PROMESSE E SPERANZE

“Piuttosto che avere successo con l’inganno, fallisci con onore” (Sofocle)

Non era mai successo dall’inizio dell’era Pedrollo che venissero confermati sei giocatori del roster della stagione precedente. E se vogliamo dirla tutta, diventano sette con il ritorno di Giovanni Pini, sia pure a tre anni di distanza. E potrebbero salire a otto con Filippo Verde Quarto, che pare molto vicino al ritorno.
Il g.m. Giuliani ha lavorato d’intesa con Andrea Diana, adesso il coach attende che si completi l’organico con l’attesa guardia americana (molto fisica e, si spera, con tanti punti nelle mani) e con il quinto lungo, un altro giocatore under.
Nel frattempo abbiamo assistito al balletto delle rinunce all’ammissione alla serie A, delle squadre a rischio iscrizione, dei possibili gironi in A2, confermando che per i vertici di Federazione e Leghe talvolta sarebbe consigliabile un opportuno silenzio, evitando figure imbarazzanti.
Ancora non è certo che campionato farà Torino, però il patron Sardara ha risolto, in ampio ritardo, il conflitto d’interesse e nel club piemontese è entrata la cordata turca guidata da Ergin Ataman. Il coach dell’Efes è volato subito basso annunciando di “voler rendere Torino un club turco per poter diventare una voce nel basket europeo come Efes, Real, Barcellona, Fenerbahçe”.
Staremo a vedere. Auguro a Torino migliori fortune di Forlì. Ricordate i proclami di Boccio con la “benedizione” del compianto Alberto Bucci?
Analogamente staremo a vedere se si riusciranno a garantire davvero tutti i soldi promessi a qualche giocatore di livello approdato in altri club di A2. E’ molto più onorevole e corretto ammettere di non avere le possibilità, e magari fare un passo indietro, come ad esempio Pistoia in serie A, oppure Imola e Agrigento in A2. E come ha fatto la famiglia Pedrollo rinunciando al sogno della serie A con la garanzia di rispettare puntualmente tutti gli impegni presi. Il tempo è sempre galantuomo. Intanto è arrivato il tempo delle vacanze. Ci rivediamo a squadra fatta.

PERCHE’ NO

“I sogni son desideri di felicità… tu sogna e spera fermamente, dimentica il presente e il sogno realtà diverrà”. (Pertitas-Maria Cristina Brancucci)

Il primo pensiero, adesso che è finita, va a Giorgio Pedrollo. Perché inseguendo il sogno della serie A ha contagiato il padre-presidente e nell’esaltazione si è lasciato andare in qualche dichiarazione un po’ incauta. Parole costruite sulla passione e la voglia di crederci fino in fondo, unite alla buona fede.
Poi penso al Presidente. Che forse inizialmente si è illuso di poter raccogliere, in pochi giorni, un budget più che raddoppiato. E alla fine s’è ritrovato con il partner di sempre, lo stesso da 12 anni.
Perché in una settimana non s’inventa un progetto da serie A. Perché sostegno morale ne è arrivato, ma soldi zero. E con le pacche sulle spalle e con i complimenti non si pagano gli stipendi, non si pagano le trasferte, non si pagano l’iscrizione al campionato e le tasse federali.
Perché non puoi sperare di affidarti al credito d’imposta sulle sponsorizzazioni. I tempi della politica non sono quelli di LBA.
Perché alla Lega Basket devono smetterla di offrire un posto in serie A come fanno i fruttivendoli (nobile mestiere) con i loro prodotti al mercato.
Perché la famiglia Pedrollo c’ha provato, ma è rimasta sola. E questo è il punto critico: l’incapacità di aggregare altre forze per rendere più solida la compagine societaria.
Perché l’occasione è stata ghiotta, ma quando passa il treno bisogna avere i soldi per il biglietto.
Perché la lista dei rifiuti si allunga. Dopo Verona, Napoli, Ravenna, Forlì, Trapani. La prossima sarà Udine. Fatevi una domanda e datevi la risposta.
Perché l’unica già ammessa alla serie A (Torino) ha risolto quasi fuori tempo massimo il problema dell’incompatibilità di Sardara, con una soluzione tipicamente all’italiana.
Perché i guai causati dalla pandemia non sono finiti, purtroppo.
Perché adesso è davvero finita. Solo per qualche mese, però. Perché se ora è no, lo sarà anche conquistando la promozione? Perché se Verona avesse conquistato la promozione avrebbe avuto tempo per garantire la copertura al progetto.
Ne riparliamo al termine della prossima stagione.
Perché i campionati è molto più belli vincerli sul campo. Intanto il sogno continua…

