L’ATTEGGIAMENTO C’E’, MANCANO I GOL

5 pareggi e 2 vittorie. Vincenzo Torrente, da quando è diventato la nuova guida tecnica del Padova, non ha mai perso. E questa è la prima buona notizia. L’altra buona nuova è che la squadra, da quando c’è l’allenatore di Cetara, sta crescendo sotto tanti punti di vista: nell’atteggiamento innanzitutto, nell’approccio alle gare, nella personalità, nella solidità difensiva. Questa ritrovata solidità difensiva peraltro, che era il tallone d’Achille del suo precedessore Bruno Caneo, non coincide con un innalzamento di barricate o, peggio ancora, con la rinuncia al gioco, anzi. I biancoscudati, seppur più accorti dietro, sono contemporaneamente propositivi, soprattutto sulle fasce dove spesso avvengono sovrapposizioni che mettono gli esterni nella condizione di crossare buoni palloni in area o di esibire in proprio le qualità di cui sono dotati (soprattutto Liguori, il capocannoniere della squadra con 8 gol).

Qual è allora il problema? Perché questa meravigliosa crescita non corrisponde ad un numero più sostanzioso di vittorie? Semplice: manca il gol. Il Padova (aldilà del primo tempo contro la Feralpi in cui ha subìto l’avversario facendosi a tratti schiacciare nella propria metà campo) crea occasioni ma le sfrutta in minima parte. Al “Turina” di Salò Pizzignacco ha fatto un miracolo su Vasic, poi ha alzato sopra la traversa il colpo di testa di Bortolussi. Sulla precedente deviazione sempre di testa di Liguori invece il portiere dei Leoni del Garda ha assistito all’errore dell’esterno biancoscudato che non è riuscito a prendere bene la mira da buona posizione. Almeno una di queste tre palle doveva entrare per sperare in una vittoria in casa della seconda della classe, in qualunque modo, invece così non è stato ed è uscito lo 0-0.

C’è di buono che, in questo girone e in questo campionato, non è mai troppo tardi per ripartire e scalare la classifica. Il primo posto è tutt’altro che deciso, nessuna squadra si è ancora dimostrata neanche lontana parente del Südtirol che l’anno scorso ha fatto record di punti rivelandosi una delle migliori difese d’Europa. Nelle ultime due uscite peraltro il Padova ha incontrato la capolista Pordenone e la vice capolista FeralpiSalò e gli 11 e i 9 punti di differenza in classifica sul campo non si sono visti. Gli uomini di Torrente hanno giocato alla pari, nonostante navighino nel semi anonimato, tra il decimo e l’undicesimo posto, da mesi.

Il famoso filotto di vittorie cui aspira Torrente è a portata di mano. Sono arrivati Bortolussi (uno da doppia cifra) e Cannavò, sono rimasti De Marchi, Ceravolo (e pure Gagliano). Ci sono Liguori e Russini. Più i centrocampisti pronti a inserirsi quando ci sono le condizioni di spazio e tempo per farlo. Basta decidersi a cominciare. La vetta (o un posto lì nei dintorni) potrebbe non essere così lontana.

L’OCCHIO DEL PADRONE INGRASSA IL CAVALLO

Dopo mesi e mesi di silenzio, un silenzio che si era fatto veramente assordante, viste le terribili vicissitudini sportive vissute dal Padova nell’ultimo periodo, si è sentito finalmente “uno squillo di Joseph”.
Il patron biancoscudato ha risposto per iscritto alla lettera inviatagli poche settimane fa dai tifosi di Appartenenza Biancoscudata garantendo due cose fondamentali: la prima è che continua ad avere a cuore le sorti del Biancoscudo (nonostante i tanti viaggi per lavoro gli impediscano di fare presenza quanto vorrebbe), la seconda è che, a febbraio, dunque il mese prossimo, finalmente riuscirà a prendere un aereo da Londra per tornare a farsi vedere a queste latitudini.
Il finanziere franco-armeno ha anche ribadito che le persone da lui delegate per portare avanti il progetto del Padova (ovvero la presidente e amministratore delegato Alessandra Bianchi e il direttore sportivo Massimiliano Mirabelli) stanno lavorando in piena sintonia tra loro e con lui, ammettendo dunque di fatto che, se qualcosa non sta andando per il verso giusto, ne è pienamente responsabile in quanto sempre messo al corrente di ogni decisione che evidentemente condivide.
Sono tutte cose che già si sanno, ovviamente, ma il fatto che Oughourlian si sia preso la briga per la prima volta dopo tanto tempo di trovare un momento, nella sua frenetica vita d’affari, per dedicare in prima persona un pensiero al Padova è stato accolto con favore dall’ambiente che, già mortificato per le due finali consecutive perse, si è ritrovato in questa prima parte di stagione a dover rivivere situazioni negative già viste, trite e ritrite: la squadra che parte bene e poi si perde, l’esonero di un allenatore, le prestazioni belle solo a metà e l’uscita dalla zona playoff.

