Interessante (come sempre) l’analisi politica che ha fatto Galli della Loggia sul Corriere scrivendo che Mario Draghi è diventato un po’ il nostro De Gaulle, nel senso che stiamo vivendo una sorta di semipresidenzialismo dove i partiti sono di fatto emarginati.
Partiti che, nella nostra repubblica parlamentare, sono sempre stati al centro della giostra e delle decisioni. Opponendosi, per non perdere potere e trasferirlo all’esecutivo, a qualsiasi riforma della Costituzione, sempre e solo annunciata da almeno 30 anni. E bocciata quella di Renzi quando si andò a votare il referendum nel 2016. Bocciata – come scrive giustamente Galli della Loggia – “grazie al suo autolesionistico narcisismo” (di Renzi).
E’ comprensibile che allora la Costituzione sancì la repubblica parlamentare perché si usciva dal fascismo e si volevano evitare nuovi regimi autoritari. Ma un conto è evitare i regimi, altra cosa mettere gli esecutivi in mano a partiti e parlamentari ostacolando così qualunque azione di governo.
Oggi, per la prima volta, i partiti possono pure, come fanno, fingere di litigare quotidianamente; ma nessuno osa mandare a casa un premier come Draghi che gode di grande stima internazionale e di una popolarità senza precedenti. E quindi lui, Mario Draghi, va avanti per la sua strada e con le sue decisioni fregandosene sostanzialmente dei partiti.
Se è giusta l’analisi di Galli della Loggia non ci sarebbe neppure il bivio decisivo che un po’ tutti immaginano per la politica italiana: mandare Draghi al Colle tra sei mesi o lasciarlo a governare fino a fine legislatura?
Cambierebbe poco nulla perché – sia che vada al Colle sia che stia a Palazzo Chigi – Mario Draghi continuerebbe a comandare lui; con i partiti ridotti per la prima volta a “servitor cortese”… Staremo a vedere.
Senza dimenticare che anche Sergio Mattarella ha comandato lui: imponendo a tutti i partiti recalcitranti Draghi premier al posto di Conte.