SEGNALE FORTE (E INEQUIVOCABILE)?

Il colpo a sorpresa era nell’aria da diversi giorni. Ma mentre tifosi e addetti ai lavori seguivano le piste che portavano a nomi di difensori d’esperienza e scafati attaccanti, la società biancoscudata stava lavorando su un fronte interno. Nessun nuovo acquisto dunque, almeno per ora, ma l’annuncio del prolungamento del contratto al direttore sportivo Massimiliano Mirabelli fino a giugno 2026.
La notizia, non c’è dubbio, ha colpito. Ha lasciato il segno, più che altro per la tempistica: in questi giorni tutti si aspettavano l’annuncio dell’ingaggio di Guerra dalla FeralpiSalò o di Paloschi svincolato dal Siena che non si è iscritto al campionato, non certo il rinnovo di Mirabelli.
A questo punto è chiaro che la proprietà ha deciso di lanciare un segnale e che questo segnale va interpretato nel senso in cui è in grado di riaccendere quel minimo di passione in una piazza smorzata, a tratti annichilita, dall’andamento delle ultime tre annate.
Dare la priorità al rinforzo del vincolo con il responsabile dell’area tecnica deve significare che le ambizioni, rispetto al recente passato, sono cambiate. Si sono rinvigorite, dopo che, mancata per due anni di fila la serie B con due finali playoff perse in modo allucinante, si era scelto di proseguire con un profilo basso, puntando sui giovani e riducendo il budget. Il proseguimento del rapporto con Mirabelli deve essere il segnale che si vuol tornare ad essere protagonisti, si vuol tornare a vincere, non limitarsi a “fare bene”, anche alla luce del fatto che nemmeno mister Torrente si è nascosto il giorno della partenza per il ritiro di Pieve di Cadore, dicendo apertamente di voler puntare a un campionato di vertice.
La palla, per nulla facile da gestire (ma d’altra parte, c’è qualcosa di facile da gestire a Padova?) passa a questo punto proprio a Mirabelli: a lui il compito di chiudere il mercato con i colpi che mancano a rendere questa squadra il più competitiva possibile. A lui il dovere di tentare, con umiltá e disponibilità, di ricucire uno strappo con gli ultras che dura da troppo tempo. A lui l’incarico di ricompattare l’ambiente e ritrasferire nella piazza la fiducia che ha ricevuto. Se ce la farà, confortato ovviamente dai risultati, davvero si può pensare un po’ più in grande dopo che il fallimento del primo progetto triennale ha ridimensionato l’entusiasmo. Che questa svolta sia la fiamma che può riaccendere il Piccolo grande mondo del Biancoscudo.

PADOVANITA’ E CONTINUITA’: NON E’ L’INFERNO…

L’umore, in casa Padova, raramente è di quelli che rallegrano le giornate e fanno guardare fiduciosi verso la linea dell’orizzonte. Difficile che sia così quando ti ritrovi con un pugno di mosche in mano per il quarto anno di fila e, dopo aver visto sfumare il traguardo davanti ai tuoi occhi a un centimetro dalla linea bianca in due occasioni, vieni fermato all’inizio degli spareggi dalla brutta serata del direttore di gara. Difficile che sia così quando il patron ti spiega che, dopo aver investito praticamente a vuoto 22 milioni e mezzo di euro, opererà un ulteriore taglio al budget e non sforerà i 4 milioni nella costruzione della rosa che proverà nuovamente a raggiungere la B nella stagione 2023-2024.
Eppure, nonostante le premesse sembrino porre il tifoso di fronte all’ennesima porta dell’Inferno dantesco con su scritto “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate”, qualche motivo per recuperare almeno un accenno di sorriso c’è. Primo tra tutti l’ingresso nell’organigramma societario, decisamente a sorpresa, di un nuovo imprenditore, ad appena 10 giorni dall’eliminazione ai playoff per mano della Virtus Verona. Il ritorno di Francesco Peghin, che ha assunto immediatamente la carica di presidente riportando sullo scranno più alto della società un padovano, ha ottenuto fin dall’annuncio il risultato di asciugare le lacrime che ancora sgorgavano abbondanti per quel rigore non dato su Liguori e per l’ingiustizia subita. La storia del Biancoscudo insegna che è con un padovano alla guida che il club ha ottenuto i suoi migliori risultati, se non altro per questo quindi (ma anche per il fatto che è entrato con il 25 per cento delle quote e immettendo un milione di euro di risorse) l’ambiente è chiamato a interpretare questo nuovo corso come una svolta positiva o quantomeno come elemento di discontinuità con un recente passato ricco più di dolori che di gioie.

