CAMBIARE PER TORNARE QUELLI DI PRIMA

Promosso con le grandi, decisamente bocciato con la Pergolettese, rimandato con la Virtus Verona.
Dopo l’inizio scoppiettante e i risultati convincenti contro Vicenza, Pro Patria, Pordenone e FeralpiSalò, il Padova sta ora mostrando l’altra faccia della medaglia. Il lato oscuro della luna. Le prime difficoltà del campionato.
C’era da aspettarselo? Certo che sì e non solo perché, all’alba dell’ottava giornata, è normale che le avversarie imparino a conoscerti e siano in grado di prenderti le adeguate contromisure. Capita spesso infatti che le squadre votate all’attacco come lo è la truppa di Bruno Caneo, vadano in crisi quando trovano le barricate alzate, gli spazi chiusi e il raddoppio delle marcature. Così è stato contro la Virtus di Gigi Fresco che ha capito perfettamente come doveva fare per arginare la manovra biancoscudata e far girare a vuoto i giocatori.
Diversi sono i fattori che hanno contribuito ad arrivare a questa situazione e tutti ruotano attorno ad un unico concetto, ovvero che il gioco di Caneo è molto dispendioso, dunque chi è in campo deve essere al cento per cento. In questo momento non tutti lo sono: a causa di pesanti assenze, in primis De Marchi e Liguori, ma anche i lungodegenti Kirwan, Germano e Curcio, c’è poca possibilità di ruotare e chi è in campo sta tirando la carretta non poco. La rosa non è lunghissima e i tanti indisponibili non agevolano di certo l’allenatore che ha bisogno della massima resa e anche di determinate caratteristiche per portare avanti il suo gioco. Non a caso, nell’intervista rilasciata dopo lo 0-0 dell’Euganeo di domenica, il tecnico si è già proiettato alla sfida di mercoledì con la Triestina, preannunciando qualche cambiamento per mettere i giocatori che vuole inserire per dare la svolta nella condizione di rendere al meglio e secondo le loro qualità più importanti.
Qualche cambiamento ci sarà, dunque, nel modulo e negli interpreti, per far tornare questi ragazzi a esprimersi al meglio, “a dare sostanza” per usare proprio le parole precise di Caneo. Crema a parte, l’intensità e l’impegno non sono mai mancati. Bisogna recuperare lucidità e freddezza sotto porta al più presto, per tornare a portare a buon fine tutto il lavoro svolto dalla metà campo in su. Per concretizzare e monetizzare. Sperando che qualche infortunato possa presto lasciare l’infermeria e tornare a dare una mano a disegnare questo nuovo corso biancoscudato.

EQUILIBRIO

Non è bastato. Sottolineare tutti i giorni della scorsa settimana che la partita contro la Pergolettese non andava presa sottogamba, che non si doveva commettere l’errore di abbassare la guardia anche se di fronte non avevi né il Vicenza nè il Pordenone, non è stato sufficiente non solo ad evitare una sconfitta ma anche a renderla tra le più tristi della storia biancoscudata.
Di fronte allo 0-5 di Crema siamo tutti impietriti. Agghiacciati. Da tifosi non possiamo che giudicare irriconoscibile il Padova che si è fatto infilare 5 gol dicendo: “Prego, si accomodi” a Iori e Abiuso, fatichiamo a credere che sia successo veramente, che (più o meno) gli stessi ragazzi che contro le grandi del girone ci avevano fatto divertire così tanto correndo, verticalizzando, segnando, chiudendo con ordine e lucidità anche il più piccolo varco in difesa siano stati capaci di una prestazione così al di sotto, così leggera, così poco intensa, così tanto nervosa, così tremendamente priva di contenuti.
Da addetti ai lavori però siamo chiamati ad andare oltre la delusione e la rabbia per cercare di capire cosa sia successo, così come dovrà farlo Bruno Caneo, il condottiero del gruppo che nell’infausta trasferta lombarda ha mostrato un lato oscuro e un rovescio della medaglia su cui è necessario fare assolutamente luce, visto che fortunatamente siamo alla settima di campionato e c’è tutto il tempo per rialzarsi in piedi e reagire a questo doloroso ceffone.
Tutta la squadra è mancata. In blocco. Nella mentalità prima che nel gioco. Si è spenta la testa e di conseguenza si sono fermate le gambe. Inutile dunque appellarsi ai cambi di formazione. A Curcio al posto di Jelenic o a Ceravolo al posto di De Marchi. Anche perché le scelte diverse operate dall’allenatore nei due ruoli dovevano semmai sortire l’effetto opposto, quello di far capire a chi fino a questo momento ha giocato poco o non ha giocato mai che non ci sono decisioni definitive e irremovibili e che durante la settimana basta dimostrare allenatore di volere una maglia da titolare per avere buone possibilità di ottenerla.
Credo quindi che il problema sia stato assolutamente psicologico e che in primis si sia trattato di un “peccato di gioventù”: fino a questo momento a fare la differenza erano stati l’entusiasmo e la voglia di emergere dei giocatori, purtroppo però la giovane età porta con sè anche la poca esperienza e magari l’incapacità di reagire come si deve di fronte ad un avversario che ti mette sotto. Dopo il 2-0 della Pergolettese il Padova si è innervosito e da lì in poi ha sbagliato tutto, non riuscendo più a tirare fuori il suo lato più propositivo, più “sbarazzino”, più spregiudicato.
E’ su questo che Caneo dovrà lavorare. Sulla maturità, sulla capacità di soffrire, sull’abilità di sollevare e lanciare lontano un peso che ti cade addosso all’improvviso e che non ti aspettavi di sbucasse da dietro l’angolo.
Così come ha fatto dal giorno dopo la sconfitta col Cesena nell’amichevole che ha preceduto l’inizio della stagione. Anche all’epoca, a sette giorni dal debutto, è arrivata una batosta, con 4 gol al passivo, e ci siamo messi le mani nei capelli temendo che la squadra non fosse pronta, invece poi l’inizio del campionato, al netto della sconfitta di Vercelli che però non è minimamente paragonabile con quella di Crema, le cose sono andate molto bene. Il Padova dovrà riguardare più volte questa partita convincendosi di non essere quello visto a Crema e riguardare anche le gare in cui ha dettato legge contro gli squadroni del girone A. Con tanto equilibrio e tanta saggezza, Caneo dovrà prendere per mano i suoi ragazzi e ricondurli sul binario della consapevolezza portandoli un po’ alla volta a superare quelli che a Crema si sono manifestati come grandi limiti, ovviamente da capire e superare al più presto.