Sicuramente la Bianchi e Mirabelli stanno agendo secondo quelli che sono i comandi e le indicazioni di Oughourlian, ma dalle nostre parti si dice che è l’occhio del padrone a ingrassare il cavallo. Se ci si occupa in prima persona dei propri interessi questi prospereranno perché la cura che un padrone dedica alle proprie cose sarà sempre maggiore rispetto a quella di qualunque altro individuo. E’ quindi ora che Oughourlian veda con i suoi occhi la squadra che ha fatto costruire, parli coi giocatori, entri in spogliatoio, stringa la mano al nuovo allenatore. Lo deve accarezzare il suo cavallo, lo deve ascoltare, lo deve vedere all’opera in campo, deve rendersi conto del suo reale valore e del suo stato di salute, fisica e mentale.

Perché arrivati a gennaio inoltrato l’impressione (anzi ormai la certezza) è quella che la squadra allestita per il campionato non abbia i valori che ad inizio stagione pensavamo avesse, visto il filotto delle prime giornate contro le pretendenti alla promozione diretta. Delle due l’una: se l’intenzione di Oughourlian è davvero quella di fare della stagione in corso una sorta di “anno zero” ridimensionando gli ingaggi e rendendo così la società appetibile per trovare un acquirente e cederla a fine campionato basta salvarsi. Lo dica chiaramente così ci metteremo tutti il cuore in pace, evitando di sognare una pronta risalita in classifica. Se invece così non è e davvero “il Padova rimane un tassello importante all’interno dei suoi investimenti nel mondo del calcio” (come ha scritto testualmente nella sua missiva) investa seriamente nel rafforzamento della rosa, dando non dico carta bianca ma almeno più mano libera a Mirabelli in questo mercato di gennaio.

Che decida in un modo o nell’altro basta che sia chiaro. Oltre che di fare brutte figure in campo, Padova è stanca di sentir soffiare “venticelli” più o meno fondati sul futuro della squadra che amano con tutto il cuore. Le voci sottobanco, che non fanno altro che destabilizzare un ambiente già provato, devono stare a zero. Meglio una dura certezza che chiacchiere che si perdono nel vento e fanno solo danni.

DUE CAMPIONATI IN UNO

In principio fu il gioco offensivo e spregiudicato di Caneo. Il progetto che puntava sull’allenatore emergente e su un gruppo di giocatori, soprattutto giovani, adatti a interpretare la sua idea di calcio. Fu spettacolo puro, divertimento, fatto di piedi che premono forte sull’acceleratore e di un entusiasmo che era dirompente, inondante, avvolgente, rassicurante.
Pareva fosse l’anno buono per smettere di vivere di patemi d’animo e di dispiaceri continui alle latitudini biancoscudate, invece, è bastato davvero poco per smantellare tutto, ancora una volta. Il primo scricchiolio a Crema, con quella sconfitta per 5-0 che all’improvviso calò ombre su quel che sembrava fino a quel momento essere solo luce. La progressiva perdita di fiducia, le prestazioni belle solo a metà, le sconfitte inaspettate, l’incapacità di reagire e di tornare a sentirsi forti. La consapevolezza appena acquisita che si trasforma all’improvviso in paura di non farcela.
E allora via con l’ennesima “capovolta” di metà stagione. Esonerato Caneo, ecco Torrente, con un calcio più solido e redditizio. Ecco il pari col Mantova, il primo successo della sua era contro la Pro Vercelli, il pareggio a Vicenza al termine di una sfida giocata su alti livelli al cospetto di una pretendente al primo posto finale per più di un’ora. 5 punti in 3 partite. Ecco i tifosi che tornano a muoversi in più di mille per la trasferta più sentita dell’anno, a gioire dopo tanta amarezza e a guardare avanti. Consapevoli di ritrovarsi a dover vivere per l’ennesima volta due campionati in uno, due allenatori nella stessa stagione e due modi di concepire il calcio completamente diversi, ma fiduciosi che il secondo potrà essere migliore del primo.
Soprattutto se la società sul mercato riuscirà a fare quello che quest’estate non ha fatto fino in fondo per Bruno Caneo, ovvero mettere a disposizione del nuovo tecnico quei 3-4 elementi in più che portino numericamente e qualitativamente la rosa ad essere più competitiva.
Il primo acquisto del mercato di gennaio, Roberto Crivello, ha raccontato nel giorno della sua presentazione che il suo Palermo, l’anno scorso, fino a febbraio/marzo non era mica ancora salito sul treno giusto. Non aveva ancora trovato la quadra. Poi è arrivato in finale playoff battendo proprio il Padova e approdando in serie B. E’ prematuro sognare un epilogo così felice anche per il Biancoscudo, per carità, ma augurarsi di avere le capacità per risalire dall’attuale decimo posto ci sembra, almeno adesso, il minimo sindacale.

