Il Padova visto a Crema ha messo in evidenza, nella stessa partita, entrambi gli aspetti che si porta dietro dall’inizio del campionato: quello positivo è l’inesauribile voglia di non mollare mai, di rialzarsi quando viene colpito, di recuperare una situazione di svantaggio. Quello “un po’ meno positivo” (non parlerei di “negativo” visto che ci troviamo di fronte una squadra ancora imbattuta e che ha fin qui messo insieme, nelle 9 vittorie e nei 6 pareggi conquistati fino a qui, diverse prestazioni convincenti e avvincenti) è la costanza soprattutto mentale nel rendimento. I passi avanti rispetto alla passata stagione sono chiari e importanti: quando una partita inizia male il Padova non si sfilaccia più e anzi si ricompatta e reagisce. Lunedì sera al termine di un primo tempo decisamente sottotono i biancoscudati sono andati sotto e, subito dopo il ceffone del gol di Mazzarani, non solo hanno pareggiato ma hanno anche sfiorato il gol della vittoria in rimonta che a quel punto sarebbe stata più che meritata. Il primo posto, ora occupato a +2 dal Mantova, è sfumato ancora una volta ma, in questo momento del campionato, non è importante essere primi o secondi. L’importante è essere lì, nelle prime posizioni, continuare a crescere a piccoli ma costanti passi e non far sì che chi è davanti allunghi il proprio vantaggio. L’equilibrio regna sovrano nel girone A: fondamentale per il Padova sarà non perderlo mai, nel gioco e nella mentalità, per poi sì tentare la fuga in primavera, quando il campionato si deciderà. Ancora una volta ha ragione Torrente quando dice che guardare la classifica adesso non ha senso. “Voglio essere primo il 28 aprile”, ha detto nella sala stampa del “Voltini” di Crema. Già, solo allora averli tutti sotto gli avversari avrà veramente valore.
LA VITTORIA SPARTIACQUE
Da quanto tempo il gelido Euganeo non appariva così caldo e festante! Anzi, detta ancora meglio: da quando l’Euganeo non somigliava così tanto ad uno stadio di calcio!
Al 3-2 di Palombi domenica scorsa contro la Pro Vercelli al 95′ sugli spalti di viale Nereo Rocco si è letteralmente scatenato l’inferno. Con buona pace di quelli (pochi per la verità) che, al 2-2 avversario all’87’, si erano già alzati in piedi per lasciare lo stadio brontolando ad alta voce nel tentativo di evitare la coda in uscita dai parcheggi (ma ancora non avete imparato che il Biancoscudo è capace di tutto e non bisogna mai abbandonare la nave prima del fischio finale???). “Sinceramente non ho ricordi di cosa io abbia fatto quando ho visto entrare la palla”, hanno raccontato più tifosi, evidentemente sopraffatti dalla gioia e della soddisfazione per una vittoria così ardentemente voluta, così difficilmente conquistata. “Ho perso il controllo, credo di aver abbracciato tutti quelli che erano intorno a me e di aver saltato e urlato”, hanno riferito altri. Be’, come dar loro torto? Essere tifosi del Padova è veramente una missione: ogni partita riserva sempre almeno una parte di sofferenza e, anche quando le cose sembrano incanalate sul binario giusto, c’è sempre una complicazione che taglia l’aria interrompendo lo stato di grazia di quel momento. Normale che poi, quando si vince riuscendo a segnare un gol all’ultimo secondo dell’ultimo minuto di recupero dopo aver preso un pari beffa solo pochi istanti prima, l’esplosione di gioia sia di quelle che rasentano la commozione.
La scena più bella, a mio avviso, è stata quella che, al fischio finale, ha visto protagonista Vincenzo Torrente. L’allenatore biancoscudato, che poco prima si era reso protagonista di uno scatto felino per raggiungere il gruppo di giocatori che si era formato intorno a Palombi per festeggiare il gol dell’attaccante e abbracciare i suoi ragazzi, ha alzato le braccia al cielo e ha iniziato ad applaudire. Il suo sguardo era luminoso, fiero, orgoglioso per la voglia di non mollare dei suoi ragazzi che gli somigliano sempre di più ma era anche grato nei confronti di un pubblico che, a sua volta, non molla mai. E incita sempre, fino alla fine, seppur qualche volta lasciandosi andare ad un po’ di legittimo scoramento.
