nazionale femminile. Non male per una superstar dello sport mondiale.
L – Lasko (Michal, volley): è stato per tanto tempo veronese. Simbolo della nazionale di volley che si è fermata al bronzo. Ad Atlanta ed Atene aveva fatto meglio. Ma alle ancor più favorite donne è andata peggio. Commovente il gesto di portare la maglia di Bovolenta sul podio.
M – Misturini (Renato, ex atleta paralimpico): è scomparso durante le Olimpiadi. Ha finito di soffrire, gli sia lieve la terra.
N – Nereo (Rocco, allenatore calcio): “Mi te digo cossa far, ma in campo te va ti”. Vecchio detto del “paròn” che resta sempre molto attuale. Dedicato a chi dà la colpa solo agli allenatori. Poi uno come Di Capua (c.t. canottaggio) andava cacciato ben prima.
O – Olimpiadi: del calcio ho già detto. Poi c’è il volano: ufficialmente di chiama badminton. Momenti di celebrità per il “ciapanò” di cinesi, indonesiane e coreane. Con beach volley e ginnastica ritmica fa parte degli sport da giocare in vacanza al mare o al circo.
P – Pubblicità: quella Rocchetta non ha portato bene alle azzurre del nuoto. La fine delle Olimpiadi è motivo di gioia almeno perché vedremo un po’ meno lo spot Wind con Aldo, Giovanni e Giacomo, riproposto fino allo sfinimento.
Q – Quintavalle (Giulia, judo): lei, come altri campioni uscenti, ha disputato la sua Olimpiade a testa alta. Confermarsi è sempre difficile, ma esserci è già un grande risultato.
R – Roata (Lorenzo, giornalista Rai): anche questa volta ha raccontato la prima medaglia d’oro italiana. Emozioni nel tiro con l’arco. Per il resto, salvo qualche eccezione, le Olimpiadi della tivù di stato sono da “no comment”. Spesso imbarazzante, quasi sempre “vorìa ma non posso”, fino ai picchi d’insopportabilità di Bragagna, che pare godersi ad interrompere in continuazione le sue “spalle” tecniche.
S – Schwazer (Alex, marciatore): il mondo si è diviso sul caso di doping e sulla drammatica testimonianza dell’altoatesino. Qualcosa non quadra, però adesso è il tempo di lasciare tranquillo lui e la sua famiglia. Ma anche S di Sky: bravi, però con la storia dei “talent” hanno un po’ esagerato. Non devono scordarsi che chi si loda s’imbroda. E non ci s’inventa telecronisti di hockey o di pallamano dalla mattina alla sera. Un pizzico di veronesità con Eleonora Cottarelli (figlia dell’ex d.g. Marmi Lanza). Una domanda a Fiona May: ha imparato l’italiano da Don Lurio?
T – Twitter: la ricerca ossessiva dei tweet di atleti e dei commentatori più improbabili dovrebbe rientrare di diritto nella categoria “e chi se ne frega?”. Ma anche Triplo: il salto che con Donato ci ha regalato l’unica medaglia dell’atletica ed il quarto posto dell’emergente Greco.
U – Unioni: c’è quella Pellegrini-Magrini, e quella Kostner-Schwazer. Quale coppia scoppierà per prima?
V – Viviani (Elia, ciclismo): meritava una medaglia, sfuggita agli ultimi metri dell’ultima corsa. Ci ha ricordato che la pista esiste ancora, peccato che in Italia sia sempre più difficile allenarsi.
Z – 007 (personaggio cinematografico): la scena con Daniel Craig e la regina Elisabetta resta la più bella di queste Olimpiadi.

P.S. La federazione di atletica della Giamaica ha due dipendenti, tutto il resto va avanti con i volontari. In Italia i dipendenti della Fidal sono 61. Dov’è l’errore?

