TORRENTE HA TROVATO LA QUADRA

33 punti in 19 partite. I numeri parlano chiaro e sono totalmente a suo favore, visto che il suo precedessore Bruno Caneo, nonostante la partenza col connubio vittorie-gol-spettacolo, di punti ne aveva messi insieme solo 23 in 18 gare, chiudendo proprio a Lecco la sua avventura in biancoscudato con l’esonero. Dopo essere stati un po’ diffidenti nei suoi confronti, davanti a una squadra che faceva una fatica bestia a decollare e a somigliargli, è dunque giunto il momento di riconoscere i giusti meriti a Vincenzo Torrente, l’artefice di questo primo piccolo miracolo di fine stagione. Sì, perché di miracolo si tratta, indipendentemente da come andrà a finire nel post season.

Conquistare questi playoff non era affatto scontato, per quanto fosse il traguardo che la società aveva indicato come il minimo sindacale ad inizio stagione, dopo le due finali consecutive perse. E Vincenzo nostro ce l’ha fatta, rimanendo con forza in equilibrio dopo essere passato attraverso la rabbia di tanti (troppi) pareggi che dovevano e potevano essere vittorie e il rammarico di prestazioni altalenanti, a volte strong, a volte molli, a volte strong e molli nell’arco degli stessi novanta minuti.

Torrente ha avuto la determinazione dell’ex calciatore che sa in prima persona cosa ci vuole per rendere al meglio in campo e la pazienza del buon padre di famiglia di fronte a un figlio che si impegna e vuole costruirsi un futuro radioso ma continua ad incontrare difficoltà. Il tecnico di Cetara ha agito come un diesel: ci ha messo un po’ a scaldarsi ed è riuscito a portare il motore biancoscudato al giusto numero di giri passando anche attraverso scelte discutibili (ma in molte occasioni inevitabili) dalle quali però ha saputo imparare correggendo progressivamente il tiro ed arrivando alla quadra che ora sta offrendo agli occhi dei tifosi il Padova nella sua versione migliore.

Per un lungo periodo ha adattato Dezi a fare il regista, poi ha capito che in quel ruolo, anche se fisicamente non aveva i centimetri che il suo gioco richiederebbe, era più indicato Radrezza che sta svolgendo il suo compito con l'”in più” di essere un padovano di cuore e di nascita oltre che di maglia. Ha provato a far girare gli attaccanti e gli esterni, tenendo il solo Liguori come punto fermo. Ha scelto a volte un centrocampo muscolare (con Franchini e Jelenic) a volte un centrocampo più tecnico (con Dezi finalmente nel suo ruolo naturale di mezz’ala, come nelle ultime partite). E’ riuscito, infine, a valorizzare appieno le caratteristiche di Bortolussi: chissà dove sarebbe il Padova oggi se il centravanti fosse arrivato a fine agosto e non a fine gennaio.

Come Penelope, insomma, Torrente ha fatto e disfatto la tela, giungendo ora che il campionato volge al termine e stanno per cominciare gli spareggi ovvero le sfide determinanti per tentare la scalata alla serie B, a mettere in piedi un gruppo degno di tal nome, una realtà in grado di potersela giocare contro tutti, con stabilità interiore, bel gioco, fiducia e unità d’intenti.

D’altra parte non è un caso che, prima di iniziare il secondo tempo della sua carriera in panchina, Torrente abbia messo insieme qualcosa come quasi 500 partite da professionista. Quel che sta costruendo e raccogliendo oggi è il frutto di un percorso che parla per lui, senza bisogno di aggiungere tanto altro.

SE IL VERO PADOVA E’ QUELLO DEL SECONDO TEMPO…

Il Padova è finalmente riuscito a sfatare quello che era ormai diventato a tutti gli effetti un tabù. Vincendo contro il Sangiuliano City all’Euganeo infatti i biancoscudati hanno conquistato nuovamente i 3 punti in casa, a distanza di 3 mesi e mezzo dall’ultima volta in cui era successo (23 dicembre 2022, Padova-Pro Vercelli, gol partita di Russini).

La squadra di Torrente è però contemporaneamente riuscita in un’altra, si fa per dire, impresa. Quella di mostrarsi nella sua doppia natura di squadra lenta e compassata prima e capace di stendere l’avversario reagendo alle difficoltà con qualità e personalità poi nell’arco temporale di un’unica partita, non più in due partite diverse. Con il Sangiuliano si è visto sia un Padova in difficoltà, come era successo, tanto per fare qualche esempio recente, nelle sfide alla Triestina e al Piacenza sia un Padova brillante e caparbio come quello ammirato contro Pro Patria, Novara e AlbinoLeffe, sempre per rimanere nell’ultimo periodo del campionato .