Torrente è contento del fortissimo legame che si è creato tra squadra e tifosi e della fiducia che ora questi ultimi possono nutrire nei confronti del gruppo. Come ha avuto modo di sottolineare lui stesso, ciò non significa che non si perderà mai, che non ci saranno mai giornate storte ma che il gruppo ha la forza per rialzarsi subito, per andare avanti e farlo bene. Torrente, da ex giocatore professionista che peraltro è stato sconfitto proprio dal Padova in uno spareggio per restare in serie A con la maglia del Genoa, sa bene che le due finali playoff perse nel 2021 e nel 2022 hanno lasciato un segno, una ferita profonda nella piazza, una delusione che solo l’avvento della promozione in B potrà cancellare. Ed è stato bravissimo a curare questa ferita partendo dal campo e dall’umiltà che è ora il vero punto di forza del suo Padova e il viatico per riallacciare con chi lo ama un rapporto simbiotico.
Fosse finita 2-2 la partita contro la Pro Vercelli avrebbe provocato una piccola crepa con rischio strascico da ricucire subito. Il 3-2 l’ha trasformata nella partita che ha evidenziato come, attraverso il lavoro e la grande fame dei suoi interpreti, questa squadra possa davvero arrivare ovunque.
GLI IMBATTUTI
La scaramanzia è parte integrante del mondo del calcio: ci sono giocatori che, prima di entrare in campo, compiono sempre i medesimi riti perché, della serie “non è vero, ma ci credo”, portano fortuna. Ci sono tifosi che, prima di raggiungere lo stadio nel giorno del “balòn”, mangiano sempre la stessa pietanza, bevono il caffè sempre allo stesso bar e fanno sempre la stessa strada, entrando allo stadio dal medesimo tornello. Pure alcuni giornalisti, soprattutto quelli che, come noi a Telenuovo, hanno la grande fortuna di seguire professionalmente la squadra di cui sono anche tifosi, non si sottraggono a certi “cerimoniali”. Chi ci vede da fuori ci considera pazzi e ha tutte le “evidenze scientifiche” del caso per farlo con piena ragione. Ma chi è dentro a questo magico mondo sa quanto tutto questo faccia parte della bellezza e delle grandi emozioni che solo il calcio sa regalare.
Fatta la doverosa premessa, la scorsa settimana abbiamo ricevuto da più parti la raccomandazione di non sottolineare troppo la faccenda dell’imbattibilità del Padova, unica squadra in Italia a non avere mai perso nelle prime 12 giornate di campionato. “Porta sfortuna”, ci siamo sentiti ripetere, “se lo dite poi va a finire che perdiamo contro l’AlbinoLeffe”, “A Zanica si gioca la tredicesima giornata. Già il numero è quello che è, non metteteci sopra il carico”. Sì insomma, non ci è arrivato alcun consiglio di natura tecnica o tattica, solo indicazioni pregne di pura superstizione pallonara! A tagliare definitivamente l’aria però ci ha pensato, alla vigilia della sfida contro i blucelesti, proprio mister Torrente: che senz’altro, con 500 partite da calciatore professionista alle spalle, avrà a sua volta dei riti scaramantici (e un giorno magari ce li faremo anche raccontare), ma è riuscito comunque ad andare aldilà dello stato d’animo comune mettendo a fuoco la situazione con lucidità. “A me fa piacere che sottolineiate che il Padova è imbattuto, anzi sono orgoglioso di questo”, ha detto, testuali parole. “Significa che da luglio ad oggi abbiamo lavorato bene, che abbiamo intrapreso la strada giusta”.