LA CURA TORRENTE

Il Padova ha iniziato a sottoporsi alla terapia Torrente, ma dopo le prime tre sedute, ovvero gli allenamenti di mercoledì, giovedì e venerdì della scorsa settimana, la partita contro il Mantova non ha riservato la reazione “immunitaria” che tutti si aspettavano. Soprattutto nel primo tempo in cui, aldilà dei due gol propiziati da due errori individuali (Liguori per i biancoscudati e la coppia Gerbaudo-Iotti sul fronte virgiliano) c’è stato da mettersi le mani nei capelli per la povertà degli spunti offensivi.
Qualcosa di diverso si è visto nella ripresa, quando l’allenatore ha deciso di rinunciare ai due esterni d’attacco (Liguori appunto e Piovanello) e di schierare le due punte (Ceravolo e De Marchi) col trequartista (Radrezza) alle spalle. Sarà questo il modulo su cui d’ora in avanti Torrente lavorerà cercando di schierare nelle varie posizioni i giocatori che in quel momento hanno più birra in corpo (sì, perché c’è anche un problema di forma fisica per qualcuno) e più determinazione da mettere a disposizione dei compagni.
A fine partita Torrente ha limpidamente dichiarato che “i suoi ragazzi hanno dato tutto”. Lui voleva ovviamente esprimere un complimento al gruppo, sottolineando l’impegno di chi è sceso in campo dall’inizio e di chi è subentrato a gara in corso, ma alla fine questa frase si è rivelata un po’ come un boomerang perché se davvero hanno dato tutto e i risultati sono questi (ovvero un misero pari casalingo contro una realtà, il Mantova, che lotta dall’inizio del campionato per uscire dalla zona playout) allora non c’è proprio da star tranquilli. Se non c’è ulteriore margine di crescita e di miglioramento vuol dire che la rosa è stata costruita davvero male. E che quell’exploit di inizio anno, con le splendide vittorie contro Vicenza, Juventus Next Gen, Pordenone, Pro Patria, è stato un fuoco di paglia, figlio di chissà quale congiuntura astrale positiva.
Probabilmente non è così nera come la percepisce il tifoso adesso la situazione: di sicuro c’è qualcuno che non sta rendendo secondo le proprie effettive qualità (su tutti Cretella che di sicuro, passata la bufera interiore che sta vivendo, tornerà ad esprimersi su ottimi livelli) ma qualche risposta in più sulla qualità complessiva della rosa messa a inizio anno a disposizione di Caneo la sfida col Mantova l’ha fornita. C’è bisogno di tornare sul mercato e Torrente, per quanto stia cercando di alzare l’asticella dell’autostima attraverso la sua personalità e la sua esperienza, l’ha già fatto capire che, dopo la partita con la Pro Vercelli, sedersi intorno a un tavolo e ragionare su cosa manca per cambiare il destino del Padova nel girone di ritorno sarà una priorità assoluta. C’è bisogno di un rinforzo in tutti e tre i reparti, c’è bisogno di più solidità dietro, di più fosforo a centrocampo e di un bomber di razza in attacco. Eh… hai detto niente…