CORSA CONTRO IL TEMPO

“Il tempo è relativo, il suo unico valore è dato da ciò che noi facciamo mentre sta passando”. (Albert Einstein)

Venghino siori e siore, il circo continua.
Andando avanti di questo passo rischieremo di trovare la serie A in offerta su ebay. Le 48 ore (poi diventate una settimana abbondante) concesse dal presidente di LBA alla Scaligera Basket per decidere se accettare l’ammissione al massimo campionato assomigliano alle proposte “last minute” nelle quali capita d’imbatterci ogni tanto sul web.
Scadenze incalzanti, riposizionamenti a scendere, criteri sconosciuti per stilare una classifica di merito, ripescaggi e conflitti d’interessi.
Perfino nelle Minors sono state diffuse da tempo le graduatorie per i ripescaggi stilate in base al rapporto partite vinte/giocate.
Era così difficile per LBA rendere noti i criteri per il famoso ranking? Un tot di punti per la tradizione, per il bacino d’utenza, per l’impianto, per i risultati nella stagione chiusa in anticipo. Ed era proprio impossibile comunicare la classifica? In questo modo le squadre in pole position ed eventualmente interessate al ripescaggio avrebbero avuto la possibilità di cominciare ad attrezzarsi.
Domande per il presidente Gandini che giovedì presiederà un’assemblea surreale di Lega Basket serie A. Verona avrà ancora tempo per rispondere, Torino non si è ancora adeguata per risolvere l’incompatibilità di Sardara (che starebbe pensando addirittura di affidare temporaneamente il club ad un fondo), Cremona e Roma che non conoscono il domani. Pesaro che con una sola partita vinta ringrazia e si salva ancora.
Poi cosa succederà se a fine luglio ci sarà una rinuncia? La serie A tornerà ad avere un numero dispari di squadre o si riapriranno i ripescaggi per la terza volta?
Tante domande, nessuna risposta. Come quelle che finora non ha avuto neanche Gianluigi Pedrollo. Un uomo solo al comando impegnato in questa corsa contro il tempo per cercare di far salire la Verona dei canestri sul treno per la serie A. Ma la fermata in stazione durerà poco. E se la famiglia Pedrollo è onorata di questa chiamata, ai tifosi gialloblù è d’obbligo la riconoscenza per l’impegno, la passione e l’entusiasmo messi in campo per inseguire questo sogno.

 

IL DIO DEI CANESTRI

“Immaginavo quanto fosse conosciuto e rispettato anche in Europa, ma quello che ho visto oggi è difficile da credere. Qui Dražen è Dio”. (Chris Dudley – New York Times, 11 giugno 1993 – da “Gli anni di Dražen Petrović, di Stefano Olivari)