Fatalità in terra bergamasca, seppur con un po’ di sofferenza di troppo, è arrivata la vittoria che ha portato a 13 i risultati utili da inizio campionato, allungando ulteriormente questa striscia. A testimonianza del fatto che la volontà di raggiungere un risultato può essere infinitamente più forte di tutte le altre possibili “paturnie” che uno si porta dentro. Il Padova non ha vinto contro l’AlbinoLeffe perché qualche rito scaramantico ha portato fortuna, ha bensì portato a casa i tre punti perché ha saputo segnare un gol bellissimo con l’assist di Varas e il sinistro di Villa e lo ha poi gestito superando i momenti difficili della partita, non ultimo l’episodio dell’espulsione di Belli che ha costretto la squadra in 10 contro 11 per l’ultima parte della gara.
Torrente ha trasmesso al gruppo prima l’umiltà, poi la capacità di soffrire, infine la maturità e la mentalità. Il Padova troverà lungo il suo cammino altre qualità che, se saprà fare proprie, saranno fondamentali per rimanere in alto. Per non perdere terreno sulla capolista Mantova. Per provare a superarla al primo passo falso. Questo non significa che non ci saranno mai giornate storte o sconfitte, ma solo che, quando ne arriveranno come succede a tutti in qualunque mestiere della vita, il Padova sarà pronto a rialzarsi velocemente e a riprendere la via del successo. Aldilà di tutti gli “scongiuri” e le “toccate di ferro” che continueranno comunque a far parte del nostro agire quotidiano.
DOPO L’UMILTA’ LA MATURITA’
4 punti persi. Non c’è altro modo per definire i due pareggi consecutivi del Padova contro Pro Patria e Pro Sesto. Due risultati di parità maturati attraverso il medesimo copione: i biancoscudati hanno in mano la partita, i biancoscudati vanno in vantaggio per primi, i biancoscudati contribuiscono con il loro atteggiamento non abbastanza “testardo” a far sì che l’avversario realizzi l’1-1. In tutte le considerazioni del caso il soggetto è lo stesso, “i biancoscudati” appunto, perché sono loro che hanno fatto e disfatto, creato molto e segnato per primi ma senza chiudere la partita, concesso all’avversario il modo e lo spazio per rimettere la gara in equilibrio.
Questo il dato di fatto, condiviso appieno, con espressione decisamente accigliata, da mister Torrente al termine della sfida del “Breda”. Normale, di più legittimo, che l’allenatore sia arrabbiato. E’ da settimane che va ripetendo come un mantra ai suoi ragazzi che, per uscire dalle fiamme di questa infame categoria, ci vogliono intensità, aggressività e capacità di soffrire dal primo minuto al 95′. Che la palla ad un certo punto della gara va letteralmente nascosta all’avversario. Che bisogna saper gestire, con maturità, senza dare alla squadra che si ha di fronte il benché minimo barlume di speranza di trovare uno spazio nelle proprie maglie difensive. Ed eccola allora qui la seconda parola chiave della stagione: quella maturità che Donnarumma e compagni hanno dimostrato di non aver ancora raggiunto appieno nell’atteggiamento mostrato in queste ultime due partite.
Si tratta del secondo tassello fondamentale che deve andare a braccetto con l’umiltà, elemento che la squadra ha saputo far proprio fin dall’inizio del ritiro e che le ha permesso di iniziare col piede giusto questa stagione. Umiltà che ha portato alla costruzione di un gruppo solido e motivato di ragazzi propensi al sacrificio e alla corsa in più per il compagno e pervasi dall’ambizioso obiettivo di mettersi in mostra riportando il Biancoscudo in un campionato più consono al suo glorioso blasone.
La base di partenza è molto solida, davvero. Ma lo scoglio dell’immaturità va superato al più presto, per evitare di lasciare per strada punti che potrebbero (la storia biancoscudata insegna) rivelarsi decisivi nel rush finale.