L’ENNESIMO PROGETTO GETTATO ALLE ORTICHE

C’era chi l’esonero di Bruno Caneo lo chiedeva da settimane. Chi invece, come me, asseriva che non si può arrivare ogni anno alla stessa identica soluzione drastica più o meno in questo periodo dell’anno. C’era poi chi, fin dall’inizio, non era convinto che il tecnico sardo potesse essere l’uomo giusto per una piazza così amareggiata e abbattuta dopo le due finali playoff consecutive perse: pensava insomma che ci volesse un nome forte, un vincente, per dare ai tifosi almeno l’illusione di non abbassare l’asticella. Chi infine, e mi metto dentro un’altra volta anche io a questo mucchio, seppur in un primo momento un po’ scettico perché di Caneo sapeva poco o nulla, si è poi lasciato affascinare e conquistare dal filotto delle prime giornate, dal gioco offensivo e spregiudicato, dall’entusiasmo che trasudava dal campo, dalle tante palle gol, dalla ritrovata voglia di correre all’Euganeo per accomodarsi sugli spalti in attesa dello spettacolo.

Indipendentemente dall’approccio nei confronti del nuovo allenatore, oggi, 11 dicembre 2022, si è consumata l’ennesima tragedia (sportiva) biancoscudata. La società calcio Padova è arrivata un’altra volta al capolinea di un progetto diversi mesi prima della sua naturale conclusione. L’allenatore è stato sollevato dall’incarico perché la squadra non riceve più le sue indicazioni, dopo settimane di bocconi amari ingoiati, di prestazioni non all’altezza e di maldestri tentativi di tenere a galla una barca piena di buchi impossibili da tappare per evitare l’affondamento. E’ stato così per Sullo, per Bisoli nell’anno della B, è stato così per altri tecnici che in passato si sono seduti con i migliori auspici sulla panchina del Padova e si sono alzati prima della fine del loro mandato. E’ stato appunto così, alla fine, anche per Caneo che non è riuscito, nonostante il cambio di modulo e la vittoria ritrovata contro il Trento, a invertire una rotta ormai segnata.

Quello che stiamo vivendo è un campionato che la società fin dall’inizio ha definito “di transizione”, “di ripartenza”. Non era decisamente l’anno in cui l’allenatore andava messo in discussione, visto che la squadra era quasi totalmente stata rinnovata ed era stata anche parecchio ringiovanita. Andava piuttosto fortificato, protetto, aiutato, sostenuto. E così è stato fino alla scorsa settimana. Sinceramente credo che, chiedendogli di rivedere la sua filosofia di gioco propendendo per un maggiore equilibrio a dispetto della trazione anteriore, la società lo abbia (spero involontariamente) spinto al suicidio (tattico) definitivo. La vittoria con il Trento è stata solo un’illusione. In realtà si è capito questo pomeriggio a Lecco quanto il gruppo sia andato in confusione con la nuova disposizione in campo. E abbia di conseguenza perso quel poco di lucidità che gli era rimasta.

La colpa di Caneo, a mio avviso, è stata quella di scendere a compromessi. E di non sentirsi più libero di procedere con la sua idea di calcio tout court. La colpa della società è quella di aver puntato su di lui e sulle sue convinzioni non comuni ad altri allenatori senza mettergli a disposizione fino in fondo l’abito su misura. Alla lunga, essere ricorsi a seconde scelte o, peggio ancora, a toppe, non ha fatto altro che rovinarlo quel vestito che tanto ci era sembrato elegante e adatto all’occasione all’inizio della stagione.

