Juric e Setti non se le mandano a dire. Sembra una telenovela, le stoccate tre i due infatti sono ormai un appuntamento quasi settimanale. L’ultima è di ieri con il presidente che risponde all’allenatore dicendo che “deve maturare”. Detta a un uomo di 45 anni che da ragazzo, a Spalato, ha visto la guerra. Detto a un signore proveniente da una famiglia che ai tempi di Tito ne visse di tutti i colori, tra umiliazioni e declassamenti. Bisognerebbe misurare le parole, anche perché Juric finora non è mai andato sul personale ma, giusto o sbagliato, ha sempre evidenziato i limiti programmatici di una società che dopo 8 anni, come in un grande gioco dell’oca, è sostanzialmente alla casella di partenza: vendere tutti (quelli bravi s’intende) e appena è possibile.
Comunque, poco male. Chi scrive non ritiene particolarmente grave la diatriba tra i due (la squadra non ne risente). Che, pare, non si parlino molto di persona: preferiscono i mass media e di loro sponte visto che le domande spesso latitano. Quello tra Setti e Juric è un gioco delle parti, una commedia, tra un allenatore che smania perché vuole diventare grande (o qui o altrove) e un presidente che – smargiassate a parte – sa che non può andare oltre.
Ecco, se vogliamo, il problema vero è questo: il Verona, inteso come società, sta costruendo? L’impressione è che se dovesse andare via Juric (prima o poi capiterà, come succede agli allenatori, speriamo molto “poi”, ma la sostanza del ragionamento non cambia) si ripartirebbe da zero, poiché lo scouting, i giri di mercato e il settore tecnico sono molto legati alla sua figura. Un po’ come successe con Sogliano nel 2015.
L’obiettivo invece dovrebbe essere diventare indipendenti da allenatori e figure tecniche, che passano. Sarebbe questo il consolidamento tanto sbandierato a parole. Sarebbe questo il vero bene del Verona.