Certo, 4 milioni di budget fanno ben comprendere che il mercato non vivrà di colpi sensazionali ma, come l’estate scorsa, di acquisti mirati e soprattutto di giovani con tanta fame e voglia di emergere. Se si osserva il fenomeno da un punto di vista assoluto il downgrade è evidente, se invece si utilizza un occhio relativo basta leggere i nomi delle due finaliste ai playoff di questa edizione (Lecco e Foggia) per capire che la strada giusta, in questa categoria, è proprio quella intrapresa dal Padova un anno fa. Che Pinzauti, Lepore e Melgrati, in serie C, gestiti da un allenatore che riesce a creare un Gruppo con la G maiuscola e a dare una precisa identità di gioco, possono arrivare ad essere decisivi più di Chiricò, Lescano, Ronaldo, Ajeti e Merkaj, con tutto il rispetto per questi ultimi che sono e restano grandissimi giocatori.

Di fronte a un Pescara, a una Virtus Entella, a un Pordenone (peraltro costretto a ripartire dalla D o dall’Eccellenza) e a un Cesena che non ce l’hanno fatta, investendo decisamente più del Padova, bisogna accogliere con fiducia l’arrivo di Capelli dalla Pro Sesto, di Villa dalla Pergolettese e di Fusi dal Sangiuliano City, senza storcere il naso solo perché non c’è abbastanza “appeal” nel nome delle società di provenienza. Insieme a Donnarumma, Radrezza, Bortolussi, Liguori e Cretella e sotto l’egida di un tecnico che è rimasto ben capendo quali sono le caratteristiche del materiale umano a sua disposizione, delle prospettive e della piazza che lo circonda, potranno proseguire nel cammino virtuoso iniziato l’anno scorso. Sperando di non ritrovarsi più di fronte un Carrione di Castellammare di Stabia che si mette di traverso sul più bello che siamo lanciati.

INGIUSTIZIA E LACRIME

Per l’ennesima volta nella storia del Padova il lunedì del tifoso biancoscudato è più complicato e doloroso del già pesante lunedì di un qualunque lavoratore. Un inizio di settimana nero che viene dopo una domenica bestiale, pazzesca, segnata dal senso di ingiustizia e da lacrime amare che si sono mescolate a una pioggia fitta e battente, di quelle insistenti e fastidiose, così come insistente, fastidioso, cinico e pesante stile macigno è stato il destino che non ha mollato la squadra di Torrente seguendola come un’ombra e condannandola all’uscita di scena dai playoff al secondo turno in gara secca del girone A.
E’ incredibile come ogni volta ci sia la sensazione di un regista che si diverte a scrivere sceneggiature horror sulla vita del Padova. Non è tanto o non solo l’eliminazione dagli spareggi promozione, anche se davvero, dopo il filotto di fine stagione regolare e l’inizio col botto contro la Pergolettese, il sogno di raggiungere la B si era risvegliato ed era quanto mai vivo e avvolgente nella rinfrancata piazza padovana. A lasciare ammutoliti, attoniti e con le braccia allargate e pesanti è la modalità attraverso la quale la sconfitta contro la Virtus Verona è maturata, le forche caudine attraverso le quali Valentini e compagni son dovuti passare per poi uscire cornuti e mazziati. Un rigore come quello di Lonardi su Liguori non si può non dare. E’ follia non darlo. Gravissimo l’errore dell’arbitro, Carrione di Castellammare di Stabia, che, appostato a pochi metri, ha concesso la punizione dal limite con Liguori che si sbracciava per indicare il punto esatto del contatto e Valentini che chiedeva spiegazioni. La mente dei tifosi è volata al fallo di mano di Gomez in quel Triestina-Padova del 2021 che ha di fatto condannato il Biancoscudo ad arrivare secondo nonostante i pari punti col Perugia. Da queste parti c’è la tendenza a guardare sempre avanti e a non piangersi addosso ma ogni anno che passa diventa sempre più dura rialzarsi in piedi dopo cazzotti così forti presi in pieno volto. E non si può più nascondersi dietro all’adagio secondo cui gli episodi contro e a favore alla fine si compensano. Qui siamo di fronte a mancanze gravi, a sviste singole in grado di compromettere l’esito di un campionato intero di mesi e mesi di duro lavoro. Ovvio che dovremo farcela passare, visto che ormai quel che è stato fatto non si cambia, ma è comprensibile tutta la rabbia del mondo in questo momento e ci vorrà tempo per smaltirla e ripartire per il quinto anno di fila in questa serie C maledetta.
La presidente Bianchi e il direttore sportivo Mirabelli per ora hanno scelto di stare in silenzio: qualche giorno e poi si saprà se il patron Oughourlian punterà ancora su di loro per disegnare il Padova del futuro. Passeremo giorni difficili. E piangeremo ancora a ripensare alla partita contro la Virtus. Come hanno fatto diversi giocatori al fischio finale. Valentini, Radrezza, Vasic. Ecco, la cosa che fa male ancor di più è avere avuto la certezza, al 95′, di aver assistito all’ultima partita in biancoscudato di Aljosa Vasic che, giustamente, emigrerà verso lidi più importanti per completare la sua metamorfosi da talento puro a giocatore vero. A lui un grazie per averci provocato alcune delle emozioni più forti della stagione e per averci fatto sentire forte l’orgoglio di essere padovani. Che alla fine si soffre ma proprio per questo le gioie, poche, quando arrivano, hanno un’intensità moltiplicata all’infinito.

