Sarà un campionato duro e complicato quello del Padova, appena cominciato con una sconfitta a Vercelli. Per certi aspetti immeritata ma pur sempre una sconfitta. Il tifoso sa già che la squadra cadrà e sarà chiamata a rialzarsi e che i giocatori dovranno saper soffrire più di quanto si soffre normalmente quando si fa questo mestiere. All’ombra delle cupole del Santo è così da sempre: la tribolazione è parte integrante del DNA biancoscudato e per quello, ogni volta che si riesce poi a conquistare un successo insperato o a rendersi protagonisti di una esaltante cavalcata verso la parte nobile della classifica l’entusiasmo che si respira è doppio e la gioia più intensa e autentica. Perché il pubblico padovano sa quanto da queste parti nessuno regali niente ed è consapevole che gli episodi, se possono essere a sfavore, lo saranno sempre, chissà perché poi, ma è così. Bisogna essere più forti degli avversari, più determinati della malasorte e mettere un’attenzione nei dettagli che va oltre i limiti dell’essere umano. Prendi il debutto a Vercelli: la squadra di casa non ha fatto molto più del Padova, anzi, a tratti, l’ha subìto, andando spesso in difficoltà. Ma il risultato finale dice che la Pro ha vinto e lo ha fatto approfittando con Comi dell’unico momento in cui Valentini e compagni non si sono sistemati a dovere nella fase difensiva, su palla inattiva. All’unico vero errore è scattata la punizione.
Prendendo atto che è così, però, il Padova non deve abbattersi, a maggior ragione in questa stagione in cui è partito senza i favori del pronostico. Deve navigare a vista, mettendo ogni maledetta domenica la mano fino in fondo al sacco della sua giornata per tirare fuori anche quello che non sa di avere. Sudore, prestazione, gol, possibilmente le vittorie. Solo alzando continuamente l’asticella e pretendendo da sé stessi più del massimo si potrà sopperire ad una rosa più giovane, meno esperta ma comunque dotata di qualità e giocatori che possono esplodere da un momento all’altro.
SVOLTA NECESSARIA, ORA RIACCENDIAMO L’ENTUSIASMO
Difficile, impossibile. Sono ancora questi gli aggettivi che accompagnano il verbo “dimenticare” (o quanto meno “digerire”) riferito al terribile epilogo della passata stagione. A quella finalissima piena di grandi aspettative persa malamente, senza lottare, senza mettere in campo tutto quello che aveva caratterizzato la bellissima rimonta in campionato e il culmine dei playoff con la vittoria sul Catanzaro firmata Curcio e Chiricò al 97′. Inutile negarlo: a quel disgraziato 12 giugno penseremo ancora a lungo. E anche quando crederemo di aver accantonato le immagini della sconfitta, della testata di Ronaldo, dell’espulsione di Pelagatti e del tabellino con 0 calci d’angolo battuti, grazie magari ai primi successi del nuovo corso biancoscudato, le stesse torneranno a galla qualche volta, ricoprendo il cuore di chi ama il Padova con un velo di malinconia e rimpianto. L’attacco di tristezza sarà sempre dietro l’angolo ma ancora una volta il tifoso padovano sarà chiamato ad uno sforzo emotivo (cui purtroppo è abituato) per guardare avanti e sperare che le cose possano cambiare in meglio. Che la serie B possa arrivare quanto prima, magari con un decimo della sofferenza che ha caratterizzato gli ultimi tre anni.
La società, dal canto suo, la rabbia per la pessima figura del “Barbera” l’ha già dovuta smaltire e anche in fretta, per programmare la prossima stagione senza perdere ulteriore tempo sulle dirette concorrenti, avvantaggiate dal fatto di non aver disputato i playoff. Il patron Joseph Oughourlian ha recuperato a tempo di record la lucidità che la prestazione di Palermo ha rischiato di fargli perdere del tutto e ha deciso di tagliare decisamente i ponti col passato.
