PAGA SOLO UNO

“Questo è il primo dei castighi: nessun colpevole può essere assolto dal tribunale della sua coscienza.” (Decimo Giunio Giovenale)

Sembra passata una vita da quando la neopromossa Urania Milano, zeppa di giocatori arrivati dalla serie B, prese a pallate la Tezenis facendo saltare la panchina di Luca Dalmonte. Invece era solo dicembre 2019. 14 mesi dopo l’avventura di Andrea Diana sulla panchina della Scaligera è già finita.
Come sempre il coach paga per tutti. Un colpevole, ma tanti imputati. Le difficoltà emerse in questa prima parte della stagione non possono essere tutte addossate solo all’allenatore. Non è dato sapere se si potrà intervenire sui limiti caratteriali emersi finora, i problemi tecnici invece spetteranno al nuovo allenatore, un cavallo di ritorno che forse non entusiasma parte della tifoseria, ma se dopo quasi 6 anni la memoria corre ancora sulla sanguinosa serie dei playoff contro Agrigento evidentemente significa che da allora poco è stato fatto per scacciare quel ricordo orripilante.
Giova rammentare, peraltro, che in gara-4, con Verona ancora avanti, De Nicolao fece 0/2 ai liberi e sfondamento sul possesso successivo, poi Monroe sbagliò un “rigore”. Tutta colpa di Ramagli anche quello?
Parliamo dell’unico allenatore che ha resistito indenne sulla panchina di Verona. L’unico a non venire esonerato, oltre a Crespi, che però nel 2016 è noto evitò il licenziamento solo grazie ad una penale insostenibile inserita nel suo contratto.

Prima e dopo è sempre finita così. Esonerato De Raffaele (quello che poi ha vinto un paio di scudetti con la Reyer), con il ritorno di Marcelletti finito con la retrocessione. Esonerato Garelli, dopo 3 giornate. Esonerato Frates, dopo 8 giornate. Poi l’era LDM. E siamo al presente.
Da un anno e mezzo a questa parte è successo altro. Confermare Dalmonte dopo l’eliminazione per mano di Treviglio (corsi e ricorsi storici…) e poi esonerarlo. Cambiare un americano completamente avulso dalla squadra con un giocatore navigato e di un altro ruolo. Confermare quell’americano dopo lo stop al campionato per la pandemia. Rinunciare a Udom e Poletti. Richiamare Greene. E l’infortunio a Pini ha complicato le cose. Poi in campo giocavano come voleva l’allenatore, che ha pure fatto dei correttivi tornando ad esempio all’antico con i P&P di Candussi e i giochi dagli angoli del Professore, ma quando le cose si mettono così male le colpe vanno distribuite. E un esame di coscienza collettivo sarebbe opportuno; come sarebbe buona cosa un’ammissione di responsabilità, almeno parziale. Comunque sia, adesso non ci sono più alibi.
Buon vento a Diana e bentornato al Reverendo. Buon vento anche a lui, è sempre quello del Tirreno.

CERCASI ENERGIA

Il mondo appartiene a quelli che hanno la maggior energia (Visconte Alexis de Tocqueville)