Per me, che ho sempre avuto la pallacanestro slava come punto di riferimento, per passione, determinazione e diffusione del nostro amato sport, il Dio dei canestri, non me ne vorranno tanti amici, è un ragazzino con i ricci e la faccia da impunito, che poi è diventato il più grande giocatore europeo di tutti i tempi.
Il pomeriggio di 27 anni fa, il 7 giugno 1993, Dražen Petrović lasciava i comuni mortali che tanto spesso aveva sbeffeggiato sui parquet di mezzo mondo e volava a smazzare assist in mezzo alle gambe nel paradiso dei canestri.
Nell’estate del 1981 un memorabile viaggio in Vespa assieme ad un amico mi portò fino a Sebenico, città di Petrović. Sono sincero: il reale motivo era una giovane ragazza bionda veronese che trascorreva le vacanze nel centro della Dalmazia, dove era nata la madre. Ma la passione per il basket era già fortissima e quella spedizione “speciale” ci fece scendere lungo tutta la costa adriatica dalmata anche per andare sulle tracce del giovane fenomeno, che all’epoca aveva 17 anni ed era già un predestinato. Alla fine di quell’anno Boscia Tanjević, il c.t. della nazionale jugoslava campione olimpica a Mosca e fresca di titolo europeo a Praga, convocò Petrović nella selezione sperimentale per un tour di partite contro i college americani. Per capire cosa fosse la Jugoslavia di quell’epoca: le medaglie d’oro erano state vinte da gente del calibro di Ćosić, Dalipagić, Delibašić, Radovanović, Kićanović (solo alle Olimpiadi).
Andai in pellegrinaggio al Baldekin, la mitica tana del Šibenka: 1.200 posti che diventavano 3.000 per le partite di cartello. Palazzetto intitolato a Ivo Lola Ribar, eroe della Resistenza e vecchio collaboratore di Tito. Per tutti però Baldekin, la zona di Sebenico dov’era stato costruito.
Campi all’aperto ovunque e dappertutto ragazzi che giocavano a basket ad ogni ora del giorno e della notte. Anche per quello Petrović è diventato un campione, e come lui tanti altri. Con le chiavi della palestra a disposizione per andare a tirare all’alba prima di andare a scuola e un’ossessione che ricorda tanto quella di MJ.
L’anno dopo, marzo 1982, ho potuto ammirare dal vivo il “Mozart dei canestri”, come era stato ribattezzato da Enrico Campana sulla Gazzetta dello Sport per il suo modo irriverente di giocare. Finale di Coppa Korać a Padova. Limoges-Sebenico. I francesi vincono in rimonta 90-84 e il 18enne fenomeno alza la maglia numero 4 per coprire le lacrime di delusione.
Nell’aprile del 1983 al Baldekin una delle più grandi emozioni della mia vita: la decisiva gara-3 della finale dei playoff del campionato slavo. Un muro di maglie arancioni a sostenere Sebenico contro il Bosna Sarajevo (che 4 anni prima aveva fermato il sogno di Varese nella decima e ultima finale consecutiva di Coppa dei Campioni).
Ultima azione. Bosna avanti 81-82. Ljubojević serve Dražen che attacca Radovanović ma non segna. Sirena. La panchina del Bosna si fionda in campo per festeggiare, nella bolgia l’arbitro Hadžić s’inventa un fallo di Radovanović su Petrović. Due tiri liberi: Dražen fa 2/2 e tocca quota 40 punti (a 19 anni). Vittoria 83-82 Šibenka che diventa campione di Jugoslavia.
Il risveglio per la città di Sebenico però non è così trionfale. Il Bosna ha presentato reclamo sostenendo che il fallo è stato commesso a tempo scaduto. Ed entra in ballo la politica. La Federazione è presieduta da un macedone, a Sarajevo (Repubblica di Bosnia-Erzegovina) sostengono che l’altro arbitro, un croato, abbia voluto favorire Sebenico, che è in Croazia.
Già allora (Tito era morto solo 3 anni prima) i venti del nazionalismo si fanno sentire. La Federazione squalifica incredibilmente l’arbitro che ha fischiato il fallo decisivo e decide che la partita deve essere ripetuta, addirittura in campo neutro, a Novi Sad, capitale della Voivodína molto lontana da Sebenico e assai più vicina a Sarajevo. Tutto questo nonostante le immagini televisive dimostrino in modo inequivocabile che il fallo su Petrović è stato commesso prima della sirena.
Dražen è il più determinato a non rigiocare la partita: “Non regalerò la mia vittoria”. Così il Šibenka non si presenta a Novi Sad dove in un clima surreale la ripetizione della “bella” della finale comincia con la palla a due, ma una sola squadra in campo e finisce subito dopo. 2-0 a tavolino, Bosna Sarajevo campione di Jugoslavia.
In quell’estate del 1983 Dražen Petrović approderà nella nazionale “vera”, eliminata in semifinale agli europei dell’Italia dopo una furibonda rissa, scoppiata proprio per una reazione di Dražen a Gilardi e che coinvolge, tra gli altri, Kićanović, Meo Sacchetti (attuale c.t. azzurro), Moka Slavnić, Dino Meneghin. Pugni, calci, le forbici impugnate che diventano il simbolo di quel memorabile parapiglia. L’Italia poi diventerà campione d’Europa battendo la Spagna in finale.
Dopo il passaggio al Cibona Zagabria, con due Coppe dei Campioni (a 37 punti di media), due Coppe delle Coppe, Dražen vince altre due volte (4 di fila) lo stesso trofeo con il Real Madrid e la finale del 1989 ad Atene contro Caserta è in manifesto del dominio europeo di Petrović. 60-57 all’intervallo. 102-102 pari al 40’, con Rigas che deruba Gentile e la squadra di Marcelletti negando i due liberi decisivi. Alla fine 117-113 Real. 62 punti di Petrović con 11 punti su 15 nell’overtime.
Poi sono arrivati la NBA, Portland (perdendo la finale del ’90 con Detroit), i Nets, il Mondiale vinto in Argentina sempre nel 1990, lo strappo con Divac raccontato in Once Brothers, la guerra in Jugoslavia e quel maledetto viaggio verso la Croazia passando per la Germania. La fidanzata che guidava l’auto, Klara Szalantzy, poi si è sposata con Oliver Bierhoff. Ma questa è un’altra storia.