PADOVA STUPENDO, PADOVANI STUPITI

Il Padova, questo Padova, il Padova griffato Bruno Caneo, è stupendo. Davvero. Non mi viene altro termine per definire il gruppo creato per affrontare la stagione più difficile degli ultimi anni. Difficile non tanto e non solo per la caratura delle avversarie (che c’è ma è elemento costante in ogni stagione) ma per la necessità di lasciarsi alle spalle due delusioni cocenti, devastanti, come le due finali playoff consecutive perse (l’ultima, quella di Palermo, davvero in modo ignobile).
I giocatori chiamati a cancellare tutto questo per far ripartire il progetto biancoscudato sono andati ben oltre le aspettative e le speranze del più ottimista dei tifosi, restituendo ai padovani il sorriso, l’entusiasmo, la passione e l’attaccamento infrantisi nella notte del “Barbera”. Sono andati oltre perché, quando ad agosto è stato pubblicato il calendario della serie C e ci siamo resi conto che, nelle prime sei giornate, avremmo affrontato praticamente tutte le principali pretendenti alla promozione ci siamo messi tutti le mani nei capelli. Pensando subito che dovevamo prepararci psicologicamente alla possibilità di giungere alla fine di questo terribile filotto iniziale con pochi punti all’attivo. Ci siamo messi subito il cuore in pace, convincendoci che avremmo dovuto avere pazienza, che la squadra era quasi tutta nuova e ringiovanita e che bisognava dare il tempo all’allenatore, anche lui nuovo, di trasmettere ai ragazzi il suo credo calcistico e le sue particolari movenze tattiche.
Niente di tutto questo. La realtà ha superato la fantasia. La bellezza e la volontà del Padova sono state più forti dei dubbi, delle perplessità e della prudenza dei tifosi, così abituati a soffrire da stare sempre pronti a prepararsi al peggio per poi gioire dell’eventuale meglio.
Le prove Vicenza, Pordenone e FeralpiSalò sono state superate brillantemente, con due vittorie e un pari. Ora però il Padova deve fare un passo in più, un ulteriore upgrade: deve dimostrare di saper gestire anche le cosiddette “piccole” del girone, quelle che aspirano alla salvezza e che, per ottenerla, sono disposte a sacrificare il bel calcio sull’altare del risultato utile. Storicamente questo tipo di squadre sono state capaci di mettere i bastoni tra le ruote al Padova ben più delle corazzate. Ricordate la sconfitta alla prima di campionato contro l’Imolese nel 2020? E il pari col Fano alla seconda? E il pari contro Imolese e Fano nel girone di ritorno dello stesso campionato? E il pari contro il Legnago ultimo in classifica nell’interregno tra Pavanel e Oddo l’anno scorso? La sfida alla Pergolettese di domenica prossima sarà un banco di prova fondamentale in questo senso. Vietato concedersi anche solo un pizzico di (inconscia) leggerezza. Servirà come sempre il miglior Padova. Quello che corre, crea, verticalizza e diverte.