Credo questa sia stata la scelta più giusta che potesse fare, senza guardare i contratti già in essere e quelli in scadenza eventualmente da rinnovare. E la conferma della bontà della decisione mi si è palesata ancor di più domenica 10 luglio quando in stazione ho assistito in prima persona alla partenza della squadra per il ritiro di Rivisondoli. Il nuovo allenatore Bruno Caneo non è tipo di tante parole, anzi. Ma le poche che ha pronunciato sono state dirette e senza fronzoli, soprattutto quando ha detto che l’inizio di una nuova avventura porta sempre entusiasmo. Ecco, questo è il nodo. Il Padova (e Padova) deve saper ritrovare un po’ di entusiasmo. E a portarlo devono essere sia i nuovi, visto che non hanno addosso il peso psicologico dei due fallimenti consecutivi degli ultimi due anni, sia quel che rimane della “vecchia guardia”. Quei giocatori che, nonostante Alessandria e Palermo, sono ancora in grado di servire la causa biancoscudata con la voglia di cambiare il destino infame di questa squadra. Antonio Donnarumma (che per la verità ha vissuto solo Palermo e da migliore in campo viste le importanti parate) è il primo che cito a esempio di questo nuovo percorso: ha voluto restare, nonostante le insistenti sirene della serie B, e ce l’ha fatta a rinnovare il contratto giusto in tempo per partire per il ritiro che l’anno scorso aveva saltato e che voleva fare a tutti i costi perché “è lì che un gruppo diventa una squadra e una squadra diventa una famiglia”. Il suo sorriso e la sua forza di volontà mi hanno assolutamente convinto che, nonostante i grandi cambiamenti e l’alleggerimento del budget investito dalla proprietà, si può e anzi si deve continuare a credere che la B arriverà. La difficoltà più grande la piazza e la squadra la stanno vivendo adesso che sono chiamate a rialzarsi dopo la brutta caduta. Una volta in piedi, tornerà a tutti la voglia di saltare, correre e sognare.
IL PADOVA CHE FA E DISFA. ORA RIFONDAZIONE
La testa bassa, l’incapacità di trovare consolazione. Soprattutto nei volti di quelli che c’erano anche l’anno scorso e hanno dunque vissuto a Palermo la seconda finale playoff consecutiva persa con rammarico e amarezza.
C’è però, ed è bene sottolinearlo subito, una profonda differenza tra la serie B sfumata ad Alessandria, a causa dell’ultimo rigore sbagliato, e quella non conquistata a Palermo, al termine di una prestazione non all’altezza da parte dei biancoscudati. L’anno scorso sono uscite lacrime di dispiacere e di impotenza, di fronte a un verdetto troppo severo, di fronte ad un avversario, l’Alessandria appunto, che non meritava la promozione più del Padova per quello che si era visto in campo, quest’anno invece c’è posto solo per la rabbia. Perché il Palermo ha avuto più fame e voglia di andarsela a prendere e la squadra di Oddo non è stata all’altezza della situazione.
Cosa sia successo e perché sia successo lo capiremo tra un po’, a bocce ferme, quando si potrà cominciare a ragionare senza farsi trascinare dall’onda emotiva del momento. Per ora non si può che rimanere basiti (e, come ho detto in diretta domenica sera, sentirsi traditi) di fronte all’ennesimo corso e ricorso storico del Padova, che ancora una volta ha prima fatto e poi disfatto, ha prima illuso e poi deluso, ha prima entusiasmato e poi demolito, riportando tantissimi tifosi allo stadio a suon di vittorie e rimonte e poi lasciando impietriti quegli stessi tifosi che per raggiungere Palermo si sono sobbarcati una trasferta impossibile e complicata. Roba da psicologo, davvero!
