Ivan Juric è un allenatore antico, che riporta il calcio al suo senso più profondo: trovare la chiave per vincere, mescolando anche le carte, puntando sull’uomo (il giocatore) e non sui moduli. Altroché “talebano”, come era stato frettolosamente etichettato: il metallaro spalatino adatta il suo credo alle caratteristiche dei giocatori e degli avversari, fatti salvi due principi: si gioca uno contro uno in tutte le zone del campo e in verticale, sempre, con la palla tra i piedi.
E così il Verona 2020-21, con meno giocatori di tocco e di manovra, imposta meno, attende e scatta in contropiede, giocando sull’avversario: ecco quindi Tameze “falso nueve” perché – ha spiegato il giocatore – “la Lazio non doveva impostare”; ecco perciò spiegata l’aggressività feroce e organizzata di una squadra che come ha detto Silvestri “è appiccicata al nostro portabandiera Juric”. Ecco pertanto che si capisce perché ci esprimiamo meglio con le grandi che con avversari più chiusi che ci costringono a giocare in spazi stretti (non ne siamo ancora capaci, ha detto ieri Juric).
Juric però che è uomo di profonda intelligenza anche fuori dal campo. Il croato spezza la retorica celebrante: “Non parliamo di Europa, se abbassiamo la guardia per noi è finita, stasera siamo stati avvantaggiati dalla stanchezza della Lazio dopo la Champions”. Un po’ quello che era successo con l’Atalanta. Tradotto: è ancora troppo presto per capire cosa faremo da grandi, certamente Juric sta compiendo un mezzo miracolo con una squadra nuova, senza i suoi due giocatori più rappresentativi arrivati dal mercato (Benassi e Kalinic). Un allenatore gigantesco, un maestro di calcio, un hombre vertical, capace di supplire al piccolo cabotaggio societario. Godiamocela tutta.