14 partite giocate, 6 vinte e 8 perse. Siamo oltre metà prima fase e i numeri sono impietosi. Verona è a 16 punti dalla capolista e dopo la sconfitta di Mantova è fuori dai playoff. Inaccettabile. La delusione della proprietà, legittima e comprensibile, sembrava essere stata allontanata dalla vittoria all’overtime a Orzinuovi e dal successo con Milano. Invece Torino e Mantova hanno riportato indietro le lancette dell’orologio.
Inutile girarci intorno: la Reale Mutua ha dato un segnale di forza, mostrando quelli che al momento sembrano i valori in campo. Gli Stings hanno riacceso il campanello d’allarme, con una Tezenis priva dell’energia mentale che se non è necessaria per 40 minuti filati, almeno non può spegnersi sul più bello.
E’ il problema già emerso della mancanza di leadership. Ma non solo. Una volta Verona soffre l’atletismo avversario, un’altra fatica contro un quintetto con 4 piccoli. Il gap a rimbalzo si fa sentire e nell’immediato le soluzioni possono arrivare solo dalla solidità del gruppo, perché ci vorrà un po’ di tempo per rivedere Rosselli al top e per recuperare pienamente Pini, il cui contributo manca tremendamente.
Quanto a Greene e Jones, fatturano in coppia 27,2 punti a partita. Solo due squadre hanno la coppia straniera che indice di meno: la capolista Tortona (Cannon e Sanders assicurano il 31,7% dei punti) e Torino, che con Clark e Pinkins ottiene il 26,2% della produzione offensiva, contando però sul ventello per gara di Diop, uno che non c’entra nulla con l’A2.
E al di là degli infortuni e delle prolungate criticità, la responsabilità non può essere solo dell’allenatore. Quando le cose vanno male è corretto fare valutazioni anche sull’allestimento della squadra e sulla gestione del team nel suo complesso.
La stagione è compromessa? C’è ancora tempo per rimediare, almeno in parte, e correggere il tiro. Ma occorre continuità, cominciando a vincere. Non ci sono vie d’uscita.
Nota a margine. Le partite sono a partite chiuse, i pochi spettatori ammessi fanno parte dell’entourage del club: dirigenza, sponsor, ospiti “speciali”. Lo dico perché vorrei capire chi sono i due gentiluomini che a Mantova hanno insultato Rosselli, facendo infuriare Guidone alla prima uscita da casa dopo 41 giorni di isolamento.

CIAO DADO

“Un ce n’è pane secco” (detto livornese)

Quando Dado Lombardi arrivò a Verona, nell’estate del 1987, forse all’inizio pensava che i veronesi (cestisticamente parlando) avessero un po’ l’anello al naso. Lui, con il suo fare da istrione, in perfetta sintonia con il fisico imponente (da lì il soprannome Dado), pontificava ma era pur sempre un mito della pallacanestro italiana degli anni ’60, per due volte miglior realizzatore del campionato. Tanto per capirci, due anni dopo di lui scrisse il proprio nome nell’albo d’oro un certo Radivoj Korać e poi Bob Morse. Per rivedere un italiano sarebbero dovuti passare 25 anni, con Mario Boni. E ancora per capirci, a 19 anni venne eletto nel miglior quintetto delle Olimpiadi di Roma. Un Doncić ante litteram…
Un vincente, un leader. Con 5 promozioni in serie A, da allenatore ha arricchito un palmarès ingiustamente vuoto da giocatore (titolo di cannoniere a parte). I ricordi sono logicamente legati alle due stagioni alla Glaxo, sfiorando il doppio salto dalla serie B all’A1, fermandosi solo all’ultima partita dei playout al Palaeur di Roma. In albergo cercava di spaventare chi stava ad ascoltarlo con i racconti su Er Canaro, che a poca distanza dallo Sheraton Hotel (alla Magliana, non so se rendo l’idea) aveva compiuto un orrendo delitto.
I siparietti con il compianto Pino Brumatti, con il quale condivideva l’appartamento accanto ai Portoni della Bra, erano esilaranti. Per lungo tempo andò in panchina sempre con lo stesso camicione verde a quadri, convinto che contenesse dei germi “forieri della vittoria”. E proprio per quello non lo lavava mai. Con Brumatti e Malagoli che si accomodavano a distanza di sicurezza, turandosi platealmente il naso tra gli sghignazzi.
Un po’ più nascostamente spargeva sale sotto la panchina gialloblù al Palaolimpia. Portava bene.
Non andò mai d’accordo con James Bailey e fu costretto ad abbozzare il ritorno dell’americano a furor di popolo. Gestirlo in coppia con l’immenso (e brontolone) Praja Dalipagić del resto non era facile.
Chiamato a Verona da Andrea Fadini, nella prima stagione alla Scaligera aveva una squadra illegale, con Brumatti, Claudio Malagoli, Lino Lardo, Moreno Sfiligoi, Claudio Capone, Diego Pastori, oltre a Zamberlan e Dalla Vecchia. Però sono convinto che nell’imminenza dei playoff perse apposta per tenere la squadra sulla corda, per poi conquistare l’A2 a mani basse contro Imola.
Eppure per farsi convincere ad accettare di scendere in serie B riuscì a farsi promettere dal presidente Giuseppe Vicenzi che avrebbe avuto in regalo la sua Jaguar in caso di promozione. Vicenzi mantenne assai volentieri l’impegno e al primo allenamento della nuova stagione, in A2, Dado si presentò al volante della lussuosa auto presidenziale, con Fadini e Brumatti che lo prendevano in giro sui costi per la benzina.
La saga dei livornesi sulla panchina della Scaligera sarebbe continuata, ma con te, caro Dado, non c’è stata partita…“Un ce n’è pane secco”. Ti sia lieve la terra, salutaci Pino e Claudio e vediamo se gli chiederai di difendere con la match-up.