CAMBIA MENTI

Finalmente si può tornare a parlare di un Padova che vince. Il successo contro il Trento, inutile sottolinearlo, è stato fondamentale sotto tanti punti di vista: in primis per l’umore della piazza che si stava facendo sempre più nero, ma anche per la classifica che vedeva i biancoscudati, reduci da 4 sconfitte e tre pareggi nell’ultimo mese e mezzo, precipitati a ridosso della zona playout. Dei tre punti ha giovato anche l’autostima della squadra, improvvisamente finita sotto i tacchi dopo una partenza sprint, nonché la panchina di Bruno Caneo, che si era fatta parecchio traballante e ora ha ritrovato di nuovo un po’ di solidità.
Già, Caneo. Il cambiamento più grande, nella settimana che ha preceduto la sfida contro la squadra del suo omonimo Tedino, l’ha fatto proprio lui, accettando di compiere un passo indietro sulla propria spregiudicata idea di calcio. Quello che nelle prime giornate era in assoluto il punto forte della squadra, unito al grande entusiasmo che i risultati sul campo contribuivano a mantenere alto, si è infatti trasformato inesorabilmente, con il passare delle giornate, nel punto di fragilità. Come ha sottolineato il vice di Caneo, Raffaele Longo, a Seregno, al termine di una delle più brutte sconfitte stagionali, i primi segnali di scricchiolio sono iniziati nel secondo tempo della partita con la Feralpi all’Euganeo, finita 1-1. E’ poi arrivato l’orrendo 0-5 di Crema contro la Pergolettese (che pareva una giornata storta e invece si è capito poi che lo è stata solo in parte), seguito da prestazioni buone ma non più buonissime, belle ma non più esaltanti, da pareggi che potevano (e dovevano) essere vittorie, da vittorie ampiamente alla portata trasformate in pareggi all’ultimo minuto, da pareggi che sono diventati sconfitte per una disattenzione fatale.
L’involuzione ha portato alla crisi di risultati sul campo e alla conseguente, comprensibile, messa in discussione dell’allenatore. E’ a questo punto, però, che, come detto, il tecnico sardo è riuscito a estrarre dal cilindro, ovviamente con l’input determinante della società, la mossa giusta al momento giusto.
Non ho mai visto un allenatore modificare le proprie idee in questo modo, ma credo che, in questa particolare situazione, sia stato meglio seguire questo percorso anziché lasciarlo fare e poi procedere all’esonero dopo l’ennesimo ko.
Questo gruppo è stato costruito a immagine e somiglianza di Caneo, come un abito su misura: cambiare allenatore con ogni probabilità, questa volta, non avrebbe rimesso in bolla la squadra semplicemente perché non sarebbe bastato affidarsi a un traghettatore qualunque, ci sarebbe voluto uno che gli assomigliasse tatticamente almeno un po’ e in questo momento il profilo desiderato non è affatto disponibile sul mercato. Meglio continuare ad avere fiducia in Caneo, pur con alcuni correttivi per restituire alla squadra l’equilibrio che era venuto a mancare e rafforzarne l’identità. Non è che col Trento si sia visto un Padova completamente guarito. Il Biancoscudo è ancora convalescente. Ma almeno per il momento è stata trovata la terapia giusta per farlo alzare dal letto e fargli muovere i primi passi in sicurezza. Per tornare a correre e a stupire ci vorrà un po’ di tempo. Attendiamo fiduciosi.

IL PADOVA NON SA PIU’ VINCERE

Il Padova ha disimparato a vincere. Non ci riesce più per quanto ci provi con tutte le sue energie, fisiche e mentali. Per quanto riesca magari anche qualche volta a portarsi in vantaggio, come è successo domenica contro l’AlbinoLeffe grazie al rigore di Liguori e come è stato contro l’Arzignano, grazie alla doppietta dello stesso Liguori, dopo che era andato inizialmente sotto. Guardando la partita contro i bergamaschi, passata alle statistiche con la duplice veste del quinto pareggio in campionato e del mancato ritorno alla vittoria che manca da un mese (all’Euganeo addirittura da due), tutto vien da dire fuorché che l’approccio alla gara sia stato sbagliato. I biancoscudati sono scesi in campo con l’atteggiamento di chi vuole vincere, ma si sono poi persi per strada, apparendo poco attenti, di più spaesati, soprattutto nella fase difensiva. Il problema in questo momento sta proprio lì dietro: se infatti in attacco, complice il rientro dell’esterno ex Campobasso, la squadra ha ripreso a macinare gioco e occasioni da gol, nella retroguardia sono cominciati purtroppo i problemi. Troppo facilmente l’AlbinoLeffe ha trovato i due gol con cui all’inizio della ripresa ha ribaltato il risultato a suo favore e troppo leggermente il Padova si è fatto infilare. Mister Caneo ha parlato di imperdonabili errori individuali su cui continuare a lavorare in settimana per evitare che succedano di nuovo ma è chiaro che, ancora una volta, ci troviamo di fronte ai limiti di un gruppo che o dà in ogni occasione il centodieci per cento oppure fatica a portare a casa il risultato pieno. Cosa deve fare dunque la squadra per evitare di precipitare ancora più in basso rispetto al decimo posto in cui già è scivolata? Semplice (mica tanto): come ha fatto fino ad ora: continuando ad essere fedele al credo del suo allenatore e limando il più possibile gli errori e le sbavature. Caneo, dal canto suo, però, ribadiamo, pur senza sconvolgere l’impostazione tattica che rappresenta il suo modo di intendere il calcio, dovrebbe provare a cambiare qualche pedina nei ruoli chiave. Se Germano, bravissimo in questi ultimi anni a trasformarsi da mezz’ala a pendolino inesauribile di fascia, non ha le caratteristiche per fare il braccetto di destra della difesa a tre, non va mortificato ulteriormente. Se Dezi in questo momento attraversa una fase di appannamento, meglio provare ad affidarsi ai colpi di classe di Radrezza. E se Radrezza nel centrocampo a due, secondo il tecnico, non ci può stare perché non ha abbastanza gamba, perché non spostarlo sulla trequarti mettendolo così nella condizione di illuminare, qualche metro più avanti, il gioco offensivo?
Il tutto senza snaturarsi, sia chiaro. Come già abbiamo avuto modo di sottolineare qualche settimana fa. Perché non si può rischiare di trasformare le disattenzioni di qualche momento della gara in difetti cronici che non porterebbero di certo al ritorno alla vittoria. Questi siamo. Con questi mezzi (per ora) ne dobbiamo venir fuori.