AI PLAYOFF NELLE MIGLIORI CONDIZIONI

Nemmeno il miglior regista specializzato in copioni thriller poteva scrivere un finale di campionato così avvincente e con i verdetti sospesi fino all’ultimo secondo come quello che è andato in scena nel girone A. Il Piacenza, nonostante la vittoria sul Vicenza, è retrocesso, arrivando a pari punti con l’AlbinoLeffe. La Triestina, al fotofinish, è riuscita ad abbandonare l’ultimo piazzamento e ad aggrapparsi ai playout da terzultima. La sorpresa Pro Sesto, che fino a qualche settimana fa ha conteso la vetta alla neopromossa FeralpiSalò, si è dovuta “accontentare” del quarto posto. Il Padova, in tutto questo, è stato veramente bravo a lasciarsi alle spalle gli alti e bassi del passato, le fragilità, le paure e la scarsa fiducia nei propri mezzi e a confezionare, al momento giusto il suo personalissimo capolavoro, guidato da un allenatore che ha saputo tirar fuori, dopo tanto lavoro e probabilmente anche diverse notti in bianco, il meglio delle motivazioni e della qualità da ciascun giocatore. Dando una possibilità a tutti, provando diversi uomini nei ruoli chiave, fino a trovare un equilibrio, tattico e mentale, che ora fa guardare agli spareggi promozione con uno stato d’animo di luce e ottimismo.
Sembrerò dissacrante, anche alla luce delle tante sofferenze che la squadra ha riservato ai suoi tifosi nel corso del campionato, ma mi sento di dire, dopo aver visto i biancoscudati conquistare a Mantova in quel modo la quarta vittoria di fila dopo aver passato mesi a rincorrere il ritorno al successo casalingo, che arriviamo a questi playoff nelle migliori condizioni possibili e nel miglior piazzamento possibile. Il quinto posto finale è il frutto del massimo che si poteva portare a casa con le sole proprie forze, senza fare affidamento sui più o meno favorevoli risultati dagli altri campi, e il gruppo biancoscudato lo ha centrato con pieno merito.
A differenza degli ultimi due campionati, dunque, in cui ai playoff il Padova è approdato da secondo nel 2021 dilapidando 6 punti di vantaggio nelle ultime 5 partite lasciando così la vetta al Perugia e nel 2022 non arrivando a completare per un pelo una grandissima rimonta sul Südtirol dei record, stavolta lo stato d’animo è ribaltato. Valentini e compagni non sono nè delusi dall’aver perso il primato per propri demeriti né affaticati e poco lucidi per una ricorsa interrotta a un metro dal traguardo. Stavolta hanno la spensieratezza di chi non ha niente da perdere e tutto da guadagnare, di chi sa che meglio di così a questo post season non ci poteva arrivare e che quindi darà per forza il massimo.
Il Padova è così ora: è l’outsider che può dare fastidio. Quelli costretti a fare risultato ad ogni costo, “obbligati” a vincere perché hanno rose costruite a suon di ingaggi pesanti e nomi di punta, sono, una volta tanto, gli altri. Questo non vuol dire che il Biancoscudo ce la farà di sicuro, sia chiaro: il cammino (che probabilmente verrà pure rinviato di due settimane a causa dei ricorsi alla giustizia sportiva di alcuni club non ancora risolti, con punti di penalità in ballo) si prospetta lungo e tortuoso e sarà contro avversari motivati tanto quanto. La serenità di chi scrive e dei tifosi è dettata solo dalla consapevolezza che è stato fatto il massimo cui, da un certo punto in poi, si poteva aspirare. Il futuro, più o meno radioso, però se lo dovranno disegnare ancora una volta i giocatori in campo, cercando di dare seguito al ritrovato periodo d’oro.