IL CIRCO DEI CANESTRI

“Si riprenderà soltanto quando tutti saranno nelle condizioni di svolgere il proprio compito” (Adam Silver, commissioner NBA)

Venghino siore e siori, il circo dei canestri è cominciato…
Ma partiamo dal calcio. Durante tutta la quarantena abbiamo assistito ad un balletto indecente tra Lega Serie A, Federcalcio e politica sulla ripresa del massimo campionato. In nome del Dio denaro bisogna ripartire. Senza pubblico e con le squadre blindate in una specie di 41bis. Con rare eccezioni (l’Udinese, ad esempio), i club premono sulla ripartenza perché in caso contrario ci sarebbe un taglio dei contributi delle pay-tv, con il rischio di default per parecchi bilanci societari.
Il basket si è distinto per avere deciso per primo di fermare tutto, senza le proteste urlate sentite nel volley, ma con l’ondivago presidente Petrucci che tra un’intervista ed un Consiglio Federale è saltato dalla ripresa a ottobre ai campi all’aperto per culminare con le mascherine per i giocatori.
Mascherine, attenzione, affidate a uno studio del Politecnico di Torino, assurto a fama controversa per il report che aveva inizialmente indicato la pallavolo come sport più a rischio di contagio e per il suggerimento di sottoporre a tampone tutti i giocatori (minors e giovanili comprese) 48 ore prima di ogni partita.
Per non parlare dei protocolli che impongono il distanziamento di almeno due metri, rendendo di fatto gli allenamenti una cosa piuttosto lontana dal concetto di pallacanestro.
Ma il teatrino più sconcertante è andato in scena con la Lega Basket di serie A. Che ha deliberato all’unanimità che il prossimo campionato di serie A sarà a 18 squadre, con l’ammissione di Torino. Promossa quindi anche con il voto di Sassari, club di Stefano Sardara che è proprietario anche di Torino.
E’ facile cogliere qualche lieve conflitto di interessi. Sardara ha annunciato che cederà la società, ma a chi? E comunque la cessione sarebbe dovuta avvenire prima che LBA comunicasse il ripescaggio di Torino. Per capirci: un conto è cedere un club di A2, ben diverso un club che ha i diritti per la serie A.
Tutto è avvenuto in base ad un fantomatico ranking che nessuno conosce, né ha mai visto. Nei criteri per l’ammissione al campionato superiore è corretto tenere conto non solo del risultato sportivo (Ravenna, per esempio, aveva vinto più partite di Torino), ma anche del palasport, del bacino d’utenza e della solidità economica della società. Tutto teorico però, perché il ranking ufficiale non è mai stato reso pubblico.
Neanche il tempo che Ravenna alzasse la voce, ed ecco che il patron della Virtus Roma, Claudio Toti, annuncia la messa in vendita della società. E il futuro del grande basket nella capitale è fortemente a rischio.
Tutto questo mentre Verona si è ben guardata dall’avanzare pretese o candidature. La certezza del budget viene prima di ogni cosa e la proprietà deve innanzitutto trattare il rinnovo con gli sponsor, in una fase economica decisamente sfavorevole. Nel frattempo LNP è pronta a ripartire con il campionato a ottobre, purché si giochi a porte aperte. E intanto il canestro più bello lo hanno segnato tutti i tifosi che hanno rinunciato al rimborso della parte di abbonamento non goduta. La passione non ha prezzo e i piccoli gesti talvolta sono i più belli.