La verità è che il Padova non è affidabile. E il simbolo di questa non affidabilità è proprio il suo capitano, Ronaldo, bravissimo a fare la differenza con giocate, gol e assist in tantissime partite ma sempre a rischio cazzate per l’incapacità di gestire il suo nervosismo e le situazioni di difficoltà. Come quella che a inizio ripresa l’ha spinto a tirare una testata a gioco fermo a Perrotta e a lasciare così in dieci i suoi in un momento in cui ci si aspettava da uno con le sue qualità la giocata decisiva per far cambiare marcia alla partita. A fine partita ha chiesto scusa, ha detto che si prenderà le sue responsabilità ma la verità è che a questo punto è difficile tornare a fidarsi di lui. E arrivati a questo punto è dura anche continuare a riporre fiducia nel gruppo storico che l’anno scorso l’allora direttore sportivo Sean Sogliano ha voluto riconfermare in blocco per sfruttare l’onda del “vogliamo riprovarci tutti insieme perché ce lo meritiamo”. Ormai questi giocatori, indipendentemente dalle qualità tecnico-tattiche, sono psicologicamente a terra, schiacciati da un fardello che con la seconda sconfitta in finale si è fatto davvero opprimente. Meglio per loro e per il Padova se cambieranno aria.
Sono dell’idea che l’unica strada per ripartire sia quella della rifondazione. E che la stessa debba riguardare anche la panchina. Quando è arrivato Massimo Oddo ha fatto della personalità e dell’autorevolezza le armi in più per trascinare la squadra a tentare la rimonta sul Südtirol prima e ad affrontare i playoff con il giusto spirito e la giusta rabbia poi. Ma è evidente che, strada facendo, anche a lui la situazione è sfuggita di mano. Le due finali hanno messo in mostra un Padova nemmeno lontano parente di quello che in semifinale, con coraggio e convinzione, aveva rimontato l’iniziale vantaggio del Catanzaro coi gol di Curcio e di Chiricò al 97′.
La società dovrà essere brava non solo a dare continuità al progetto triennale dal punto di vista finanziario ma anche a capire come ricavare il messaggio migliore dalla sconfitta. In questo senso sono illuminanti le parole pronunciate dall’allenatore del Palermo, Silvio Baldini, che è riuscito a riportare i rosanero in B attendendo quest’occasione ben 18 anni. “Ormai è anni che passa il messaggio per cui se perdi sei un coglione, un fallito e uno che non capisce niente. E invece non è così: la sconfitta può permetterti di porre le basi per una rinascita, che passa dal lavoro e dall’applicazione. La sconfitta se la calpesti ti fa male, se la accarezzi ti sa dare suggerimenti importanti. Ti aiuta a cercare chi sei. E allora vengono fuori altri aspetti positivi che nella vittoria non trovi”.
IL BELLO DEL PADOVA, LA FORZA DEL PADOVA
Il bello del Padova è che, quando tutti lo danno per spacciato o quantomeno per non favorito, ti piazza la prestazione della vita e sovverte ogni pronostico.
La forza del Padova sta nel fatto che questa squadra non molla mai. Tante le rimonte che ha portato a termine in stagione regolare, ma quella che resterà nella memoria di tutti per i prossimi cinquant’anni sarà quella operata sul fortissimo Catanzaro nella semifinale di ritorno all’Euganeo. Firmata Curcio e Chiricò.
Il bello del Padova è che è forte. Individualmente. Ma anche collettivamente tutte le volte in cui decide che darsi una mano e sacrificarsi l’un per l’altro sono elementi fondamentali per portare a casa la vittoria.
La forza del Padova sta tutta in quel che hanno sofferto in questi due (ma in qualche caso anche tre) anni i giocatori della vecchia guardia. Ronaldo, Germano, Della Latta, Chiricò, Bifulco, Curcio, Gasbarro, Pelagatti, Jelenic. Dentro di loro cova una voglia di rivalsa che al momento giusto farà la differenza. Per loro la finale di Palermo è una sorta di ultima chiamata e so per certo che daranno l’anima per non piangere un’altra volta le lacrime di Alessandria. Non lo vogliono e non se lo meritano perché, aldilà delle sconfitte evitabili, delle prestazioni a volte non all’altezza, dei limiti caratteriali e di tutto il resto del bagaglio che fa parte di ogni essere umano, non solo del calciatore, hanno dato il massimo sempre per questa maglia.
Il bello del Padova è che ha fatto nuovamente innamorare di sé la città, la piazza, i tifosi, i bambini, le mamme, le nonne, i supporters storici che si erano un po’ distaccati. Questo è un patrimonio che resterà comunque vada a finire a Palermo, un patrimonio da cui ripartire con forza ed entusiasmo.