La domanda a questo punto sorge spontanea: qual è il vero Padova? Se la risposta giusta è “quello del primo tempo” possiamo tornare a metterci le mani nei capelli e programmare le famose ferie tra fine maggio e inizio giugno, sicuri di non perderci nemmeno un appuntamento importante dei biancoscudati. Se invece il vero Padova è quello della ripresa allora, tifosi miei, c’è ancora speranza. Speranza che i playoff vengano conquistati, in una posizione perfino decente e con possibilità di andare oltre i turni a partita secca.

Ancora una volta la decisione spetta al Padova. Se finalmente, meglio tardi che mai, ha ritrovato spirito e continuità e ripartirà dalla seconda parte della gara di domenica per affrontare con la stessa forza tecnico-tattica e mentale le partite a venire, i tifosi possono tornare a credere in un finale diverso da come se lo erano immaginato fino a qualche mese fa. Quando bisognava davvero grattare il fondo del barile per recuperare quel poco di fiducia che era rimasta in fondo al cuore…

E’ VERO MA…

E’ vero. Ci siamo illusi talmente tanto di poter vedere il Padova ingranare la marcia giusta da aver perso il conto del numero delle volte in cui le belle sensazioni della vigilia si sono trasformate in ceffoni in pieno viso dopo la prestazione sul campo. E’ vero: è dall’inizio del campionato che questa squadra ha dei limiti pazzeschi e ogni volta che prova a superarli cade rovinosamente su un errore, una disattenzione o una giornata storta. E’ vero: dopo il filotto di vittorie di inizio stagione, griffato Caneo, ci eravamo illusi di poter arrivare perfino primi, vista anche la generale mediocrità del girone A. E’ vero, abbiamo preso 5 gol a Crema al termine di una partita da vergognarsi. E’ vero: pensavamo che il gioco di Bruno Caneo, così frizzante e votato all’attacco, ci avrebbe almeno fatto divertire, e l’allenatore sardo alla fine ha pagato con l’esonero la mancanza di risultati. E’ vero, quando è arrivato Torrente abbiamo pensato che lo spettacolo poteva anche essere sacrificato nel nome di un maggiore equilibrio e della continuità e la continuità tanto agognata non è arrivata perché con il nuovo tecnico non abbiamo mai fatto due vittorie di fila. E’ vero abbiamo battuto la Pro Vercelli e non siamo poi riusciti a strappare la vittoria della consacrazione a Vicenza, pareggiando comunque con onore, è vero siamo andati a imporci 3-0 sul campo della Pro Patria, commuovendoci al primo gol in biancoscudato del padovano Radrezza, ma poi non siamo riusciti poi, aldilà del buonissimo 1-1 contro l’allora capolista Pordenone all’Euganeo e dello 0-0 contro l’attuale prima e probabilmente futura promossa in B Feralpi, a tenere vivo quello stato di grazia dell’anima facendoci fare altri 3 gol a domicilio dalla Pergolettese. E’ vero vincevamo a Verona contro la Virtus fino al 95’ e ci siamo fatti fare un gol da polli all’ultimo respiro, riuscendo poi solo per il rotto della cuffia a pareggiare in casa contro l’allora fanalino di coda Triestina. E’ vero abbiamo poi pareggiato anche contro l’ultima in classifica di due settimane dopo, il Piacenza e a momenti pure a Bergamo abbiamo rischiato di prendere il pari dopo che ci eravamo spinti nelle tranquille acque di un 3-1 che sembrava messo sotto chiave.

Anche a Meda, tra parolacce (tante) e applausi (troppo pochi), il Padova è sbarcato forte di 7 risultati utili consecutivi ed è caduto. E’ vero, se mettiamo insieme tutte le occasioni in cui si poteva ripartire e ci siamo miseramente arenati è davvero difficile continuare a fare esercizio di fiducia.