Nel frattempo però, va sottolineato, il Padova è primo in classifica da solo ed è l’unica squadra del girone A ad essere ancora imbattuta. Quindi guai ad abbattersi ora. La negatività è l’unico elemento che non dovrà mai insinuarsi in questa rosa e nell’ambiente che la circonda. Quella sì che farebbe più danni della grandine, tirando verso il basso anziché verso l’alto ogni miglior proposito del campionato.
NON SIAMO ALLE SOLITE
Siamo sinceri: al 94′ di Padova-Pro Patria, terminata 1-1 con alcuni errori biancoscudati che potevano certamente essere evitati ma anche con la solita dose di sfortuna diventata negli anni purtroppo congenita a queste latitudini, il primo pensiero del tifoso è stato: “Siamo alle solite”.
Dopo 5 vittorie di fila, il primo posto in classifica in solitaria, i bei gol, le prestazioni brillanti e la passione ritrovata della piazza, ecco che arriva un pareggio contro la penultima, con rigore contro provocato più da sfortuna che da demeriti, a mettere un contegno alla gioia incontenibile, a porre un freno all’entusiasmo irrefrenabile, a trasformare in muso il sorriso dei tanti volti di coloro che sperano sia questo l’anno buono per tornare in B.
Conoscendo come le nostre tasche la piazza biancoscudata e la sua storia travagliata non solo degli ultimi anni, la reazione è più che normale. Oseremmo dire legittima. Bisogna però sforzarsi di andare oltre il pessimismo e il fastidio. Serve razionalità, serve lucidità, anche se un po’ di amarezza si è insinuata nella bocca che si era fatta buona dopo i successi a suon di gol delle gare precedenti.
Sembra banale dirlo ma il Padova, intanto, non ha perso. E’ vero che l’approccio alla gara contro la Pro Patria non è stato impetuoso come quello di Trento e, prima ancora, di quello contro la Virtus Verona all’Euganeo, ma comunque i biancoscudati hanno tenuto in mano le redini della partita per tutto il primo tempo, rischiando poi nella ripresa in due occasioni a causa di errori individuali. Gravi sì, ma individuali, dopo i quali non si sono disuniti arrivando a segnare per primi e a sfiorare anche il raddoppio.
L’equilibrio è elemento fondamentale di questo gruppo e sarà quello che lo salverà in ogni altra occasione in cui si presenteranno difficoltà e avversari tosti. Gli errori ci sono e ci saranno sempre: l’importante è capire come evitare di ripetere sempre gli stessi e imparare a rialzarsi subito. E in questo senso avere in panchina Vincenzo Torrente rappresenta una delle migliori garanzie del credito che questa squadra merita di continuare ad avere nei confronti dei suoi supporters.
L’UMILTA’, L’UNICA VIA
Sei partite. 1 pareggio contro la squadra che fino alla scorsa giornata è stata prima con te, 5 vittorie, una più bella dell’altra, una più rotonda dell’altra, una più convincente dell’altra. Miglior attacco insieme alla Triestina con 12 sigilli all’attivo, miglior difesa con sole 2 reti finite alle spalle di Zanellati e Donnarumma (una per ciascuno) come il Vicenza. Vetta della classifica in solitaria a quota 16 punti.
Al tifoso del Padova vien da chiedersi se “sogna o è desto” di fronte a questa grande bellezza. Lui che, dopo l’epilogo amarissimo degli ultimi campionati, si era allenato alla pazienza e alla comprensione, si ritrova di fronte un inizio di campionato che sognava ma certamente non si aspettava, visti i tanti nuovi innesti della rosa (ben 10 i giocatori arrivati alla corte biancoscudata quest’estate) e il cambiamento più grande di tutti, ovvero il modulo di gioco, col passaggio dal 4-3-3 al 3-5-2.
“Allora, ce la facciamo quest’anno?”, mi chiedono compulsivamente le persone che hanno a cuore il Biancoscudo quando mi incontrano, aspettandosi, se non dalle mie parole almeno dal mio sguardo, una rassicurazione in tal senso. La mia risposta non può essere affermativa, visto che non ho la sfera di cristallo e conosco fin troppo bene “il mio pollo” capace di partenze con il piede a tavoletta sull’acceleratore ma anche di inciampi rovinosi improvvisi e inspiegabili cali di tensione, però elementi in mano per poter dire che questo gruppo è meno “lunatico” e decisamente più affidabile di quelli delle ultime annate (e che quindi promette molto bene!) ne abbiamo e non sono pochi.
