Non rubateci i sogni. Almeno per qualche giorno. Zaccagni ha segnato in rovesciata con il Verona, questo conta. E invece, già ieri, si disquisiva sull’impennata del valore del cartellino, sulla prossima plusvalenza della società eccetera.
Non siamo più tutti solo allenatori, in questo Paese anche di santi, navigatori e poeti. Siamo anche, o forse soprattutto, manager e contabili del calcio. Già, il tifoso generalmente è il primo ormai a essere assuefatto dalle logiche del calcio moderno. Non vive più l’esclusiva emozione in sé (per un gesto tecnico, una vittoria…), ma già ragiona contando i soldi (che incassano gli altri). Noto e leggo molti commenti che rimbalzano sui social: si parla sempre più spesso di soldi, “Tizio vale dieci”, perché “se Sempronio lo vendono a 15, per il nostro Caio allora devono chiedere il doppio”. E via discorrendo. E tutti a leggere e a citare, ca va sans dire, siti specializzati in calcio finanziario.
Quanto sono lontani i tempi (qualche anno fa, non secoli) in cui ancora si resisteva culturalmente a questa deriva economicistica e commerciale. Il tifoso neanche si azzardava a pensare – per citare un canzone cult di Rino Gaetano – “che Chinaglia può passare al Frosinone”. Invece noi oggi, qui a Verona, diamo per scontato che Zaccagni presto se ne andrà e spariamo il toto-cifre. Sul piano sentimentale (sfera del tifoso) è contro natura.
Ma non solo. Setti ci ha assuefatto al punto che accettiamo come normale, logico, giusto, che si venda presto e comunque (e magari al ribasso, come spesso è accaduto). Sul piano culturale (in senso lato) ha vinto lui ed è anche per questo che difficilmente faremo il salto di qualità come club. Si è rassegnato persino Juric, che ha compreso che parlava al vento, che le sue “ovvietà” sul mercato passavano per rivoluzionarie e quindi infastidivano, facendolo addirittura passare per antipatico o rompicoglioni. Non un buon segnale, perché meglio la rabbia dell’indifferenza.
Per questo immortalo il fotogramma di ieri: la rovesciata di Zac in gialloblu, con il Verona. Mi tengo e godo i sogni, finché durano.