Ma delle due l’una: o chiudiamo baracca e burattini oggi, delusi e amareggiati, prenotando le ferie tra fine maggio e giugno e smettendo di credere tout court in questa squadra che comunque, seppur a sprazzi, qualche emozione l’ha generata, oppure riguardiamo la prestazione di Meda, salviamo quel che di buono c’è stato e continuiamo ad alimentare la debole fiammella della speranza che, in questa parte finale, qualcosa di buono possa uscire dal cilindro del campionato biancoscudato.

Delle due l’una, appunto. Forse vale ancora una volta, per l’ultima volta, la pena scegliere la seconda strada.

LE ULTIME 5 FINALI, CI VOGLIAMO CREDERE O NO?

Il Padova, dopo essere riuscito per la settima volta dall’inizio del campionato a vincere fuori casa conquistando un prezioso 3-2 sul campo dell’AlbinoLeffe (prezioso perché alla fine stava per diventare un 3-3 che ci avrebbe fatto dare fondo alle residue riserve di parolacce, ringraziamo sant’Antonio Donnarumma da Castellammare di Stabia!), si ritrova ancora una volta di fronte ad una possibilità di riscatto, ad un obiettivo da porsi, ad un traguardo possibile.

Mancano cinque giornate alla fine del campionato e la classifica ancora una volta sembra dire ai biancoscudati che desidera aspettarli, che se trovano continuità (magari tornando quanto prima al successo all’Euganeo oltre che sbancare i campi altrui) possono ancora guadagnare un posto se non proprio al sole almeno non nell’ombra anonima della decima-undicesima posizione, le ultime due disponibili per gli spareggi promozione.

La scelta, come sempre, spetta ai giocatori: sono settimane che, ad ogni intervista, ripetono che le ultime partite sono come delle “finali” e come tali vanno affrontate solo che non sempre i risultati sono andati di pari passo con l’intento manifestato.

Riuscisse loro un filotto vero e non solo annunciato il quinto o il sesto piazzamento non sarebbero così impossibili da raggiungere. E conquistare l’uno o l’altro fungerebbe anche da carica aggiuntiva per poi provare a vivere i playoff se non da protagonisti assoluti, come era nei desideri di inizio stagione, almeno con la “patina” dell’outsider che può dare fastidio e andare lontano.

Ci vogliamo credere o no?

PADOVA, ORA O MAI PIU’

Il Padova ce l’ha fatta nuovamente a uscire dalla crisi. Ormai si è perso il conto delle volte in cui ci è riuscito fino a questo momento del campionato, illudendo i tifosi di poter da quel momento in poi guardare solo verso l’alto e mai più alle sue spalle, ma stavolta pare davvero sia quella giusta, quella definitiva, quella che accendiamo rifiutando l’offerta della comoda salvezza e andando avanti nel cammino che porta ai playoff.

Forse stiamo di nuovo scambiando una pia illusione per una speranza, ma, a sette giornate dalla conclusione della stagione regolare, vien spontaneo rivolgersi alla squadra ed esclamare: ragazzi, ora o mai più.

Quella del “Dal Molin” di Arzignano era veramente l’ultima chiamata per dare una svolta decisa e definitiva al cammino e i biancoscudati hanno risposto presente, vincendo grazie al primo gol di Kevin Cannavò. La vittoria numero 10 ha peraltro spinto la squadra a quota 43 insieme a Novara e Pro Patria facendole guadagnare la settima posizione grazie al vantaggio degli scontri diretti a favore con entrambe le dirette concorrenti del momento. Sì, certo, la graduatoria non si deve guardare, bisogna ragionare di partita in partita, di settimana in settimana, ma vedere il Padova al settimo posto è un colpo d’occhio che riscalda il cuore e la passione di chi nonostante tutto crede in questo gruppo, visto che fino a qualche settimana fa si navigava tra l’undicesimo, il dodicesimo e il decimo piazzamento, una domenica dentro i playoff per un pelo e la domenica successiva inesorabilmente fuori dagli spareggi promozione.

Si può anche fare a meno di guardarla la classifica e continuare a ragionare come raccomanda mister Vincenzo Torrente senza smettere di alimentare la consapevolezza che i playoff non solo sono alla portata ma ci si può arrivare in una posizione assolutamente decente e decorosa. Basta guardare i prossimi appuntamenti: saranno tutti (o quasiI) scontri diretti. Affrontiamoli pure con la mentalità dell’”uno alla volta” ma rendiamoci conto che mai come quest’anno il campionato ci ha aspettato e che non possiamo davvero continuare a deludere. Abbiamo rialzato la testa, teniamola ben dritta da qui alla fine. Verso l’obiettivo.