Solidità difensiva, compattezza, unità d’intenti, voglia di dimostrare, di crescere, di fare il salto di qualità o di confermarsi su alti livelli sono senz’altro gli ingredienti base di questo nuovo impasto. Ma la svolta è dettata dal fatto che in questo gruppo tutti hanno qualcosa da guadagnare e, contemporaneamente, molto da perdere. Villa, Varas e Capelli, per citare tre giocatori il cui rendimento è attualmente straordinario, vogliono usare Padova come pista di decollo verso altre categorie, Bortolussi, per nominare invece uno dei senatori, vuole essere il punto di riferimento dell’attacco. Liguori desidera confermarsi bomber da doppia cifra e ha dunque imparato in fretta cosa si aspetta l’allenatore da lui dopo averlo spostato dalla fascia al cuore dell’area. Delli Carri, Belli e Crescenzi sono tre autentiche rocce in difesa, una garanzia in una categoria in cui vinci i campionati se prendi pochi gol non se ne fai tanti.
Aldilà delle legittime ambizioni personali e delle qualità individuali di tutti i componenti della rosa esaltate dal duro e paziente lavoro sul campo del riconfermato tecnico Vincenzo Torrente, c’è qualcosa in più, un elemento comune che fa da speciale collante: l’umiltà, che non vuol dire bassa considerazione di sè, bensì consapevolezza che se dai il 110 per cento ogni santa volta il risultato lo puoi portare a casa. Se ti impegni al massimo raccogli i frutti, se “sudi la maglia”, come ripete ormai dalla prima settimana di ritiro il mister ogni settimana come un mantra, il tifoso non ti fischierà mai anche se non esci vittorioso dal campo.
E’ proprio questo il vero grande punto di rottura con il passato che si è trasformato nella chiave di volta del presente. E del futuro, se il Padova sarà bravo ad andare avanti così.
SEGNALE FORTE (E INEQUIVOCABILE)?
Il colpo a sorpresa era nell’aria da diversi giorni. Ma mentre tifosi e addetti ai lavori seguivano le piste che portavano a nomi di difensori d’esperienza e scafati attaccanti, la società biancoscudata stava lavorando su un fronte interno. Nessun nuovo acquisto dunque, almeno per ora, ma l’annuncio del prolungamento del contratto al direttore sportivo Massimiliano Mirabelli fino a giugno 2026.
La notizia, non c’è dubbio, ha colpito. Ha lasciato il segno, più che altro per la tempistica: in questi giorni tutti si aspettavano l’annuncio dell’ingaggio di Guerra dalla FeralpiSalò o di Paloschi svincolato dal Siena che non si è iscritto al campionato, non certo il rinnovo di Mirabelli.
A questo punto è chiaro che la proprietà ha deciso di lanciare un segnale e che questo segnale va interpretato nel senso in cui è in grado di riaccendere quel minimo di passione in una piazza smorzata, a tratti annichilita, dall’andamento delle ultime tre annate.
Dare la priorità al rinforzo del vincolo con il responsabile dell’area tecnica deve significare che le ambizioni, rispetto al recente passato, sono cambiate. Si sono rinvigorite, dopo che, mancata per due anni di fila la serie B con due finali playoff perse in modo allucinante, si era scelto di proseguire con un profilo basso, puntando sui giovani e riducendo il budget. Il proseguimento del rapporto con Mirabelli deve essere il segnale che si vuol tornare ad essere protagonisti, si vuol tornare a vincere, non limitarsi a “fare bene”, anche alla luce del fatto che nemmeno mister Torrente si è nascosto il giorno della partenza per il ritiro di Pieve di Cadore, dicendo apertamente di voler puntare a un campionato di vertice.