La forza del Padova sta nel risultato che porterà a casa dal Barbera. Qualunque esso sia, ci consegnerà un gruppo di cui potremo dire di essere orgogliosi.
E’ LA SQUADRA DI ODDO
Tra pochi giorni, il 24 maggio per la precisione, saranno 3 mesi esatti che Massimo Oddo ha assunto la guida tecnica del calcio Padova. Un periodo relativamente breve, se lo si confronta con l’intero campionato, ma abbastanza lungo se si guardano soprattutto gli ultimi 23 giorni. Quelli che hanno separato la fine della stagione regolare dall’inizio dei playoff. E’ come se i biancoscudati, facendo il ritiro di 8 giorni a Lens e condividendo tutti i momenti della giornata lavorativa (e non) anche dopo il ritorno in Italia, avessero ricominciato da capo la stagione con il nuovo allenatore.
In questo frangente ci siamo chiesti più volte quali sarebbero stati gli effetti del ritiro in Francia e dunque della decisione di staccare la spina e cambiare decisamente ambiente così come si fa d’estate per la preparazione precampionato e, dopo aver visto all’opera i giocatori nel debutto ai playoff contro la Juventus Under 23, la risposta all’interrogativo non può che essere positiva.
Per carità: ci sarebbe da lavorare altri tre mesi su ciò che ancora non va (tiriamo poco in porta rispetto alle volte in cui arriviamo pericolosamente lì davanti, costruiamo tanto e sbagliamo spesso la scelta negli ultimi metri, la lucidità non sempre ci è compagna fedele davanti alle porte avversarie) ma finalmente possiamo dire che il Padova è diventato la squadra di Oddo. Fino a un mese fa quando gli si chiedeva quanto sentisse sua questa creatura, il tecnico rispondeva chiedendo e prendendo tempo, diceva che per certi aspetti lo era ma per altri ancora no. Ora si può invece cominciare a dire che la squadra gli somiglia e lo corrisponde perché, in mezzo ai difetti che ancora si ritrova a dover limare e combattere, ha acquisito una maturità e una consapevolezza che prima non aveva. Maturità e consapevolezza figlie del lavoro tecnico e psicologico di Oddo. Maturità e consapevolezza che ad Alessandria hanno spazzato via i brutti ricordi di un anno fa, hanno trasformato la voglia di vincere in benzina sulle gambe e hanno permesso ai biancoscudati di far fronte alla freschezza e spregiudicatezza della Juventus Under 23 mettendo in campo i propri pregi, le proprie “armi”, come le chiama lo stesso Oddo. Per poi colpire al momento giusto.
Il percorso negli spareggi promozione è appena cominciato e la strada è ancora lunga per arrivare in fondo. Ma erano queste le uniche premesse di cui c’era veramente bisogno per affrontarlo e società, direttore sportivo e nuovo allenatore sono stati bravissimi a mettere la squadra nella condizione di crearsele, trasformando 23 giorni di sosta forzata in un nuovo entusiasmante inizio.
STAVOLTA SAREMO PREMIATI
Alla fine l’impresa è stata solo sfiorata. Accarezzata. Sognata.
A ragionare solo con la testa c’era da aspettarsi che questo SudTirol, capace di chiudere il campionato a 90 punti, non avrebbe mollato e a Trieste si sarebbe imposto per andare a prendersi quella promozione diretta costruita nell’arco di un campionato dai toni stratosferici. Ma nell’ultima settimana della stagione regolare è stato comunque giusto per i biancoscudati credere fino in fondo nella possibilità di sovvertire un verdetto che era già scritto. E’ stato giusto perché alimentando la volontà di portare a termine la rimonta, la squadra ha dato continuità alla sua crescita, tecnica, tattica e mentale, e ha alzato il livello della sua autostima, approdando ai playoff nella migliore condizione psicofisica.
La sconfitta contro la Virtus Verona verrà velocemente archiviata. Non è il Padova visto all’opera all’Euganeo nell’ultima giornata di campionato, con un orecchio teso al risultato del Rocco tra Triestina e SudTirol, la squadra che Massimo Oddo ha plasmato nelle 10 giornate in cui l’ha presa per mano. Il vero Padova è tutt’altra cosa e l’ha dimostrato tenendo vivo il campionato fino all’ultimo.