INEVITABILE

“Io credo, risorgerò, questo mio corpo vedrà il Salvatore” (canto religioso molto in voga tra i tifosi dell’Hellas Verona)

Annullamento del campionato. Una scelta dolorosa, ma inevitabile. Non ci sono i margini per una ripresa dell’attività e per terminare in tempi accettabili la regular season e i playoff.
Altri sport hanno già alzato bandiera bianca: il rugby per primo ha cancellato tutti i campionati, il ciclismo ha rinviato il Giro d’Italia, la F1 ha annullato sette Gran Premi, fino alle Olimpiadi, evento sportivo per eccellenza, posticipate di un anno.
E il basket? Il presidente Petrucci ha cercato ad ogni costo di far concludere la serie A. LNP non più tardi di giovedì sera diramava l’ennesimo comunicato con l’ipotesi di far ripartire l’attività entro metà maggio, ponendo ancora la scellerata condizione di far giocare le partite a porte aperte. Un segnale di perdita della realtà in un Paese che vive blindato da due settimane e chissà ancora per quanto, e dove la conta delle vittime pesa per un terzo dell’intero pianeta.
Così alla fine anche Petrucci si è arreso. Il primo segnale è stato una lettera diffusa nella serata sempre del 26 marzo (orario “modalità Conte”, per capirci), annunciando la decisione di annullare tutti i campionati regionali senior e giovanili. Nel passo successivo toccherà ai campionati nazionali e tutte le classifiche saranno annullate. Nessuna promozione, nessuna retrocessione. L’ultima parola spetterà al Governo e al CONI, mentre LNP e LBA si sono date metà aprile come deadline.
E’ giusto che chi magari ha vinto una partita si ritrovi nella prossima stagione con chi invece le ha vinte quasi tutte? Però nemmeno lo scudetto verrà assegnato. Come ai tempi di guerra. Perché è una guerra quella che stiamo combattendo. Per vincerla. E la quarantena si sta trasformando, purtroppo, nei playoff di questa stagione. La Verona dei canestri risorgerà, la famiglia Pedrollo è pronta e carica. Alla prossima.

 

IL BASKET AL TEMPO DEL VIRUS

Il basket è l’unico sport che tende al cielo. Per questo è una rivoluzione per chi è abituato a guardare sempre a terra. (Bill Russell)

Terza settimana senza basket. La prima per il rinvio legato agli impegni di Candussi con la Nazionale, la seconda e, adesso, la terza per la forzata sospensione di tutte le manifestazioni sportive a causa dell’emergenza Coronavirus.
Ormai siamo al delirio. E’ scontato che le precauzioni per tutelare la collettività vengono prima di tutto e nessuno si sognerebbe di dare ragione alle dichiarazioni un po’ squinternate del coach di Ravenna che pur criticando legittimamente la paranoia generale generata dal Covid-19 si è spinto a dire che per lui “il basket viene prima della salute”. Evidentemente si è spiegato male.
Detto questo, il campionato di A2 è nel caos. La finale di Coppa Italia è stata rinviata, ci sono squadre che devono recuperare solo l’ultima giornate ed altre, come la Tezenis, con due gare in meno.
La fase ad orologio slitterà e verosimilmente saranno inseriti due turni infrasettimanali per rispettare il cronoprogamma, considerato che poi nei playoff si giocherà ogni due giorni e non ci saranno altre date disponibili.
Nelle Minors e nei campionati giovanili va ancora peggio: tre turni da recuperare e un disagio pesantissimo per le società, che saranno costrette a trasferte – talvolta anche disagevoli – in un giorno feriale.
Domanda legittima: giocare a porte chiuse, almeno nel prossimo fine settimana, come consentiva la nuova ordinanza della Presidenza del Consiglio, era così complicato?