LA PAURA E IL CORAGGIO

“Non vergogniamoci di avere paura: solo così nasce il coraggio” (Umberto Ambrosoli)

Due vittorie di fila. Il minimo sindacale, dirà qualcuno, visto che sono arrivate con una squadra ancora senza successi e con Trapani priva dei lunghi. Ma anche la Tezenis non sta attraversando un buon momento e nella sfida con i siciliani tutti i giganti gialloblù hanno risposto all’appello.
E’ bello che il mio personale Mvp sia stato Andrea Colussa, utilizzato un solo minuto nelle precedenti 7 partite. 10 punti con due triple e la voglia di far vedere di essere utile alla causa. E il record stagionale di assist (21) è emblematico sullo spirito di squadra. Greene a tratti dà ancora l’idea di limitarsi a svolgere un compitino, tuttavia con le rotazioni degli esterni ridotte il suo impiego si dilata ancora (quasi 36’). C’è stato il debutto di Leo Beghini, mentre Giorgio Calvi è rimasto sui legni. Una scelta che sembrerebbe andare incontro all’ipotesi di una sua partenza appena Pini sarà abile e arruolato.
Certo arriveranno test molto più probanti. Non sono un bel segnale i 9 punti segnati nell’ultimo quarto contro un’avversaria senza americani, lasciati in panchina assieme a Palermo da coach Parente che si è affidato a un gruppo di 2002 e al 2004 Adeola, ma la partita era in ghiaccio da tempo. E la tensione/paura gradatamente verrà spazzata via.
A questo proposito le critiche per la rimonta subita a Bergamo mi sono apparse esagerate. Prima di tutto contava vincere. E davanti a una vittoria si festeggia. In ogni caso.
Sicuramente è inaccettabile rischiare la beffa dopo essere stati avanti di 29 ritrovandosi sul +2, ma una settimana prima sul campo di Tortona la stessa Tezenis si era ritrovata nei panni di Bergamo, risalendo dal -25 al -6 in poco più di 8 minuti, quindi in un lasso di tempo anche più breve degli orobici. Per dire che una volta non può essere solo colpa di chi stacca la spina e subisce la rimonta, ma anche bravura di chi rientra in partita senza mollare mai. Perché si è avuta l’impressione che la chiave di lettura delle due partite fosse sempre in negativo nei confronti della squadra di Diana. Va bene il tifo e la passione, ma bisogna avere onestà intellettuale.

CERCASI LEADER

“Metti in tasca un pezzo di sole, ti farà luce nei momenti di bui” (Anonimo sardo)

Anche l’anno scorso Andrea Diana aveva perso quattro partite di fila dopo la vittoria all’esordio a Montegranaro. Quattro k.o. come in questa stagione balorda (sotto tutti i punti di vista), seguiti alla sofferta vittoria con Mantova.
La striscia negativa infilata dai giganti gialloblù – penultimi in classifica – ha messo a nudo alcune criticità che evidentemente sono state sottovalutate in estate durante l’allestimento della squadra. Eppure mai come quest’anno la Scaligera si era affidata ad un blocco della stagione precedente, senza rivoluzionare il roster come era accaduto quasi sempre nel passato.
Tuttavia il gruppo appare carente di centimetri e di leadership. Phil Greene è un giocatore di talento e con tanti punti nelle mani, però non è un vero leader. Guido Rosselli potrebbe esserlo per carriera e personalità, ma è difficile pretenderlo da un giocatore di 37 anni.
Sotto canestro la Tezenis paga troppo dazio, a maggior ragione con l’involuzione di Candussi, e l’infortunio a Pini ha acuito il problema. Mancano energia, dinamismo, verticalità. Camara e Mobio sono solo gli ultimi esempi in questo avvio di stagione. Pure Severini sta attraversando un momento di flessione, dovuto anche al lungo stop agonistico per l’intervento chirurgico prima dell’interruzione dello scorso campionato.
Poi anche la tenuta mentale lascia a desiderare. Il progresso palesato a Casale (ad di là del risultato finale) è stato spazzato via dagli errori in attacco contro Udine e dal terzo quarto sconcertante, con 13 punti segnati e solo 3 canestri dal campo. E una serie di extrapossessi sanguinosi che hanno marchiato l’allungo decisivo dei friulani. Palle perse ingenuamente e tiri balordi, con Bobby Jones, sul quale probabilmente si sono caricate troppe responsabilità, a 36 anni, e ora indiziato per un eventuale taglio, forse per raddrizzare un organico che sta deludendo profondamente la proprietà.
Diciamola tutta, l’Udine vista all’AGSM Forum è apparsa più forte di Verona. Panchina profonda, rotazioni che garantiscono equilibrio e continuità. E mancava pure Antonutti.
La prima partita del 2021 contro Bergamo (anno nuovo vita nuova, in tutti i sensi) sarà probabilmente lo spartiacque in questo tormentato avvio di stagione. Intanto l’omaggio a Giampaolo Cau, l’osteopata duramente colpito dal Covid, meritava da solo la vittoria.
Buone Feste a tutti, ne abbiamo davvero bisogno.