Ora si tratta solo di ricaricare le batterie in vista degli spareggi per farsi trovare con lo stato d’animo e la preparazione adatti al mini torneo in cui si deciderà chi sarà la quarta promossa dopo le tre capoliste dei gironi. Per prepararsi al meglio i biancoscudati andranno in ritiro a Lens, nel quartier generale della squadra di Ligue1 di cui è presidente proprio il patron del Padova Joseph Oughourlian. I giocatori avranno così la possibilità, dopo i tre giorni di riposo concessi dalla società, di staccare per qualche giorno la spina e di cambiare aria e ambiente per tornare in campo con rinnovato spirito combattivo.
La partenza è fissata per giovedì 28 aprile. Il ritiro terminerà poi venerdì 6 maggio e il 17 maggio inizierà il secondo tempo del campionato. Quegli spareggi che l’anno scorso non hanno sorriso al Padova per un unico rigore sbagliato e che proprio per questo stavolta la squadra affronta con la ferma convinzione che l’epilogo sarà decisamente diverso.
CI CREDO PERCHE’…
Ci credo.
Ci credo perché ho visto al “Druso” di Bolzano un Muro Biancoscudato come non ne vedevo da anni, che ci ha regalato la piacevole sensazione di giocare in casa.
Ci credo perché davanti a quel Muro di tifosi che ci credevano e continuano a crederci ho sentito il mio cuore di vecchia tifosa del Padova battere all’unisono con il loro ed è stato bellissimo.
Ci credo perché domenica all’Euganeo contro la Virtus Verona vedrò un Euganeo talmente bello e traboccante di tifo ed entusiasmo da sembrare uno stadio vero (e sappiamo bene quanto di rado succede!).
Ci credo perché qui a Padova più le cose si fanno difficili, complicate e impossibili più noi le rendiamo possibili, praticabili e realizzabili.
Ci credo perché a fine gara la fotografa del Padova, tifosa vera, è venuta a cercarmi e mi ha abbracciato dicendo: “Marty, guarda che ce la facciamo!”.
Ci credo perché qualche tifoso del SudTirol a fine gara ha urlato al nostro allenatore: “Oddo, è finita”. E questo mi ha fatto pensare con ancora più forza che invece no, non è finita per niente!
Ci credo perché ho visto il sorriso di Nahuel Valentini e mi ha convinto.
Ci credo perché ho visto la rabbia di Dezi e uno che è arrivato a gennaio dalla serie A non può finire la stagione qui senza aver raggiunto almeno la serie B.
Ci credo perché Ceravolo si riprenderà con gli interessi il rigore sbagliato e quella palla deviata sulla traversa da Poluzzi a Bolzano.
Ci credo perché vedrò ancora Chiricò e Ronaldo discutere davanti alla palla quando è ora di tirare una punizione e so che chi andrà a calciarla stavolta farà gol (e l’altro sarà il primo ad andare ad abbracciarlo).
Ci credo perché nel giorno di Pasquetta, immersa nella natura insieme alla mia famiglia, ho incontrato un tifoso del Vicenza (di Rovolon), che mi ha detto che suo papà non si perde una trasmissione sportiva di Telenuovo. “Ce la farete e ve lo meritate”, mi ha detto e io, anche se indossava un berretto del Lane, ho sentito che era sincero.
Ci credo perché contro la Giana all’Euganeo sono venuti a conoscermi Delfino e Gianni, due fratelli di 90 e 82 anni. Non venivano allo stadio da anni. Se si sono decisi ora vuol dire che è il momento giusto!
Ci credo perché è impossibile non crederci. E mai come oggi l’adagio “va’ dove ti porta il cuore” fa parte della Padova che ama la sua squadra di calcio.