TORRENTE HA TROVATO LA QUADRA

33 punti in 19 partite. I numeri parlano chiaro e sono totalmente a suo favore, visto che il suo precedessore Bruno Caneo, nonostante la partenza col connubio vittorie-gol-spettacolo, di punti ne aveva messi insieme solo 23 in 18 gare, chiudendo proprio a Lecco la sua avventura in biancoscudato con l’esonero. Dopo essere stati un po’ diffidenti nei suoi confronti, davanti a una squadra che faceva una fatica bestia a decollare e a somigliargli, è dunque giunto il momento di riconoscere i giusti meriti a Vincenzo Torrente, l’artefice di questo primo piccolo miracolo di fine stagione. Sì, perché di miracolo si tratta, indipendentemente da come andrà a finire nel post season.

Conquistare questi playoff non era affatto scontato, per quanto fosse il traguardo che la società aveva indicato come il minimo sindacale ad inizio stagione, dopo le due finali consecutive perse. E Vincenzo nostro ce l’ha fatta, rimanendo con forza in equilibrio dopo essere passato attraverso la rabbia di tanti (troppi) pareggi che dovevano e potevano essere vittorie e il rammarico di prestazioni altalenanti, a volte strong, a volte molli, a volte strong e molli nell’arco degli stessi novanta minuti.

Torrente ha avuto la determinazione dell’ex calciatore che sa in prima persona cosa ci vuole per rendere al meglio in campo e la pazienza del buon padre di famiglia di fronte a un figlio che si impegna e vuole costruirsi un futuro radioso ma continua ad incontrare difficoltà. Il tecnico di Cetara ha agito come un diesel: ci ha messo un po’ a scaldarsi ed è riuscito a portare il motore biancoscudato al giusto numero di giri passando anche attraverso scelte discutibili (ma in molte occasioni inevitabili) dalle quali però ha saputo imparare correggendo progressivamente il tiro ed arrivando alla quadra che ora sta offrendo agli occhi dei tifosi il Padova nella sua versione migliore.

Per un lungo periodo ha adattato Dezi a fare il regista, poi ha capito che in quel ruolo, anche se fisicamente non aveva i centimetri che il suo gioco richiederebbe, era più indicato Radrezza che sta svolgendo il suo compito con l'”in più” di essere un padovano di cuore e di nascita oltre che di maglia. Ha provato a far girare gli attaccanti e gli esterni, tenendo il solo Liguori come punto fermo. Ha scelto a volte un centrocampo muscolare (con Franchini e Jelenic) a volte un centrocampo più tecnico (con Dezi finalmente nel suo ruolo naturale di mezz’ala, come nelle ultime partite). E’ riuscito, infine, a valorizzare appieno le caratteristiche di Bortolussi: chissà dove sarebbe il Padova oggi se il centravanti fosse arrivato a fine agosto e non a fine gennaio.

Come Penelope, insomma, Torrente ha fatto e disfatto la tela, giungendo ora che il campionato volge al termine e stanno per cominciare gli spareggi ovvero le sfide determinanti per tentare la scalata alla serie B, a mettere in piedi un gruppo degno di tal nome, una realtà in grado di potersela giocare contro tutti, con stabilità interiore, bel gioco, fiducia e unità d’intenti.