PADOVA, INFINITA AGONIA

L’agonia del Padova continua. E la sensazione che non finirà, se non con la naturale conclusione della stagione, si fa sempre più strada nel cuore dei tifosi, costretti anche contro il Piacenza ad assistere nuovamente ad una prestazione dalla doppia faccia. Ad un primo tempo su buoni livelli e all’ultima parte del secondo in preda ai fantasmi di sempre, a paure, a timori, a leggerezza che puntualmente si materializzano quando li si prova.

Stiamo parlando con l’umore evidentemente marchiato a fuoco da quanto visto all’Euganeo domenica e magari tra qualche giorno tornerà a farsi largo nel nostro animo così martoriato dalle recenti vicende biancoscudate un pizzico di speranza, o forse chissà pia illusione, che davvero ad un certo punto la ruota possa girare e farlo non solo per una giornata. Ma è ormai chiaro che ci troviamo di fronte ad una squadra immatura e irresponsabile. Immatura perché non fa mai tesoro degli errori passati, ci ricade dentro con agghiacciante disinvoltura e non si rende conto che, continuando a ripetere le stesse azioni, non farà altro che portare a casa le stesse delusioni. Irresponsabile perché non comprende fino in fondo che, continuando su questa falsa riga, allontanerà da sé anche gli ultimi irriducibili tifosi che le sono rimasti, quelli che senza il Padova non sanno stare, quelli che la domenica è lo stadio, la partita, il pallone e non hanno l’alternativa delle strisciate perché la loro fede è interamente biancoscudata. Già nel freddissimo e anaffettivo Euganeo è fatica mettere in moto la passione e gli spalti si svuotano prima del novantesimo se il Padova non fa la prestazione fino in fondo. Ci mancava solo, contro il Piacenza, la farsa finale degli irrigatori impazziti che partono da soli e inondano il campo con la partita ancora in corso. Come non fossimo già abbastanza cornuti e mazziati per il semplice fatto che tifiamo Padova.

Questo spiacevole episodio ha reso una volta di più l’idea di una situazione allo sbando. Può infatti anche capitare di sbagliare la programmazione di un qualunque marchingegno, per carità, ma che nessuno sia stato in grado di intervenire in pochi minuti per fermarlo, se non il povero Radrezza che ci ha messo sopra un sacco di sabbia appoggiandoci i piedi, ha dell’incredibile ed è di una gravità inaudita. Ormai tutto è sfuggito di mano a chi di dovere: la squadra che dà segnali a corrente alternata, l’allenatore che non riesce più a dare le giuste sollecitazioni e motivazioni e che in sala stampa era più desolato che arrabbiato, addirittura l’impianto di irrigazione dello stadio Euganeo. Se possiamo, a fatica, arrivare a capire i limiti caratteriali di un gruppo che non ne ha più di così, non possiamo accettare di farci ridere dietro per superficialità e incapacità di gestione. C’è un limite a tutto. La società non può e non deve permetterlo, mai più.