SETTIMANA DI PASSIONE… IN PIENO STILE BIANCOSCUDATO
Il Padova che vince di sofferenza contro la Giana Erminio sbagliando un calcio di rigore con Ceravolo ma riuscendo a segnare con Chiricò il secondo penalty concesso dal direttore di gara. Il SudTirol che va a fare il corsaro in casa del Fiorenzuola imponendosi con un ampio 4-0 e rialzandosi così dopo la sconfitta di Salò e il pari interno col Lecco e dopo aver visto i biancoscudati sollevare la Coppa Italia al Druso al termine della finalissima vinta col gol di Jelenic. Ecco gli ingredienti di questo pazzo finale di stagione nel girone A. Ecco i carichi calati da Padova e SudTirol per rendere lo scontro diretto di sabato 16 aprile a Bolzano la sfida delle sfide. Quella che se sarà vinta dagli uomini di Javorcic consegnerà loro le chiavi per aprire la porta della promozione in serie B, ma che se invece verrà portata a casa dai padovani terrà ancora aperto il destino della stagione regolare rimandando di un’altra settimana il verdetto per il salto diretto tra i cadetti con il Padova che dovrà vedersela con la Virtus Verona e gli altoatesini impegnati al Nereo Rocco in un non semplice scontro finale con la Triestina.
Sarà questa la settimana cruciale, di autentica passione biancoscudata. Il Padova dovrà essere bravo a gestire elevati livelli di sofferenza, così come ha fatto contro la Giana Erminio all’Euganeo, riuscendo a risollevarsi dopo aver sbagliato un rigore con Ceravolo. La rabbia di tutta la squadra dovrà essere quella che si è vista negli occhi di Chiricò quando si è presentato per la seconda volta a tu per tu col portiere Zanellati, dopo aver messo il pallone sul dischetto. Si è capito subito che quella palla sarebbe entrata, che mai e poi mai Mino quell’occasione se la sarebbe fatta sfuggire. Che in quella palla c’era tutta la voglia del Padova di restare in corsa, di non arrendersi proprio ora che il destino è tornato nelle sue mani.
Certo il SudTirol gioca in casa sabato e non vorrà certo perdere per la seconda volta di fila al cospetto del Padova dopo avergli visto alzare al cielo la Coppa Italia. E’ squadra tosta, dura, organizzata, rocciosa quella di mister Ivan. Ma da queste parti siamo allenati ai traguardi difficili, agli arrivi al fotofinish, a non mollare veramente mai. Anche quando tutto sembra perduto e le possibilità di successo sono più numerose per l’avversario.
Tanto più che al Druso sugli spalti la squadra di Oddo sarà sostenuta da tantissimi tifosi che hanno già bruciato gran parte dei biglietti a disposizione per non perdersi quest’ennesimo tentativo di riscrivere la storia. Sarà bellissimo poter regalare loro ancora una volta un sogno. Indipendentemente da come sarà poi il risveglio.
CON QUESTA CARICA ANCHE NEL RUSH FINALE DEL CAMPIONATO!
La Coppa Italia di serie C torna a Padova dopo 42 anni. E non è solo il trofeo in sé, conquistato per la prima volta nell’ormai lontano 1980, a riaccendere la passione biancoscudata nella città del Santo. E’ il percorso attraverso il quale la squadra l’ha riportato a casa che ha il sapore particolare del rilancio, della rivincita, della nuova vita per la squadra che ha saputo, passando ancora una volta per il tunnel della sofferenza, tornare a farsi apprezzare dalla sua piazza, dalla sua gente. A renderla orgogliosa. A Padova, si sa, ci si lascia prendere dalla depressione più profonda quando le cose non vanno bene e così è successo un mese e mezzo fa, quando questo gruppo che ora può alzare al cielo un trofeo meritato, strappato con sudore e sacrificio, si è ritrovato a meno 10 in classifica da quel SudTirol che nella finalissima di Coppa Italia ha battuto per la prima volta in casa sua dopo avergli rosicchiato ben 8 lunghezze in campionato. Combinazioni di un destino “pallonaro” che da queste parti ci mette sempre lo zampino quando è ora di alzare l’asticella delle emozioni e delle complicazioni. Non è mai facile arrivare al traguardo con le braccia alzate da queste parti ed è per quello che quando ci si riesce la gioia ti riempie il cuore fino all’orlo, perché sai quanto ci hai creduto, quanto sei rimasto scottato in passato ma quanto questa squadra sia in grado di tornare a stupirti.