D’altra parte non è un caso che, prima di iniziare il secondo tempo della sua carriera in panchina, Torrente abbia messo insieme qualcosa come quasi 500 partite da professionista. Quel che sta costruendo e raccogliendo oggi è il frutto di un percorso che parla per lui, senza bisogno di aggiungere tanto altro.

SE IL VERO PADOVA E’ QUELLO DEL SECONDO TEMPO…

Il Padova è finalmente riuscito a sfatare quello che era ormai diventato a tutti gli effetti un tabù. Vincendo contro il Sangiuliano City all’Euganeo infatti i biancoscudati hanno conquistato nuovamente i 3 punti in casa, a distanza di 3 mesi e mezzo dall’ultima volta in cui era successo (23 dicembre 2022, Padova-Pro Vercelli, gol partita di Russini).

La squadra di Torrente è però contemporaneamente riuscita in un’altra, si fa per dire, impresa. Quella di mostrarsi nella sua doppia natura di squadra lenta e compassata prima e capace di stendere l’avversario reagendo alle difficoltà con qualità e personalità poi nell’arco temporale di un’unica partita, non più in due partite diverse. Con il Sangiuliano si è visto sia un Padova in difficoltà, come era successo, tanto per fare qualche esempio recente, nelle sfide alla Triestina e al Piacenza sia un Padova brillante e caparbio come quello ammirato contro Pro Patria, Novara e AlbinoLeffe, sempre per rimanere nell’ultimo periodo del campionato .

La domanda a questo punto sorge spontanea: qual è il vero Padova? Se la risposta giusta è “quello del primo tempo” possiamo tornare a metterci le mani nei capelli e programmare le famose ferie tra fine maggio e inizio giugno, sicuri di non perderci nemmeno un appuntamento importante dei biancoscudati. Se invece il vero Padova è quello della ripresa allora, tifosi miei, c’è ancora speranza. Speranza che i playoff vengano conquistati, in una posizione perfino decente e con possibilità di andare oltre i turni a partita secca.

Ancora una volta la decisione spetta al Padova. Se finalmente, meglio tardi che mai, ha ritrovato spirito e continuità e ripartirà dalla seconda parte della gara di domenica per affrontare con la stessa forza tecnico-tattica e mentale le partite a venire, i tifosi possono tornare a credere in un finale diverso da come se lo erano immaginato fino a qualche mese fa. Quando bisognava davvero grattare il fondo del barile per recuperare quel poco di fiducia che era rimasta in fondo al cuore…

E’ VERO MA…

E’ vero. Ci siamo illusi talmente tanto di poter vedere il Padova ingranare la marcia giusta da aver perso il conto del numero delle volte in cui le belle sensazioni della vigilia si sono trasformate in ceffoni in pieno viso dopo la prestazione sul campo. E’ vero: è dall’inizio del campionato che questa squadra ha dei limiti pazzeschi e ogni volta che prova a superarli cade rovinosamente su un errore, una disattenzione o una giornata storta. E’ vero: dopo il filotto di vittorie di inizio stagione, griffato Caneo, ci eravamo illusi di poter arrivare perfino primi, vista anche la generale mediocrità del girone A. E’ vero, abbiamo preso 5 gol a Crema al termine di una partita da vergognarsi. E’ vero: pensavamo che il gioco di Bruno Caneo, così frizzante e votato all’attacco, ci avrebbe almeno fatto divertire, e l’allenatore sardo alla fine ha pagato con l’esonero la mancanza di risultati. E’ vero, quando è arrivato Torrente abbiamo pensato che lo spettacolo poteva anche essere sacrificato nel nome di un maggiore equilibrio e della continuità e la continuità tanto agognata non è arrivata perché con il nuovo tecnico non abbiamo mai fatto due vittorie di fila. E’ vero abbiamo battuto la Pro Vercelli e non siamo poi riusciti a strappare la vittoria della consacrazione a Vicenza, pareggiando comunque con onore, è vero siamo andati a imporci 3-0 sul campo della Pro Patria, commuovendoci al primo gol in biancoscudato del padovano Radrezza, ma poi non siamo riusciti poi, aldilà del buonissimo 1-1 contro l’allora capolista Pordenone all’Euganeo e dello 0-0 contro l’attuale prima e probabilmente futura promossa in B Feralpi, a tenere vivo quello stato di grazia dell’anima facendoci fare altri 3 gol a domicilio dalla Pergolettese. E’ vero vincevamo a Verona contro la Virtus fino al 95’ e ci siamo fatti fare un gol da polli all’ultimo respiro, riuscendo poi solo per il rotto della cuffia a pareggiare in casa contro l’allora fanalino di coda Triestina. E’ vero abbiamo poi pareggiato anche contro l’ultima in classifica di due settimane dopo, il Piacenza e a momenti pure a Bergamo abbiamo rischiato di prendere il pari dopo che ci eravamo spinti nelle tranquille acque di un 3-1 che sembrava messo sotto chiave.