ORA E’ CRISI VERA MA DAL TUNNEL SI PUO’ USCIRE (SENZA DRAMMI)

I numeri, quelli che non mentono mai, dicono che il Padova, dopo la partenza strepitosa delle prime giornate, resa ancor più avvincente dalla bellezza delle prestazioni nelle 4 vittorie consecutive contro Vicenza Juventus Next Gen, Pro Patria e Pordenone, si è inceppato.

All’indomani del brutto 5-0 di Crema si era parlato di giornata decisamente storta, al termine dello 0-0 contro la Virtus Verona di partita sporca, poi la vittoria contro la Triestina pareva avesse tamponato definitivamente la piccola ferita. Successivamente sono invece arrivati la sconfitta al 91’ con il Novara e il pari col Piacenza subito sempre all’ultimo minuto, poi ancora il pari interno (2-2) con l’Arzignano al termine di una sfida in cui però i biancoscudati sono riusciti a rimontare l’iniziale svantaggio. Anche qui ci siamo guardati bene dal parlare di crisi vera e propria perché la squadra, nonostante i 10 gol subiti in un solo mese, non aveva sbagliato l’approccio e si era data da fare, pareva proprio che il risultato sperato non fosse arrivato per via di dettagli e disattenzioni evitabili. E per via del gioco di Caneo che, essendo molto offensivo, lascia spesso la coperta corta dietro e quindi bisogna mettere in preventivo che la strada maestra da seguire non è quella all’insegna del “primo, non prenderle” ma quella in cui sul cartello campeggia la scritta: “Per vincere devi segnare un gol più degli avversari”.

Dopo il quarto stop in campionato a Sesto San Giovanni invece non c’è altra parola che possa essere tirata in ballo se non quella che fino ad oggi non avevamo ancora pronunciato. I biancoscudati appaiono spaesati, peggio ancora tristi. Ed è proprio la tristezza il freno a mano tirato del gruppo che, ad inizio stagione, aveva fatto dell’entusiasmo il suo cavallo di battaglia. Tutti, nessuno escluso, fanno fatica a reagire e a rimettersi in piedi quando la squadra avversaria affonda il primo colpo e il risultato è che a quest’ultima basta anche solo un altro affondo in novanta minuti per portare a casa la partita senza troppe tribolazioni.
Gli episodi a sfavore ci sono stati e sono tanti, compreso il gol annullato per fuorigioco a Ceravolo sul campo della Pro Sesto, regolarissimo. Ma la squadra deve assolutamente recuperare l’autostima che ha perso e a trascinarla fuori dalle sabbie mobili deve essere il suo allenatore, Bruno Caneo. Che non va certo messo in discussione, anzi, va sostenuto, ma deve quantomeno provare a mettere in discussione le due granitiche convinzioni. Dichiarazioni come quelle esternate a Sesto, in cui spiega che senza gli infortunati del momento lui non può mettere in campo la formazione che desidera, non fanno bene né a chi è assente né a chi deve subentrare che non si sente all’altezza. E non fanno bene neanche a chi, vedi Radrezza, nonostante le tante assenze, non ha ancora avuto la sua possibilità dall’inizio e non aspetta altro che la sua occasione per mettersi a disposizione dei compagni. E’ poco opportuno insomma in questo momento parlare di figli e figliastri. Tutti sono utili e nessuno è indispensabile. Mai come quest’anno in cui ancora la fuga verso l’alto di una capolista non c’è stata e l’equilibrio regna veramente sovrano.

