Come non detto. Come non scritto.
Ho sbagliato io a credere che il Padova potesse ancora ambire, se non alla vetta ormai lontana, ad un posto lì vicino. Magari il terzo o il quarto. Visto che lì in alto, peraltro, le nobili del girone si ostinano a non voler prendere il volo e perdono a loro volta su campi che, se sei primo in classifica, devi espugnare punto e basta.
Altro che sogni di gloria o quantomeno di serenità in casa biancoscudata. Purtroppo all’Euganeo contro la Pergolettese si è materializzato l’incubo peggiore. Reso ancor più terribile, come al solito, dal fatto che davvero nessuno poteva aspettarselo, neanche il più pessimista dei pessimisti. La sfida coi lombardi ha offerto ai tifosi tutta una serie di certezze dalle quali sarà davvero difficile discostarsi d’ora in avanti. Come all’andata, è arrivata una delle più brutte sconfitte mai viste (anche se con meno gol al passivo, ma davvero non è una consolazione, semmai un puro dato statistico e di poco rilievo), i biancoscudati sono scesi in campo senz’anima e si sono resi protagonisti di una prestazione senza capo né coda, senza mordente, senza attributi. “E’ stato un problema mentale e non tecnico o tattico”, ha commentato con la faccia incredula quanto la nostra l’allenatore Vincenzo Torrente che tanto del bene credeva di aver fatto a questi ragazzi, rimettendoli in asse dopo averli presi in mano che erano allo sbando più totale. Sì, certo, è stato un problema mentale, mister, siamo tutti d’accordo. Ma se tu per primo, che ormai son due mesi che vedi questi ragazzi tutti i giorni, non hai avuto il minimo sentore che potesse andare così, allora abbiamo veramente un problema. La sensazione che non si sia trattato di una giornata storta ma che, ancora una volta, siamo di fronte a una crisi profonda uguale a quella scatenata dall’altrettanto terribile partita di andata, è forte. Fortissima. Impossibile da scacciare. Se non con una prestazione in grado di disintegrare tutto, come la calce viva, sabato prossimo in casa della Virtus Verona (che, aperta e chiusa parentesi, col Mantova ha vinto di rimonta in 10 contro 11 sfoderando uno spirito e una capacità di soffrire e lottare che da queste parti, ora come ora, ci sogniamo). In ogni caso, dovessimo anche riscattare alla grande la partita di ieri al “Gavagnin Nocini”, d’ora in avanti meglio davvero non affidarci più a voli pindarici e guardarci le spalle. E’ andata così. Doveva essere anno di transizione e anno di transizione sia dunque! Una comoda salvezza andrà più che bene, in attesa che il patron Joseph Oughourlian, che sarà a Padova la prossima settimana, dica a chiare lettere quali sono i progetti e breve-medio termine per questa società. Inutile salire sulle montagne russe dell’illusione ogni volta che si intravvede anche il più piccolo spiraglio di miglioramento. La piazza non se lo merita.
Dopo di che società, allenatore e squadra provino almeno stavolta a fare quadrato seriamente e a capire perché contro la Pergolettese, come all’andata, è venuto fuori uno scempio del genere. Perché la luce si è spenta contemporaneamente nella testa di tutti e ognuno ha iniziato ad andare per i fatti suoi, anche al triplice fischio. Perché, dopo aver preso gol al 4’, è scattato in tutti il pensiero: “E’ finita”, invece di un più costruttivo: “Abbiamo tutto il tempo per rimetterla in piedi”. Certo, si trattava della terza partita in una settimana e le due precedenti contro la prima Pordenone e la seconda FeralpiSalò avevano bruciato tante energie soprattutto nella testa, mancava Liguori davanti (e si è capito una volta di più che, più di tutti gli altri del reparto avanzato, è un giocatore essenziale), non c’era neanche Jelenic, il guerriero sloveno del centrocampo. Ma non possiamo fare di tutte queste considerazioni, che pur in parte possono spiegare la debacle, un alibi per i giocatori.
“E’ stato un problema mentale e non tecnico o tattico”, si diceva. Verissimo: tecnicamente questi ragazzi hanno dimostrato di aver ben poco da invidiare a Pordenone, Feralpi e Vicenza. Mentalmente invece c’è qualcosa che non funziona. E qui devono essere società e allenatore a capire come intervenire per aiutare questi ragazzi a rimettersi tranquilli e tornare a tirare fuori il meglio di sé. Con la doverosa premessa che, della serie “aiutati che il ciel ti aiuta”, devono per primi loro capirsi e tornare ad essere un gruppo vero. Non un insieme di giocatori che, al termine di una partita che coincide con un’orrenda sconfitta, invece che riunirsi in gruppo al centro del campo, abbracciandosi e sostenendosi come facevano una volta, e andare compatti verso i tifosi per chiedere scusa, si disperdono in campo e non hanno nemmeno la forza di guardarsi negli occhi.