P.S. Rispondo anche a qualche richiesta di chiarimento sulla formula della discussa fase ad orologio che deciderà la griglia dei playoff.

Ogni squadra incontra in casa le 3 squadre dell’altro girone che sono nelle posizioni a seguire di classifica (es. 4ª dell’Est gioca in casa con 5ª, 6ª e 7ª dell’Ovest) e incontra in trasferta quelle che la precedono (4ª dell’Est gioca fuori con 1ª, 2ª e 3ª dell’Ovest).
La classifica dell’Est e quella dell’Ovest formano due tabelloni dei playoff che si incrociano: es. 1ª dell’Est vs 8ª dell’Ovest e così via.
Le vincenti delle due finali sono promosse in serie A.

CIAO KOBE

“Se non credi in te stesso, chi ci crederà?” (Kobe Bryant)

Di fronte alla tragedia che è successa stasera vicino a Los Angeles passa tutto in secondo, terzo e ultimo piano. La sconfitta della Tezenis, le polemiche sull’arbitraggio indecente, il rammarico per l’ennesima occasione mancata.
Il ricordo più nitido che ho di Kobe Bryant non sono i suoi anelli Nba, la partita da 81 punti, le giocate da extraterrestre. David Londero nel periodo in cui giocava a Verona mi raccontò di Kobe bambino, il figlio del grande Joe Bryant che chiuse la carriera giocando due stagioni a Reggio Emilia. Londero all’epoca si era affacciato in prima squadra e svelò un curioso e simpatico retroscena: Kobe Bryant, ragazzino già molto talentoso e dotato, “stella” della squadra Esordienti e poi Under 13 delle Cantine Riunite, chiedeva a Londero non ancora 18enne ma promettente, di fargli vedere come si schiaccia. E David accettava di buon grado, senza immaginare di avere a che fare con un futuro 5 volte campione NBA e  bi-campione olimpico.
Probabilmente il piccolo Kobe sarà venuto anche a Verona a vedere il babbo giocare, forse già negli anni precedenti, quando Bryant sr. giocava a Pistoia. Mi piace pensare che abbia calcato il parquet del Palaolimpia per qualcuno di quei tiri che i bambini amano fare a fine partita, sul campo che si è liberato dai “grandi” e il pubblico se n’è andato.
Kobe che considerava l’Italia, legittimamente, la sua seconda patria. Kobe che parlava perfettamente italiano e dopo tanti anni nella Nba, diventando una leggenda, non lo aveva dimenticato. Adesso anche chi gioca nel nostro campionato per tanti anni non spiaccica una parola dell’italico idioma…
Kobe che non si stancò mai di ringraziare l’Italia e la pallacanestro italiana per avere imparato quei fondamentali che lo hanno aiutato a diventare così forte, il simbolo di una generazione di appassionati e non solo. Una leggenda. Spezzata da un destino che sembra essere riservato in modo assurdo ai più grandi. Da Elvis a Jim Morrison, dal Grande Torino a Fausto Coppi, da Drazen Petrovic a Black Mamba. Ti sia lieve la terra e insegna le giravolte agli angeli.