PUGNALATA

“Una pugnalata alle spalle. Ciò mi dà una forza che tu nemmeno immagini”. (Alberto Bevilacqua, “Il gioco delle passioni”)
Svegliarsi. E’ quello che chiedeva coach Diana e la risposta dei giganti gialloblù c’è stata. Determinazione, continuità, concretezza. La difesa a tratti lascia ancora a desiderare, visti i 93 punti subiti, ma non c’è ricordo di un’avversaria che ha tirato con il 68% da 3, toccando l’88% nella ripresa.
Insomma, Casale ha fatto canestro ogni volta che ha alzato la mano, a volte allo scadere del possesso; canestri sanguinosi che hanno pesato sulle energie mentali spese dai giocatori della Tezenis, sebbene qualche giocata talvolta è apparsa evitabile. Così al Palaferrari si è consumata una “pugnalata” (Andrea Diana cit.)
In casa Scaligera resta da risolvere il “mistero Candussi”: 10 punti nel primo tempo con presenza nel pitturato, 5’ in tutta la ripresa restando in panchina dopo due tiri sbagliati. Una scelta tecnica di Diana che ovviamente è legittima, anche se Verona ha pagato dazio in centimetri in una serata storta di Jones e con il 19enne Camara che si è fatto valere non poco.
E qui viene a galla l’altra perplessità. Da Biella a Casale, da Berdini a Sirchia, da Bertetti a Camara, la Tezenis si è trovata come competitors dei ragazzi, anche under 18, che hanno dato sostanza alle rotazioni avversarie, tenendo il campo con personalità ed energia anche con minutaggi sostanziosi. Al di là dei vari ruoli e del diverso contesto, è altrettanto legittimo chiedersi se Guglielmi, Cervi (al debutto a Casale, utilizzato 2’20”) o Colussa devono servire solo per gli allenamenti o se possono essere utili anche nelle partite, allungando un po’ le rotazioni.
Intanto gli altri giovani giocano e portano mattoni per costruire la vittoria, i nostri per ora stanno seduti in panchina. E il calendario adesso riserva il doppio big match con le prime due in classifica, ma con la convinzione che anche sconfitte così beffarde, anche le pugnalate danno la forza per la riscossa.

LEZIONE DI ENERGIA

“Ci sono due regole nella vita: 1. Non mollare mai; 2. Non dimenticare mai la regola n° 1”. (Duke Ellington)

Un tifoso di ferma al bar all’indomani della sconfitta con Biella: “Semo massa molli!”.
In tre parole la sintesi della partita che ha visto i giovani piemontesi impartire una lezione di energia ai giganti gialloblù.
Sbagliato l’approccio, ancora una volta. Come all’esordio con gli Stings. Così si potrebbe dire: dopo Mantova bene, ma non benissimo; dopo Biella male, ma non malissimo.
Le partenze a handicap pesano e viene un po’ da pensare sulla fatica fatta contro i virgiliani (raddrizzando la partita con 5 minuti di fuoco in apertura dell’ultimo quarto), che sono ancora al palo, come a secco era Biella prima di arrivare a Verona.
Giocatori di grande esperienza in difficoltà, Candussi apparso involuto, Greene non pervenuto alla seconda uscita. Quanto alla mollezza coach Diana non è il tipo da sfuriate di malesiana memoria, il tempo è sempre galantuomo e il ciclo non agevole che attende la Tezenis (trasferte a Piacenza e Casale, poi la sfida in casa con Udine, tutto in 8 giorni) potrà dare già le prime risposte indicative sui frutti del lavoro in palestra. E magari riportare alla calma il presidente Gianluigi Pedrollo che ha lasciato l’AGSM Forum 5 minuti prima della fine, visibilmente contrariato.