Anche a Meda, tra parolacce (tante) e applausi (troppo pochi), il Padova è sbarcato forte di 7 risultati utili consecutivi ed è caduto. E’ vero, se mettiamo insieme tutte le occasioni in cui si poteva ripartire e ci siamo miseramente arenati è davvero difficile continuare a fare esercizio di fiducia.

Ma delle due l’una: o chiudiamo baracca e burattini oggi, delusi e amareggiati, prenotando le ferie tra fine maggio e giugno e smettendo di credere tout court in questa squadra che comunque, seppur a sprazzi, qualche emozione l’ha generata, oppure riguardiamo la prestazione di Meda, salviamo quel che di buono c’è stato e continuiamo ad alimentare la debole fiammella della speranza che, in questa parte finale, qualcosa di buono possa uscire dal cilindro del campionato biancoscudato.

Delle due l’una, appunto. Forse vale ancora una volta, per l’ultima volta, la pena scegliere la seconda strada.

LE ULTIME 5 FINALI, CI VOGLIAMO CREDERE O NO?

Il Padova, dopo essere riuscito per la settima volta dall’inizio del campionato a vincere fuori casa conquistando un prezioso 3-2 sul campo dell’AlbinoLeffe (prezioso perché alla fine stava per diventare un 3-3 che ci avrebbe fatto dare fondo alle residue riserve di parolacce, ringraziamo sant’Antonio Donnarumma da Castellammare di Stabia!), si ritrova ancora una volta di fronte ad una possibilità di riscatto, ad un obiettivo da porsi, ad un traguardo possibile.

Mancano cinque giornate alla fine del campionato e la classifica ancora una volta sembra dire ai biancoscudati che desidera aspettarli, che se trovano continuità (magari tornando quanto prima al successo all’Euganeo oltre che sbancare i campi altrui) possono ancora guadagnare un posto se non proprio al sole almeno non nell’ombra anonima della decima-undicesima posizione, le ultime due disponibili per gli spareggi promozione.

La scelta, come sempre, spetta ai giocatori: sono settimane che, ad ogni intervista, ripetono che le ultime partite sono come delle “finali” e come tali vanno affrontate solo che non sempre i risultati sono andati di pari passo con l’intento manifestato.

Riuscisse loro un filotto vero e non solo annunciato il quinto o il sesto piazzamento non sarebbero così impossibili da raggiungere. E conquistare l’uno o l’altro fungerebbe anche da carica aggiuntiva per poi provare a vivere i playoff se non da protagonisti assoluti, come era nei desideri di inizio stagione, almeno con la “patina” dell’outsider che può dare fastidio e andare lontano.

Ci vogliamo credere o no?

PADOVA, ORA O MAI PIU’

Il Padova ce l’ha fatta nuovamente a uscire dalla crisi. Ormai si è perso il conto delle volte in cui ci è riuscito fino a questo momento del campionato, illudendo i tifosi di poter da quel momento in poi guardare solo verso l’alto e mai più alle sue spalle, ma stavolta pare davvero sia quella giusta, quella definitiva, quella che accendiamo rifiutando l’offerta della comoda salvezza e andando avanti nel cammino che porta ai playoff.

Forse stiamo di nuovo scambiando una pia illusione per una speranza, ma, a sette giornate dalla conclusione della stagione regolare, vien spontaneo rivolgersi alla squadra ed esclamare: ragazzi, ora o mai più.