La passione per il Biancoscudo non si spegne mai. A volte è nascosta come la brace da un fitto strato di cenere e di delusione, ma basta un colpo di vento, bastano un risultato positivo e una prestazione maiuscola, per risvegliare una fiammata ardente. Per rivedere una squadra che corre con una Coppa in mano sotto la curva gremita di tifosi alla ricerca di applausi, con sorrisi e lacrime, con gioia e consapevolezza. Per rivedere un pubblico col petto gonfio per la soddisfazione, finalmente di nuovo con la voglia di gridare al mondo: siamo tifosi del Padova e ne siamo felicissimi.
Ora questo entusiasmo riaffiorato deve essere incanalato in un’unica direzione: le ultime tre partite del campionato. C’è un altro obiettivo da raggiungere, ancora più importante: la promozione diretta in serie B. Che passerà nuovamente per uno scontro fratricida col SudTirol, ancora una volta allo stadio Druso. Alla penultima giornata. E’ il momento di continuare a correre, con i piedi piantati per terra da radici solide ma con ali pronte ad aprirsi per volare verso vette ancor più alte. Solo il 24 aprile sapremo cosa troveremo alla fine della corsa. Per ora è però meraviglioso provare queste intense sensazioni mentre corriamo.
LA SETTIMA MERAVIGLIA E IL DESTINO NELLE NOSTRE MAI
Ci siamo. Ci siamo arrivati. Ce l’abbiamo fatta. Ad invertire l’inerzia di quest’ultima parte del campionato. A prendere in mano il nostro destino senza più dover aspettare che siano gli altri a lasciare punti per strada. I marziani son tornati ad essere umani e gli umani stanno diventando “spaziali”, incredibile a dirsi, visto che fino a sette giornate fa la capolista aveva 10 punti di vantaggio, ma è andata proprio così.
Dopo quello che è successo l’anno scorso, con la B sfumata all’ultimo respiro sia in campionato che ai playoff, tanti qui continuano a predicare prudenza. Giusto, non abbiamo fatto ancora niente, ci sono ancora tre giornate da vivere e due lunghezze da recuperare, ma diciamoci la verità: quanto bello è poterle vivere così intensamente, col cuore in gola e la passione biancoscudata ai massimi storici. Quanto bello è tornare a respirare a pieni polmoni la sensazione che essere tifosi del Padova è un’emozione unica. Quanto bello è tornare a provare la consapevolezza di avere una squadra forte, un gruppo di ragazzi capaci di non arrendersi nemmeno quando tutto il resto del mondo già li dava per spacciati e condannati a disputare di nuovo i playoff. Potrebbe anche essere che alla fine gli spareggi ci tocchino nuovamente, ma stavolta ci si arriverà comunque più preparati, fisicamente e mentalmente, consci che si è fatto più del possibile per evitarli, con una rimonta pazzesca, con i giochi tenuti aperti fino all’ultimo.
In ogni caso arriviamo a questi ultimi tre appuntamenti del campionato con una carica pazzesca. Una carica che sarà l’arma migliore a disposizione per provare ad arrivare in fondo davanti al SudTirol che si ritrova invece nella stessa condizione in cui erano i biancoscudati l’anno scorso, quando hanno subito la rimonta del Perugia nelle ultimissime settimane. Una carica che è esplosa e si è vista tutta nell’esultanza come sempre traboccante di Mino Chiricò, the man of the match al Piola con il suo decimo sigillo in campionato, nella corsa festante dei giocatori verso i tifosi in curva, nelle braccia alzate di Massimo Oddo al fischio finale di Pro Vercelli-Padova, con quell’”andiamo” urlato a piena voce e quel pugno che sa di rivincita, anche personale. Sì, mister, ci sono le tue sette vittorie consecutive in questo percorso finora straordinario, sette meraviglie conquistate con fatica e sofferenza e mai in carrozza da questi ragazzi cui sei riuscito a trasmettere in poco tempo personalità, fiducia e sicurezza. L’impresa è a portata di mano, ancora 3 prove e potresti davvero vedere la Padova del pallone come adesso non te la puoi nemmeno immaginare.