CIAO ROLLY

“La mente è tutto; i muscoli sono pezzi di gomma. Tutto ciò che sono, lo sono grazie alla mia mente” (Paavo Nurmi)

Ci sono figure, all’interno di una squadra, che non fanno canestro, non schiacciano né stoppano, non prendono rimbalzi, non allenano, non ingaggiano giocatori. Però sono ugualmente importanti nell’equilibrio di una squadra. La famosa chimica. Rolly Gazzieri, che si è spento nella notte dopo una malattia con la quale combatteva dalla scorsa estate, era una di queste figure.
Prodigioso nella capacità di rimettere in sesto i muscoli acciaccati di tanti giocatori e di raccogliere e condividere confidenze e sfoghi. 40 anni di attaccamento alla Verona dei canestri, con qualche breve interruzione (Archetti l’anno dell’esilio a Padova, Agostini la stagione del ritorno in A2 con Bertacchi), ma le vittorie – Coppa Korac e Coppa Italia comprese – sono secondarie rispetto al lavoro certosino, all’attaccamento alla società, alla famiglia Vicenzi e a tanti protagonisti nella lunga ed esaltante epopea della Scaligera Basket.
Fallimento e rinascita compresi. C’era lui, accanto al dottor Claudio Pistorelli, negli anni delle “minors” con la Sanzeno. Se adesso siamo qui a contare i giorni che ci separano al ritorno del campionato di A2 e alle speranze di rivedere Verona al top lo dobbiamo anche alle mani pazienti di Rolly.
Il ruolo del massaggiatore – come ha detto Sandro Boni – non è solo avere cura dei muscoli dei giocatori, ma anche di ascoltare i problemi, dare consigli, ridere insieme, raccontare aneddoti. E Rolly (magari incespicando un po’ nelle parole), era sempre pronto con un sorriso e una battuta. E con grande umanità.
Custode dei segreti dello spogliatoio, parafulmine dei giocatori, ma pure capace, nella sua semplicità e con la proverbiale bonomia, di aggirare divieti imposti in certe trasferte, come in Israele, dove è proibito mescolare carne e latticini nello stesso pasto. Così tra prosciutto (portato rigorosamente da Verona, come la pasta e il parmigiano) e mozzarella, Rolly osservava La Torà a modo suo, con una cucina Kasher in salsa gialloblù. E il “re del lettino” diventava il principe delle cucine degli alberghi di mezza Europa.
E adesso fa piacere vedere la commozione di tanti giocatori di diverse epoche. Ti sia lieve la terra, Rolando.

NON E’ VERO BASKET

“La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa” (Karl Marx)