POCHI E SEMPLICI INGREDIENTI PER USCIRE DALLA CRISI

Velocità. Giusto un po’ di imprevedibilità. Gioco sulle fasce. Cross dal fondo e non dalla trequarti. Zero lanci lunghi a scavalcare il centrocampo. Sono questi gli ingredienti del ritorno al successo dei biancoscudati in quel di Novara. Ingredienti semplici per una ricetta altrettanto semplice da preparare.
Non ci voleva poi così tanto per tornare a far prestazione, no? Eppure il Padova, per riuscirci e riconquistare i tre punti a distanza di un mese dall’ultima volta, è dovuto passare sotto un tunnel di sofferenza pazzesco. E far passare sotto la stessa galleria del vento, anzi della tempesta, anche i suoi tifosi che comunque non lo hanno mai lasciato solo, seppur (giustamente) contestandolo.
Al “Piola” i biancoscudati, come i Blues Brothers, hanno rivisto la luce. Ma non serve scomodare l’immagine di San Paolo folgorato sulla via di Damasco per spiegare l’accaduto. Il Padova non aveva bisogno di una “conversione” così eminente. Ai giocatori è bastato amalgamare gli ingredienti base di cui sopra utilizzando il collante dell’atteggiamento, ovvero la componente mentale che mister Torrente va predicando da quando, ormai due mesi e mezzo fa, si è seduto per la prima volta sulla panchina biancoscudata. La prestazione è stata possibile perché, al gioco, i giocatori hanno saputo abbinare spirito di sacrificio, voglia di fare una corsa in più e più veloce dell’avversario, unità d’intenti, abnegazione e la capacità di mantenere i nervi saldi in occasione della “cavolata” che ha portato Galuppini a riaprire la partita.
Certo poi anche gli uomini su cui sono ricadute le scelte di Vincenzo Torrente (anche un po’ per necessità viste le contemporanee assenze di Dezi e Cretella a centrocampo, le non perfette condizioni di Jelenic e la ricaduta di Ceravolo) hanno saputo fare la differenza, trasformando l’emergenza di alcuni in opportunità per altri. Dimostrando di essere gli uomini giusti al posto giusto al momento giusto. A Radrezza l’abito del regista calza a pennello, Franchini ha sfruttato al meglio la sua occasione dimostrandosi anche abile assist man, Bortolussi ha dimostrato che se gli arrivano palloni decenti in area lui il cartellino in zona gol è in grado di timbrarlo, Vasic ci fa provare ogni giorno di più la sensazione che lo vedremo calcare campi da calcio più importanti in un tempo (purtroppo solo per noi, bravo lui!) non troppo lontano.
Non andiamo oltre nelle prospettive, per stavolta. Contro la Triestina si è toccato il punto più basso della stagione, contro il Novara, invece che iniziare a scavare accanendosi nel processo di autodemolizione, il Padova ha deciso di cominciare la risalita. Risalita che per ora lo ha riportato nei playoff. Ma che deve essere solo l’inizio di una scalata vera e propria per dare un senso diverso al rush finale del campionato.

IL PUNTO PIU’ BASSO

Il tifoso del Padova ha ormai perso il conto delle volte in cui si è ritrovato, nel cuore di un campionato del suo amato Biancoscudo, a vivere un momento difficile, duro e povero di risultati soddisfacenti. Quello attuale peraltro è particolarmente doloroso perché figlio di più componenti negative sia tecniche (la squadra evidentemente non ha i valori che si pensava avesse a inizio stagione e la situazione non è migliorata nemmeno con gli acquisti di gennaio) che caratteriali (ora come ora il gruppo fa una fatica tremenda a reagire e a rialzarsi quando la partita si mette male).

Dura vedere anche il minimo spiraglio di luce in mezzo a nuvole così dense perché non c’è un appiglio che sia uno cui attaccarsi per sperare che le cose possano andare meglio. La verità è che i giocatori su cui ha puntato il direttore sportivo Massimiliano Mirabelli ad inizio stagione non stanno rendendo secondo le aspettative ad eccezione forse del solo Liguori che comunque, pur avendo segnato 8 gol, alterna prestazioni buone a uscite molto meno buone. I rinforzi giunti nel mercato di riparazione inoltre, perfino Bortolussi che nella prima parte della stagione aveva segnato 5 gol e viene da due campionati in cui è andato in doppia cifra come numero di gol realizzati, non si stanno rivelando decisivi per rimettere in bolla il rendimento e l’umore della truppa. La punta ex Novara non vede la porta nemmeno col binocolo anche perché, onesti e sinceri, lì davanti palloni decenti non gliene arrivano nemmeno pregando. Il nuovo allenatore infine, che in un primo momento sembrava avesse restituito al Padova equilibrio e atteggiamento, si è arenato a sua volta: in 10 partite Torrente ha totalizzato 13 punti (con una media dunque di 1,3 lunghezze a gara), il suo predecessore Caneo, esonerato dopo la figuraccia di Lecco, ne aveva messi insieme 23 in 18 (con una media di 1,27 a giornata). I numeri sono impietosi ma sempre oggettivi e descrittivi della realtà per come essa è e in questo momento dicono in sintesi che il Padova del nuovo mister non ha fatto meglio del Padova precedente. Con l’aggravante che fa una fatica bestia a segnare e dietro ha iniziato pure a prendere gol evitabili, figli di paura, disattenzione, leggerezza e mancanza di certezze.