La palla, per nulla facile da gestire (ma d’altra parte, c’è qualcosa di facile da gestire a Padova?) passa a questo punto proprio a Mirabelli: a lui il compito di chiudere il mercato con i colpi che mancano a rendere questa squadra il più competitiva possibile. A lui il dovere di tentare, con umiltá e disponibilità, di ricucire uno strappo con gli ultras che dura da troppo tempo. A lui l’incarico di ricompattare l’ambiente e ritrasferire nella piazza la fiducia che ha ricevuto. Se ce la farà, confortato ovviamente dai risultati, davvero si può pensare un po’ più in grande dopo che il fallimento del primo progetto triennale ha ridimensionato l’entusiasmo. Che questa svolta sia la fiamma che può riaccendere il Piccolo grande mondo del Biancoscudo.
PADOVANITA’ E CONTINUITA’: NON E’ L’INFERNO…
L’umore, in casa Padova, raramente è di quelli che rallegrano le giornate e fanno guardare fiduciosi verso la linea dell’orizzonte. Difficile che sia così quando ti ritrovi con un pugno di mosche in mano per il quarto anno di fila e, dopo aver visto sfumare il traguardo davanti ai tuoi occhi a un centimetro dalla linea bianca in due occasioni, vieni fermato all’inizio degli spareggi dalla brutta serata del direttore di gara. Difficile che sia così quando il patron ti spiega che, dopo aver investito praticamente a vuoto 22 milioni e mezzo di euro, opererà un ulteriore taglio al budget e non sforerà i 4 milioni nella costruzione della rosa che proverà nuovamente a raggiungere la B nella stagione 2023-2024.
Eppure, nonostante le premesse sembrino porre il tifoso di fronte all’ennesima porta dell’Inferno dantesco con su scritto “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate”, qualche motivo per recuperare almeno un accenno di sorriso c’è. Primo tra tutti l’ingresso nell’organigramma societario, decisamente a sorpresa, di un nuovo imprenditore, ad appena 10 giorni dall’eliminazione ai playoff per mano della Virtus Verona. Il ritorno di Francesco Peghin, che ha assunto immediatamente la carica di presidente riportando sullo scranno più alto della società un padovano, ha ottenuto fin dall’annuncio il risultato di asciugare le lacrime che ancora sgorgavano abbondanti per quel rigore non dato su Liguori e per l’ingiustizia subita. La storia del Biancoscudo insegna che è con un padovano alla guida che il club ha ottenuto i suoi migliori risultati, se non altro per questo quindi (ma anche per il fatto che è entrato con il 25 per cento delle quote e immettendo un milione di euro di risorse) l’ambiente è chiamato a interpretare questo nuovo corso come una svolta positiva o quantomeno come elemento di discontinuità con un recente passato ricco più di dolori che di gioie.
Certo, 4 milioni di budget fanno ben comprendere che il mercato non vivrà di colpi sensazionali ma, come l’estate scorsa, di acquisti mirati e soprattutto di giovani con tanta fame e voglia di emergere. Se si osserva il fenomeno da un punto di vista assoluto il downgrade è evidente, se invece si utilizza un occhio relativo basta leggere i nomi delle due finaliste ai playoff di questa edizione (Lecco e Foggia) per capire che la strada giusta, in questa categoria, è proprio quella intrapresa dal Padova un anno fa. Che Pinzauti, Lepore e Melgrati, in serie C, gestiti da un allenatore che riesce a creare un Gruppo con la G maiuscola e a dare una precisa identità di gioco, possono arrivare ad essere decisivi più di Chiricò, Lescano, Ronaldo, Ajeti e Merkaj, con tutto il rispetto per questi ultimi che sono e restano grandissimi giocatori.