BICCHIERE MEZZO PIENO

“Chi si accontenta gode” (antico proverbio popolare)

In pizzeria, dopo la vittoria a Roseto. Tifoso 1: “Hanno mandato via un americano che ha fatto due punti per prendere uno che non ne ha segnato nemmeno uno e non ha combinato niente. E Ferguson ha segnato 50 punti!”.
In pizzeria, dopo il successo contro Orzinuovi. Tifoso 1 (non lo stesso di domenica): “Con Bobby Jones abbiamo cambiato sicuramente in meglio, ha mostrato quello che vale. E segna punti”.
Di nuovo la pizzeria dopo Roseto. Tifoso 2: “Certo che passare da Amato a Love per finire a…Loschi…”.
Ancora con le gambe sotto il tavolo mercoledì sera. Tifoso 2 (sempre un altro): “Meno male che c’è anche Loschi. Ha messo triple importanti e difende pure bene!”.
Pareri in libertà dopo la partita a Roseto e il sudatissimo successo strappato contro Orzinuovi all’Agsm Forum che hanno segnato il sospirato ritorno alla vittoria della Tezenis, anche in casa. I tifosi, si sa, sono sempre sul pezzo. Dalle insistenti sollecitazioni per la cacciata di Dalmonte alle prime contestazioni a Diana, dalle lamentele sul preparatore atletico alle ripetute critiche a Love. Finché Germano ha pagato, forse anche per altri, soprattutto per la necessità di modificare l’assetto della squadra dopo la sciagurata serie di infortuni. Servivano centimetri e l’esperienza di Bobby Jones potrà essere utile, al di là della virgola all’esordio in gialloblù. Contro i bresciani si è già visto. E Loschi è un giocatore solido ed esperto.
Insomma, tenuto conto di come sono maturate le precedenti sconfitte, il bicchiere gialloblù resta mezzo pieno, perfino il presidente Pedrollo era soddisfatto (moderatamente). Di questi tempi bisogna sapersi accontentare.
Queste due vittorie sono importanti non solo per muovere la classifica e tornare in zona playoff, ma per il morale. Francesco Candussi con grande onesta intellettuale ha ammesso che forse 10 giorni fa la Tezenis avrebbe perso anche la partita con Orzinuovi, dilapidando 18 punti di margine per subire poi un parziale 0-19 quando era avanti di 13. Alla fine della fiera i giganti gialloblù hanno fatto quello che serviva in un momento complicato, alla ricerca di identità e di nuovi equilibri: portare a casa 2 punti. Lo stesso compito che li attende contro San Severo, a chiudere il ciclo di tre partite in una settimana contro le ultime della classifica.
Poi resta da sciogliere il nodo dei paurosi black-out che puntualmente permettono agli avversari di ricucire gap anche significativi. Il lavoro di Diana dovrà essere dedicato soprattutto a questo, per trovare quei rimedi che finora ha faticato a mettere in campo.

ASPETTANDO I PLAYOFF

“Houston abbiamo avuto un problema” (Jack Swigert, pilota modulo di comando Apollo 13 – aprile 1970)

La mia squadra Under 13 nell’ultima partita dell’anno ha fatto 3/11 ai liberi ed il coach si lamentava, nonostante la vittoria. Questo per dire che con 3/15 dalla lunetta è impresa assai improba vincere in casa della capolista, per di più imbattuta. La Tezenis è al quarto k.o. di fila e nelle ultime sette partite ha vinto solo una volta.
Punto secondo: se sbagli 10 liberi di fila, ad ogni errore devi ricominciare a giocare con la bava alla bocca e non con la testa bassa, in preda alla depressione.
Punto terzo: se l’americano lo fa uno che, suo malgrado, sta per andare sotto i ferri e da settimane gioca imbottito di antidolorifici è opportuno farsi qualche domanda.
Punto quarto (e prima domanda): la squadra e la società sono entrate in un tunnel e faticano a trovare la luce? Insomma, si ha la piena percezione di quello che sta succedendo e delle soluzioni possibili?
Punto quinto (e seconda domanda): è necessario intervenire con urgenza sul mercato, magari a costo di cambiare assetto alla squadra?
Punto sesto (e terza domanda): siamo sicuri che sia solo un problema mentale?
Penultimo punto: Ravenna ha ipotecato il primo posto. Da inguaribile ottimista dico che se la Tezenis ha mancato di poco il colpaccio in casa della capolista, potrebbe capitare nei playoff. Perché il fattore campo conta fino ad un certo punto.
Ultimo punto: però ai playoff bisogna arrivarci.