“Che coioni ‘sta mascherina e tutte queste limitazioni”. Il commento, severo ma comprensibile, colto da un tifoso in attesa di entrare all’Agsm Forum per la prima partita ufficiale della stagione, rende l’idea dello stato d’animo di molti appassionati.
321 tifosi paganti hanno assistito alla gara di Supercoppa. Sarebbero potuti essere il doppio, ma evidentemente la gente ancora non si fida. Probabilmente c’è chi ha ancora paura e non vuole correre il rischio di un possibile contagio, ma anche le prescrizioni imposte dai rigidi protocolli sanitari possono contribuire a tenere lontano il pubblico dai palasport.
Confido che non è stato facile fare una telecronaca indossando per un’ora e mezza la mascherina, tant’è…
Già il giorno del raduno l’impressione era di tristezza. Un sentimento che stride con la comprensibile voglia di rivedere in campo i giganti gialloblù, di ritornare al basket giocato. Ma in che modo? Senza contatti, con gli allenamenti a porte chiuse, con il pubblico distanziato e ridotto ai minimi termini.
Il limite di 200 spettatori (e quello successivo di 700) è ridicolo per un impianto come l’AGSM Forum. La quota di pubblico ammessa dovrebbe essere calcolata sulla capienza dell’impianto. Ecco perché LNP ha sollecitato ripetutamente il via libera al 25% della capienza. Il presidente Basciano, parlando delle ripercussioni economiche sul 91 club di LNP, si è lasciato andare a stime forse esagerate: 700mila euro di mancati introiti per le società di A2 e 200mila per quelle di serie B, minori sponsorizzazioni comprese. Ma il danno comunque c’è, ed è pesante. Basta pensare alla situazione allarmante di club come Fortitudo e Pesaro in serie A.
Tuttavia nessuna risposta è arrivata dal governo e dal Comitato Tecnico Scientifico. Anzi, proprio in queste ore si è rafforzata l’ipotesi di un giro di vite anche allo sport nel prossimo Dpcm, riferito a quello amatoriale.
Vedremo come andrà a finire. Comunque sia, questa non è pallacanestro, almeno per come dovremmo intenderla, ossia con il pubblico e con il calore dei tifosi, dando il giusto riscontro all’impegno dei giocatori e dello staff tecnico e agli sforzi della famiglia Pedrollo e degli sponsor.
P.S. Intanto buona la prima. Il basket giocato non dve passare in secondo piano. E il debutto con Orzinuovi ha mostrato spunti interessanti nella rotazioni decise da coach Diana.

CREDITI, DEBITI E NUMERI

“Contro la stupidità non c’è difesa” (Dietrich Bonhoeffer).

In via Vitorchiano, a Roma, sede della FIP, sarebbe consigliabile un corso accelerato di matematica. 13 è notoriamente un numero primo, quindi è incomprensibile come possa essere imbastita una formula che garantisca la maledetta fase ad orologio con l’altro girone dove, correttamente, ci sono 14 squadre. Nè si comprende perché non si riaprano i termini di iscrizione alla serie A2. Tentar non nuoce.
Adesso è spuntata anche la bizzarra proposta di Tortona per un campionato a 3 gironi da 9, per cercare di garantire un numero di partite uguale per tutti. E allora perché non 9 gironi da 3 squadre che si affrontano tra di loro e poi giocano una volta (magari tirando a sorte casa/trasferta) con le altre 24? Verrebbe fuori una formula da 28 partite…
E anche LNP non ha brillato per professionalità, con il presidente Basciano che in un’intervista al “Resto del Carlino” aveva anticipato il cambiamento della composizione dei gironi, per poi smentire tutto subito dopo. Ovviamente poi i gironi sono stati fatti come era stato indicato nell’intervista.
Altro capitolo riguarda il credito d’imposta sulle sponsorizzazioni, tanto atteso al punto che le leghe (LBA, LNP, Legabasket Femminile, Legavolley, Legapro, LND) avevano fatto cartello sollecitando a più riprese il provvedimento. Che poi è arrivato nel Decreto Agosto. E la montagna ha partorito il classico topolino.
Cito l’amico Max Sonda, coach artefice della doppia promozione di Riese dalla serie D in C Gold, che lavora in banca e quindi s’intende di numeri.
Dal Credito d’imposta sono escluse le sponsorizzazioni inferiori ai 10.000 euro, ma soprattutto le società sportive con ricavi relativi al periodo d’imposta 2019 inferiori a 200mila euro. L’agevolazione sarà concessa “nel limite massimo complessivo di spesa”, fissato a 60 milioni di euro e con “ripartizione tra i beneficiari in misura proporzionale al credito astrattamente spettante” nel caso di insufficienza delle risorse disponibili rispetto alle richieste ammesse.
In sostanza – cito sempre il coach bancario – avrà un impatto “pratico” assolutamente modesto. Non è dato sapere quante siano in Italia le società sportive con ricavi 2019 superiori a 200mila €, ma poniamo che siano, (molto) per difetto, il 10% di tutte le società iscritte al Registro del Coni (oltre 60mila), quindi 6.000. Se dividiamo 60 milioni di euro per 6.000 scopriamo che ogni società potrà “offrire” ai propri sponsor la bellezza di 10.000 euro di credito d’imposta.
Escluse, ovviamente, le società con ricavi inferiori a 200.000 euro, ossia (questo lo aggiungo io) le realtà più piccole che svolgono un ruolo sociale sul territorio ed in questo momento sono con l’acqua alla gola.