Quella del “Dal Molin” di Arzignano era veramente l’ultima chiamata per dare una svolta decisa e definitiva al cammino e i biancoscudati hanno risposto presente, vincendo grazie al primo gol di Kevin Cannavò. La vittoria numero 10 ha peraltro spinto la squadra a quota 43 insieme a Novara e Pro Patria facendole guadagnare la settima posizione grazie al vantaggio degli scontri diretti a favore con entrambe le dirette concorrenti del momento. Sì, certo, la graduatoria non si deve guardare, bisogna ragionare di partita in partita, di settimana in settimana, ma vedere il Padova al settimo posto è un colpo d’occhio che riscalda il cuore e la passione di chi nonostante tutto crede in questo gruppo, visto che fino a qualche settimana fa si navigava tra l’undicesimo, il dodicesimo e il decimo piazzamento, una domenica dentro i playoff per un pelo e la domenica successiva inesorabilmente fuori dagli spareggi promozione.

Si può anche fare a meno di guardarla la classifica e continuare a ragionare come raccomanda mister Vincenzo Torrente senza smettere di alimentare la consapevolezza che i playoff non solo sono alla portata ma ci si può arrivare in una posizione assolutamente decente e decorosa. Basta guardare i prossimi appuntamenti: saranno tutti (o quasiI) scontri diretti. Affrontiamoli pure con la mentalità dell’”uno alla volta” ma rendiamoci conto che mai come quest’anno il campionato ci ha aspettato e che non possiamo davvero continuare a deludere. Abbiamo rialzato la testa, teniamola ben dritta da qui alla fine. Verso l’obiettivo.

PADOVA, INFINITA AGONIA

L’agonia del Padova continua. E la sensazione che non finirà, se non con la naturale conclusione della stagione, si fa sempre più strada nel cuore dei tifosi, costretti anche contro il Piacenza ad assistere nuovamente ad una prestazione dalla doppia faccia. Ad un primo tempo su buoni livelli e all’ultima parte del secondo in preda ai fantasmi di sempre, a paure, a timori, a leggerezza che puntualmente si materializzano quando li si prova.

Stiamo parlando con l’umore evidentemente marchiato a fuoco da quanto visto all’Euganeo domenica e magari tra qualche giorno tornerà a farsi largo nel nostro animo così martoriato dalle recenti vicende biancoscudate un pizzico di speranza, o forse chissà pia illusione, che davvero ad un certo punto la ruota possa girare e farlo non solo per una giornata. Ma è ormai chiaro che ci troviamo di fronte ad una squadra immatura e irresponsabile. Immatura perché non fa mai tesoro degli errori passati, ci ricade dentro con agghiacciante disinvoltura e non si rende conto che, continuando a ripetere le stesse azioni, non farà altro che portare a casa le stesse delusioni. Irresponsabile perché non comprende fino in fondo che, continuando su questa falsa riga, allontanerà da sé anche gli ultimi irriducibili tifosi che le sono rimasti, quelli che senza il Padova non sanno stare, quelli che la domenica è lo stadio, la partita, il pallone e non hanno l’alternativa delle strisciate perché la loro fede è interamente biancoscudata. Già nel freddissimo e anaffettivo Euganeo è fatica mettere in moto la passione e gli spalti si svuotano prima del novantesimo se il Padova non fa la prestazione fino in fondo. Ci mancava solo, contro il Piacenza, la farsa finale degli irrigatori impazziti che partono da soli e inondano il campo con la partita ancora in corso. Come non fossimo già abbastanza cornuti e mazziati per il semplice fatto che tifiamo Padova.

Questo spiacevole episodio ha reso una volta di più l’idea di una situazione allo sbando. Può infatti anche capitare di sbagliare la programmazione di un qualunque marchingegno, per carità, ma che nessuno sia stato in grado di intervenire in pochi minuti per fermarlo, se non il povero Radrezza che ci ha messo sopra un sacco di sabbia appoggiandoci i piedi, ha dell’incredibile ed è di una gravità inaudita. Ormai tutto è sfuggito di mano a chi di dovere: la squadra che dà segnali a corrente alternata, l’allenatore che non riesce più a dare le giuste sollecitazioni e motivazioni e che in sala stampa era più desolato che arrabbiato, addirittura l’impianto di irrigazione dello stadio Euganeo. Se possiamo, a fatica, arrivare a capire i limiti caratteriali di un gruppo che non ne ha più di così, non possiamo accettare di farci ridere dietro per superficialità e incapacità di gestione. C’è un limite a tutto. La società non può e non deve permetterlo, mai più.