Per provare a dare una scossa l’ambiente si è aggrappato con tutte le sue forze alla visita, a un anno e mezzo dall’ultima volta, del patron Joseph Oughourlian che, dopo aver garantito che mai e poi mai mollerà il Padova al primo che passa e che la sua volontà è quella, seppur con un progetto più sostenibile e meno oneroso, di continuare a investire qui (sperando che qualcuno il suo centro sportivo da 20 milioni di euro glielo faccia fare), ha anche parlato in modo sereno e accorato alla squadra facendo un parallelismo con il Palermo dell’anno scorso che di questi tempi se la passava decisamente poco bene e poi è volato in serie B sulle ali dell’entusiasmo e della forza interiore. Purtroppo le sue parole non hanno sortito l’effetto sperato contro la Triestina ma rimangono le uniche in grado di illuminare il cammino biancoscudato da qui in poi e di alimentare la speranza che la tendenza attuale si possa invertire. Continuando ovviamente a non illudersi. L’obiettivo resta la salvezza, sia chiaro.

MESSAGGIO RICEVUTO, PENSIAMO A SALVARCI

Come non detto. Come non scritto.

Ho sbagliato io a credere che il Padova potesse ancora ambire, se non alla vetta ormai lontana, ad un posto lì vicino. Magari il terzo o il quarto. Visto che lì in alto, peraltro, le nobili del girone si ostinano a non voler prendere il volo e perdono a loro volta su campi che, se sei primo in classifica, devi espugnare punto e basta.

Altro che sogni di gloria o quantomeno di serenità in casa biancoscudata. Purtroppo all’Euganeo contro la Pergolettese si è materializzato l’incubo peggiore. Reso ancor più terribile, come al solito, dal fatto che davvero nessuno poteva aspettarselo, neanche il più pessimista dei pessimisti. La sfida coi lombardi ha offerto ai tifosi tutta una serie di certezze dalle quali sarà davvero difficile discostarsi d’ora in avanti. Come all’andata, è arrivata una delle più brutte sconfitte mai viste (anche se con meno gol al passivo, ma davvero non è una consolazione, semmai un puro dato statistico e di poco rilievo), i biancoscudati sono scesi in campo senz’anima e si sono resi protagonisti di una prestazione senza capo né coda, senza mordente, senza attributi. “E’ stato un problema mentale e non tecnico o tattico”, ha commentato con la faccia incredula quanto la nostra l’allenatore Vincenzo Torrente che tanto del bene credeva di aver fatto a questi ragazzi, rimettendoli in asse dopo averli presi in mano che erano allo sbando più totale. Sì, certo, è stato un problema mentale, mister, siamo tutti d’accordo. Ma se tu per primo, che ormai son due mesi che vedi questi ragazzi tutti i giorni, non hai avuto il minimo sentore che potesse andare così, allora abbiamo veramente un problema. La sensazione che non si sia trattato di una giornata storta ma che, ancora una volta, siamo di fronte a una crisi profonda uguale a quella scatenata dall’altrettanto terribile partita di andata, è forte. Fortissima. Impossibile da scacciare. Se non con una prestazione in grado di disintegrare tutto, come la calce viva, sabato prossimo in casa della Virtus Verona (che, aperta e chiusa parentesi, col Mantova ha vinto di rimonta in 10 contro 11 sfoderando uno spirito e una capacità di soffrire e lottare che da queste parti, ora come ora, ci sogniamo). In ogni caso, dovessimo anche riscattare alla grande la partita di ieri al “Gavagnin Nocini”, d’ora in avanti meglio davvero non affidarci più a voli pindarici e guardarci le spalle. E’ andata così. Doveva essere anno di transizione e anno di transizione sia dunque! Una comoda salvezza andrà più che bene, in attesa che il patron Joseph Oughourlian, che sarà a Padova la prossima settimana, dica a chiare lettere quali sono i progetti e breve-medio termine per questa società. Inutile salire sulle montagne russe dell’illusione ogni volta che si intravvede anche il più piccolo spiraglio di miglioramento. La piazza non se lo merita.

Dopo di che società, allenatore e squadra provino almeno stavolta a fare quadrato seriamente e a capire perché contro la Pergolettese, come all’andata, è venuto fuori uno scempio del genere. Perché la luce si è spenta contemporaneamente nella testa di tutti e ognuno ha iniziato ad andare per i fatti suoi, anche al triplice fischio. Perché, dopo aver preso gol al 4’, è scattato in tutti il pensiero: “E’ finita”, invece di un più costruttivo: “Abbiamo tutto il tempo per rimetterla in piedi”. Certo, si trattava della terza partita in una settimana e le due precedenti contro la prima Pordenone e la seconda FeralpiSalò avevano bruciato tante energie soprattutto nella testa, mancava Liguori davanti (e si è capito una volta di più che, più di tutti gli altri del reparto avanzato, è un giocatore essenziale), non c’era neanche Jelenic, il guerriero sloveno del centrocampo. Ma non possiamo fare di tutte queste considerazioni, che pur in parte possono spiegare la debacle, un alibi per i giocatori.