Di fronte a un Pescara, a una Virtus Entella, a un Pordenone (peraltro costretto a ripartire dalla D o dall’Eccellenza) e a un Cesena che non ce l’hanno fatta, investendo decisamente più del Padova, bisogna accogliere con fiducia l’arrivo di Capelli dalla Pro Sesto, di Villa dalla Pergolettese e di Fusi dal Sangiuliano City, senza storcere il naso solo perché non c’è abbastanza “appeal” nel nome delle società di provenienza. Insieme a Donnarumma, Radrezza, Bortolussi, Liguori e Cretella e sotto l’egida di un tecnico che è rimasto ben capendo quali sono le caratteristiche del materiale umano a sua disposizione, delle prospettive e della piazza che lo circonda, potranno proseguire nel cammino virtuoso iniziato l’anno scorso. Sperando di non ritrovarsi più di fronte un Carrione di Castellammare di Stabia che si mette di traverso sul più bello che siamo lanciati.
INGIUSTIZIA E LACRIME
Per l’ennesima volta nella storia del Padova il lunedì del tifoso biancoscudato è più complicato e doloroso del già pesante lunedì di un qualunque lavoratore. Un inizio di settimana nero che viene dopo una domenica bestiale, pazzesca, segnata dal senso di ingiustizia e da lacrime amare che si sono mescolate a una pioggia fitta e battente, di quelle insistenti e fastidiose, così come insistente, fastidioso, cinico e pesante stile macigno è stato il destino che non ha mollato la squadra di Torrente seguendola come un’ombra e condannandola all’uscita di scena dai playoff al secondo turno in gara secca del girone A.
E’ incredibile come ogni volta ci sia la sensazione di un regista che si diverte a scrivere sceneggiature horror sulla vita del Padova. Non è tanto o non solo l’eliminazione dagli spareggi promozione, anche se davvero, dopo il filotto di fine stagione regolare e l’inizio col botto contro la Pergolettese, il sogno di raggiungere la B si era risvegliato ed era quanto mai vivo e avvolgente nella rinfrancata piazza padovana. A lasciare ammutoliti, attoniti e con le braccia allargate e pesanti è la modalità attraverso la quale la sconfitta contro la Virtus Verona è maturata, le forche caudine attraverso le quali Valentini e compagni son dovuti passare per poi uscire cornuti e mazziati. Un rigore come quello di Lonardi su Liguori non si può non dare. E’ follia non darlo. Gravissimo l’errore dell’arbitro, Carrione di Castellammare di Stabia, che, appostato a pochi metri, ha concesso la punizione dal limite con Liguori che si sbracciava per indicare il punto esatto del contatto e Valentini che chiedeva spiegazioni. La mente dei tifosi è volata al fallo di mano di Gomez in quel Triestina-Padova del 2021 che ha di fatto condannato il Biancoscudo ad arrivare secondo nonostante i pari punti col Perugia. Da queste parti c’è la tendenza a guardare sempre avanti e a non piangersi addosso ma ogni anno che passa diventa sempre più dura rialzarsi in piedi dopo cazzotti così forti presi in pieno volto. E non si può più nascondersi dietro all’adagio secondo cui gli episodi contro e a favore alla fine si compensano. Qui siamo di fronte a mancanze gravi, a sviste singole in grado di compromettere l’esito di un campionato intero di mesi e mesi di duro lavoro. Ovvio che dovremo farcela passare, visto che ormai quel che è stato fatto non si cambia, ma è comprensibile tutta la rabbia del mondo in questo momento e ci vorrà tempo per smaltirla e ripartire per il quinto anno di fila in questa serie C maledetta.
La presidente Bianchi e il direttore sportivo Mirabelli per ora hanno scelto di stare in silenzio: qualche giorno e poi si saprà se il patron Oughourlian punterà ancora su di loro per disegnare il Padova del futuro. Passeremo giorni difficili. E piangeremo ancora a ripensare alla partita contro la Virtus. Come hanno fatto diversi giocatori al fischio finale. Valentini, Radrezza, Vasic. Ecco, la cosa che fa male ancor di più è avere avuto la certezza, al 95′, di aver assistito all’ultima partita in biancoscudato di Aljosa Vasic che, giustamente, emigrerà verso lidi più importanti per completare la sua metamorfosi da talento puro a giocatore vero. A lui un grazie per averci provocato alcune delle emozioni più forti della stagione e per averci fatto sentire forte l’orgoglio di essere padovani. Che alla fine si soffre ma proprio per questo le gioie, poche, quando arrivano, hanno un’intensità moltiplicata all’infinito.