EPPUR MI EMOZIONA…

Un colpo al cuore. Non scherzo se dico che, quando ho saputo del sequestro del cantiere della nuova Curva Sud all’Euganeo da parte della Guardia di Finanza, ho provato un dispiacere immenso, da farmi quasi tremare le gambe. Certo chi vi parla in questo momento è il cuor di tifosa che urla sopra l’aplomb della cronista silenziandolo. Ma non credo di esprimermi solo col sentimento se dico che, da quando è nato nell’ormai lontano 1994, l’Euganeo non è mai piaciuto e non ha mai fatto vibrare la sensibilità né le emozioni di alcun tifoso.
Questo stadio non è mai stato attrattivo. E’ sempre stato considerato freddo, anaffettivo, soprattutto perché è andato a sostituire il tempio del calcio, il catino bollente, quell’Appiani che, per chi l’ha vissuto direttamente, rappresenta un ricordo stordente e impossibile da rimuovere, dal cuore prima che dalla mente. Le uniche due volte in cui questa glaciale cattedrale nel deserto si è riempita anche nell’anello superiore, dopo il tramonto dell’ultima brevissima era in serie A nel 1996, è stato nel 2011, in occasione di Padova-Novara finale playoff di serie B per tornare in A, e l’estate scorsa per Padova-Palermo, finale playoff di serie C per la promozione in B. Per il resto è già tanto, se qualche volta, abbiamo superato le 10.000 persone sugli spalti.
In 26 anni non è mai stato fatto nulla per migliorare la situazione, per cercare di avvicinare la gente: l’Euganeo è sempre rimasto lì, isolato, senza una viabilità decente a servirlo e senza un cavolo di bar o luogo di ritrovo per farne un punto di aggregazione anche in altri giorni della settimana diversi dalla domenica.
Quando l’attuale amministrazione comunale ha pensato ad una curva nuova, a bordo campo, sfruttando il bando “sport e periferie” e il credito sportivo, ho provato una gioia immensa. Ma, ribadisco, non (solo) perché sono tifosa e quindi la cosa mi tocca ovviamente da vicino, ma perché ho interpretato questo progetto come un modo per tornare dopo tanto tempo a valorizzare la squadra di calcio della città, il blasone e la storia che porta con sé. Il Padova non è solo un insieme di ragazzi in mutande che rincorrono una palla che rotola, è molto di più. E’ un simbolo. Il club biancoscudato non è solo “circenses” ovvero divertimento riservato a chi quella sfera rotante la ama più di qualunque altra cosa ma anche “panem” ovvero possibilità per il tessuto economico di investire, per darsi visibilità attraverso lo sport più bello e seguito al mondo.
Chi poteva prendersi a cuore la faccenda se non un sindaco che di quella squadra è stato presidente e un assessore che nel calcio è stato apprezzato professionista dal 1’ al 45’ minuto della sua vita e sa cosa vuol dire avere un tifo che ti trascina facendoti sentire il suo calore addosso alla pelle?
Sulle modalità con cui hanno agito, in qualità di amministratori comunali, non mi permetto di mettere lingua. C’è un’inchiesta in corso che arriverà a conclusione e ci dirà se ci sono state azioni al di fuori della legalità. Per l’idea che hanno avuto non posso però che sciogliermi in un applauso. Certo lo stadio così è asimmetrico, non è bellissimo da vedere ed è stata eliminata la pista d’atletica (che, detto per inciso, nel corso della sua esistenza non ha fatto altro che ospitare un meeting gratuito all’anno, che ora non è che non si faccia più, ma semplicemente è stato spostato al rinnovato e bellissimo stadio Colbachini dell’Arcella, un autentico gioiellino che più si confà alla manifestazione) ma tutto si può dire della curva nuova fuorché che non sprigioni emozioni in chi l’ha tanto attesa e desiderata, sognando di vedere una partita da quei gradoni attaccati al campo e non a 100 metri di distanza come quella che c’era prima. Mi dispiace ma a me non sembra né un forno a microonde né l’ingresso di un ospedale! E’ solo il primo passo verso la valorizzazione di un impianto che per troppo tempo è stato lasciato lì a ingrigirsi e intristirsi. Non può essere un caso che la storia del Padova, dal 1994 in poi, aldilà dei due anni in serie A, abbia vissuto più fasi di declino che di gloria. Son passati quasi tre decenni, abbiamo la prova e la controprova di questo. Da un primo passo si doveva partire. Meglio così che continuare a rimanere immobili e lamentarsi che del calcio, a Padova, non frega più nulla a nessuno.