“E’ stato un problema mentale e non tecnico o tattico”, si diceva. Verissimo: tecnicamente questi ragazzi hanno dimostrato di aver ben poco da invidiare a Pordenone, Feralpi e Vicenza. Mentalmente invece c’è qualcosa che non funziona. E qui devono essere società e allenatore a capire come intervenire per aiutare questi ragazzi a rimettersi tranquilli e tornare a tirare fuori il meglio di sé. Con la doverosa premessa che, della serie “aiutati che il ciel ti aiuta”, devono per primi loro capirsi e tornare ad essere un gruppo vero. Non un insieme di giocatori che, al termine di una partita che coincide con un’orrenda sconfitta, invece che riunirsi in gruppo al centro del campo, abbracciandosi e sostenendosi come facevano una volta, e andare compatti verso i tifosi per chiedere scusa, si disperdono in campo e non hanno nemmeno la forza di guardarsi negli occhi.

L’ATTEGGIAMENTO C’E’, MANCANO I GOL

5 pareggi e 2 vittorie. Vincenzo Torrente, da quando è diventato la nuova guida tecnica del Padova, non ha mai perso. E questa è la prima buona notizia. L’altra buona nuova è che la squadra, da quando c’è l’allenatore di Cetara, sta crescendo sotto tanti punti di vista: nell’atteggiamento innanzitutto, nell’approccio alle gare, nella personalità, nella solidità difensiva. Questa ritrovata solidità difensiva peraltro, che era il tallone d’Achille del suo precedessore Bruno Caneo, non coincide con un innalzamento di barricate o, peggio ancora, con la rinuncia al gioco, anzi. I biancoscudati, seppur più accorti dietro, sono contemporaneamente propositivi, soprattutto sulle fasce dove spesso avvengono sovrapposizioni che mettono gli esterni nella condizione di crossare buoni palloni in area o di esibire in proprio le qualità di cui sono dotati (soprattutto Liguori, il capocannoniere della squadra con 8 gol).

Qual è allora il problema? Perché questa meravigliosa crescita non corrisponde ad un numero più sostanzioso di vittorie? Semplice: manca il gol. Il Padova (aldilà del primo tempo contro la Feralpi in cui ha subìto l’avversario facendosi a tratti schiacciare nella propria metà campo) crea occasioni ma le sfrutta in minima parte. Al “Turina” di Salò Pizzignacco ha fatto un miracolo su Vasic, poi ha alzato sopra la traversa il colpo di testa di Bortolussi. Sulla precedente deviazione sempre di testa di Liguori invece il portiere dei Leoni del Garda ha assistito all’errore dell’esterno biancoscudato che non è riuscito a prendere bene la mira da buona posizione. Almeno una di queste tre palle doveva entrare per sperare in una vittoria in casa della seconda della classe, in qualunque modo, invece così non è stato ed è uscito lo 0-0.

C’è di buono che, in questo girone e in questo campionato, non è mai troppo tardi per ripartire e scalare la classifica. Il primo posto è tutt’altro che deciso, nessuna squadra si è ancora dimostrata neanche lontana parente del Südtirol che l’anno scorso ha fatto record di punti rivelandosi una delle migliori difese d’Europa. Nelle ultime due uscite peraltro il Padova ha incontrato la capolista Pordenone e la vice capolista FeralpiSalò e gli 11 e i 9 punti di differenza in classifica sul campo non si sono visti. Gli uomini di Torrente hanno giocato alla pari, nonostante navighino nel semi anonimato, tra il decimo e l’undicesimo posto, da mesi.

Il famoso filotto di vittorie cui aspira Torrente è a portata di mano. Sono arrivati Bortolussi (uno da doppia cifra) e Cannavò, sono rimasti De Marchi, Ceravolo (e pure Gagliano). Ci sono Liguori e Russini. Più i centrocampisti pronti a inserirsi quando ci sono le condizioni di spazio e tempo per farlo. Basta decidersi a cominciare. La vetta (o un posto lì nei dintorni) potrebbe non essere così lontana.