AI PLAYOFF NELLE MIGLIORI CONDIZIONI
Nemmeno il miglior regista specializzato in copioni thriller poteva scrivere un finale di campionato così avvincente e con i verdetti sospesi fino all’ultimo secondo come quello che è andato in scena nel girone A. Il Piacenza, nonostante la vittoria sul Vicenza, è retrocesso, arrivando a pari punti con l’AlbinoLeffe. La Triestina, al fotofinish, è riuscita ad abbandonare l’ultimo piazzamento e ad aggrapparsi ai playout da terzultima. La sorpresa Pro Sesto, che fino a qualche settimana fa ha conteso la vetta alla neopromossa FeralpiSalò, si è dovuta “accontentare” del quarto posto. Il Padova, in tutto questo, è stato veramente bravo a lasciarsi alle spalle gli alti e bassi del passato, le fragilità, le paure e la scarsa fiducia nei propri mezzi e a confezionare, al momento giusto il suo personalissimo capolavoro, guidato da un allenatore che ha saputo tirar fuori, dopo tanto lavoro e probabilmente anche diverse notti in bianco, il meglio delle motivazioni e della qualità da ciascun giocatore. Dando una possibilità a tutti, provando diversi uomini nei ruoli chiave, fino a trovare un equilibrio, tattico e mentale, che ora fa guardare agli spareggi promozione con uno stato d’animo di luce e ottimismo.
Sembrerò dissacrante, anche alla luce delle tante sofferenze che la squadra ha riservato ai suoi tifosi nel corso del campionato, ma mi sento di dire, dopo aver visto i biancoscudati conquistare a Mantova in quel modo la quarta vittoria di fila dopo aver passato mesi a rincorrere il ritorno al successo casalingo, che arriviamo a questi playoff nelle migliori condizioni possibili e nel miglior piazzamento possibile. Il quinto posto finale è il frutto del massimo che si poteva portare a casa con le sole proprie forze, senza fare affidamento sui più o meno favorevoli risultati dagli altri campi, e il gruppo biancoscudato lo ha centrato con pieno merito.
A differenza degli ultimi due campionati, dunque, in cui ai playoff il Padova è approdato da secondo nel 2021 dilapidando 6 punti di vantaggio nelle ultime 5 partite lasciando così la vetta al Perugia e nel 2022 non arrivando a completare per un pelo una grandissima rimonta sul Südtirol dei record, stavolta lo stato d’animo è ribaltato. Valentini e compagni non sono nè delusi dall’aver perso il primato per propri demeriti né affaticati e poco lucidi per una ricorsa interrotta a un metro dal traguardo. Stavolta hanno la spensieratezza di chi non ha niente da perdere e tutto da guadagnare, di chi sa che meglio di così a questo post season non ci poteva arrivare e che quindi darà per forza il massimo.
Il Padova è così ora: è l’outsider che può dare fastidio. Quelli costretti a fare risultato ad ogni costo, “obbligati” a vincere perché hanno rose costruite a suon di ingaggi pesanti e nomi di punta, sono, una volta tanto, gli altri. Questo non vuol dire che il Biancoscudo ce la farà di sicuro, sia chiaro: il cammino (che probabilmente verrà pure rinviato di due settimane a causa dei ricorsi alla giustizia sportiva di alcuni club non ancora risolti, con punti di penalità in ballo) si prospetta lungo e tortuoso e sarà contro avversari motivati tanto quanto. La serenità di chi scrive e dei tifosi è dettata solo dalla consapevolezza che è stato fatto il massimo cui, da un certo punto in poi, si poteva aspirare. Il futuro, più o meno radioso, però se lo dovranno disegnare ancora una volta i giocatori in campo, cercando di dare seguito al ritrovato periodo d’oro.