PIU’ MALIZIA E MATURITA’, SENZA SNATURARSI…

All’indomani del pareggio contro l’Arzignano, arrivato dopo che il Padova era riuscito a ribaltare con fatica l’iniziale svantaggio, la domanda che ci si pone è sempre la stessa: possibile che questa squadra non riesca a gestire il risultato quando ce l’ha a portata di mano e se lo è costruito con le sue forze, il suo gioco votato all’attacco e le qualità dei suoi bravissimi giovani? Possibile che, dopo aver preso gol al 91′ contro il Novara e al 90′ contro il Piacenza, dilapidando 5 dei 6 punti a disposizione, il Biancoscudo sia riuscito a farsi raggiungere un’altra volta senza imparare minimamente la lezione dei due match precedenti?
Purtroppo la risposta è sempre la stessa. Sì. Quel che è successo domenica all’Euganeo è ancora una volta la naturale conseguenza del tipo di gioco e di atteggiamento che l’allenatore Bruno Caneo ha impresso ai suoi ragazzi fin dal primo giorno di ritiro. Ai giocatori del Padova non passa nemmeno per l’anticamera del cervello di difendere un gol di vantaggio buttando la palla in tribuna, nè arretrando la linea difensiva. Emblematico in tal senso il 2-2 dell’Arzignano, arrivato dalla corsia di sinistra: Valentini sbaglia l’uscita, Belli e Calabrese, con l’aiuto di Jelenic, cercano di tamponare in qualche modo la situazione ma la sfera arriva a Fyda che (forse in fuorigioco per carità) è libero di superare Donnarumma con un pallonetto. Jelenic, in quel momento esterno di destra nel centrocampo rinfoltito da Caneo, riesce a dar manforte alla fase difensiva, dall’altra parte invece Zanchi non entra nemmeno nell’inquadratura perché in quel momento è lontano dall’azione. E’ forse fuori posizione? No, perché in quel momento era alto, pronto a far ripartire la squadra, come gli dice evidentemente di fare l’allenatore ad ogni santo allenamento.
Come se ne esce dunque? Chiedendo a Caneo di passare alla difesa a 4 o di ordinare agli esterni di rimanere bassi in caso di vantaggio acquisito? No. Si deve cercare di porre rimedio a queste situazioni continuando a lavorare come si è fatto fino ad oggi, nel percorso tracciato dal tecnico sardo che ha sempre impresso questa mentalità alle sue squadre in passato e di certo non la cambierà ora, in corsa, solo perché a Padova “c’è fretta di vincere e di raggiungere subito l’obiettivo” (tanto per parafrasare le parole pronunciate dallo stesso Caneo qualche giorno fa). E però c’è un però: pur senza commettere l’errore di snaturarsi, il Padova deve acquisire un pizzico di malizia in più. Deve maturare. E’ giovane e gli alti e bassi sono all’ordine del giorno, ma strada facendo la squadra, che ha già un’identità ben precisa, deve trovare anche equilibrio, rimanere compatta dal 1′ al 90′ e mettere quel pizzico di furbizia che le manca.
La classifica è corta (come purtroppo la rosa, ma a gennaio qualcosa si dovrà fare sul mercato per allungare la coperta), ancora nessuno ha fatto l’allungo alla SudTirol. In un fazzoletto di punti ci sono tante squadre, tra cui lo stesso Padova. Basta rimanere lì agganciati al gruppone e provarci fino alla fine. Nulla di più, nulla di meno.