CRISI, ARIA FRESCA E VACANZE

52 società che facevano attività pro o nei campionati nazionali hanno rinunciato all’attività di vertice. Due in Lega A, due in Legadue, 3 in Dna, 6 in Dnb, 26 in Dnc. Altre 13 nel settore femminile.
La crisi picchia duro, soprattutto nelle minors, dove talvolta basta la rinuncia di un co-sponsor per mettere in ginocchio un club.
La parola d’ordine è: ridimensionare. A tutti i livelli. C’è chi l’ha capito, chi no. Della seconda schiera fanno parte qualche giocatore e soprattutto la Federbasket, che si è rifiutata di ritoccare al ribasso parametri e tasse varie.
Giusto escludere Treviso. Ci sono regole da rispettare (la Pallacanestro Treviso ha chiesto di fare la C regionale proprio per salvare i parametri sui giocatori usciti dal vivaio biancoverde) e si sarebbe creato un precedente.
Ma se si perdono per strada decine di realtà si dà colpa alla crisi. Non è solo così.
Per i dirigenti ogni estate è un dramma pianificare il budget e andare alla caccia di sponsor. E durante la stagione il sollecito del pagamento delle fatture insolute diventa un’ossessione.
Per fortuna ci sono imprenditori seri, affidabili e appassionati. Per fortuna c’è il “programma” della Scaligera (come l’ha chiamato coach Ramagli).
In via Cristofoli hanno aperto la finestra al primo piano, facendo entrare aria fresca. Il g.m. risponde puntualmente alle mail, svela i nomi dei giocatori seguiti e addirittura aggiorna i tifosi con un diario americano. Il responsabile dell’area tecnica non si fa problemi a confermare trattative di mercato ancora in definizione. E’ un piacere lavorare così.
In attesa che la pagina bianca di Ramagli si riempia di nomi, le mie trattative fino all’8 agosto si chiameranno spaghetti all’astice, ciavattoni ai frutti di mare, tagliatelle con il moscolo, fritto e grigliata del Conero, spigole, saraghi.

PAGINA BIANCA

Alessandro Ramagli durante la conferenza stampa ha mostrato ai giornalisti una pagina bianca: “In questo momento la squadra è un foglio vuoto, non c’è neanche un nome”. Presto su quel foglio bianco ci saranno i nomi di Matteo Da Ros e Mario Ghersetti, bloccati dalla Tezenis; per il loro arrivo manca solo l’annuncio ufficiale.
Il nuovo coach gialloblù però faceva riferimento anche alle incertezze che riguardano l’agenda del campionato e le regole sull’eleggibilità dei giocatori, con gli africani che potranno diventare “Bosman 2”.
Poi ci sono i giocatori nostrani che dovranno capire di accettare che l’attuale congiuntura ha imposto una revisione dei budget e quindi dei compensi. Il primo nome che mi viene in mente è quello di capitan Boscagin. Ma c’è anche il timore che certi giocatori (non è il caso di “Bosca”) finiscano per essere meno motivati perché pagati meno di un tempo.
Infine c’è il mercato Usa. E’ il primo vero esame per Alessandro Giuliani dopo il ritorno a Verona da general manager. La piazza si aspetta molto da lui e tutti sono convinti, a cominciare da Pedrollo, che non deluderà le attese. Mi permetto un nome, suggerito da un fidato amico, abituale frequentatore della West Coast: Casper Ware, guardia del ’90 uscita da Long Beach State. Che sia lui il rookie già opzionato da Giorgio Pedrollo?

BENTORNATO

Il desiderio di ogni genitore è di vedere i figli affermarsi e, se possibile, riuscire a superare i loro risultati quando scelgono di seguire le stesse orme professionali. Alessandro Giuliani non è più un ragazzo, quando fu costretto a lasciare Verona dopo il fallimento era un tecnico che si stava consolidando, seguirono gli anni del ticket con Lino Lardo, poi la decisione di provare a camminare con le proprie gambe. Quindi la decisione di lasciare palestra e panchina “attiva” per fare il dirigente. Soddisfazioni a Biella con due salvezze sofferte quanto meritate, un campionato appena vinto a Brindisi, dove c’è stata la rinuncia ad un altro anno di contratto (e alla serie A) per tornare a Verona.
Un ritorno a casa. Un incarico prestigioso, una proprietà che crede fortemente nelle capacità di un manager emergente e tante motivazioni per dimostrare che il nuovo corso della Scaligera Basket ha la guida giusta. Adesso dalle parole di passa ai fatti e c’è tanto la lavorare. Ma sono sicuro che in queste ore Franco Giuliani sarà un padre felice.