E’ CANEO MANIA

In Caneo we trust. Io sto con Caneo. Si moltiplicano gli hashtag e gli slogan, ma soprattutto cresce a dismisura la stima nei confronti dell’allenatore del Padova, Bruno Caneo. “Un uomo di 65 anni con l’entusiasmo di un ragazzino”, come ama definirsi lui. Un tecnico che ha restituito in pochi mesi alla piazza di Padova la voglia di tornare allo stadio e di ammirare le gesta della sua squadra del cuore, aggiungiamo noi.
Nessuno avrebbe scommesso un soldo bucato su un avvio di stagione così brillante e spettacolare, soprattutto dopo che, a sette giorni dall’avvio della stagione regolare, era arrivata quella bruttissima sconfitta in amichevole a Cesena. Non sono solo le 4 vittorie in 5 partite a regalare gioia pura. E’ l’atteggiamento, la voglia, l’approccio che questi ragazzi hanno nei confronti di qualunque avversario ad aver lasciato il segno, ad aver convinto i tifosi a crederci nuovamente. E il merito di tutto questo non può che andare al condottiero del gruppo, ad un allenatore che ha saputo creare un mix eccezionale tra senatori e giovani e, dagli stessi giovani, tirare fuori in parti uguali qualità (che ci sono e sono molto importanti) e voglia di emergere.
Sono soprattutto i ragazzi ad essersi messi in vetrina in queste prime gare di campionato, dopo un’estate in cui ci eravamo messi tutti le mani nei capelli e avevamo solo voglia di nasconderci, temendo l’ennesima annata difficile e sofferente della recente storia biancoscudata. Cretella non sbaglia una verticalizzazione che sia una, Liguori ha già segnato 3 gol, Vasic è esploso con due reti spettacolari, Ghirardello non ha ancora 17 anni eppure, quando viene chiamato in causa, esibisce la sicurezza di un veterano. A tenerli per mano però ci sono giocatori del calibro e della forza morale di Donnarumma, Valentini, Dezi, Radrezza, Jelenic e in un clima così è più che una speranza il pensiero che anche Ceravolo possa tornare molto presto a essere protagonista. Caneo ha saputo fin qui gestire anche lui, ributtandolo nella mischia al momento opportuno col Pordenone, quando c’era bisogno di tenere alta la squadra per evitare che la squadra di Di Carlo rimontasse. Un po’ di confusione nel finale c’è stata e su questo bisognerà lavorare ma nel complesso davvero questo Padova è il simbolo del connubio quasi perfetto tra equilibrio e fantasia, tra corsa e intelligenza tattica, tra tecnica e agonismo. Questo Padova somiglia proprio al suo allenatore, a quel Bruno Caneo che da giocatore era un centrocampista di interdizione dal grande temperamento e dalla spiccata aggressività. Qualità che ora sta trasmettendo a quelli che possiamo considerare a tutti gli effetti i suoi figli, figli di calcio.

SONO FORTISSIMI E CORRONO PURE!

Erano anni, di più decenni, che i tifosi del Padova non uscivano dallo stadio con lo sguardo così innamorato, compiaciuto, contento, divertito. Le emozioni nelle ultime stagioni non sono mancate, per carità, basti pensare all’ultima vittoria in ordine di tempo della passata stagione, quella in rimonta sul Catanzaro che ha consegnato ai biancoscudati le chiavi della finale playoff con gol di Chiricò al 97’, ma si è trattato di sprazzi, di momenti, di alti cui sono seguiti dei bassi, di acuti cui sono seguite cadute negli abissi. Impossibile trovare nel recente passato, per quanto ci si sforzi, una squadra in grado di coinvolgere così tanto e dal primo all’ultimo minuto il pubblico sugli spalti. Di farsi amare e apprezzare, al punto da meritarsi un applauso anche per un semplice retropassaggio al portiere. 
Ebbene il Padova di Bruno Caneo è proprio così: bello da vedere, operaio e umile ma allo stesso tempo forte e consapevole, vive sulle ali della voglia di emergere dei suoi tanti giovani talentuosi ma anche dell’esperienza dei senatori che garantiscono solidità e soprattutto serenità. Ecco sì, è la serenità che si percepisce come prima qualità di questo gruppo, unita alla sicurezza con cui ognuno fa il suo e anche di più: non si spiegherebbe altrimenti l’atteggiamento di Dezi che, dopo aver sbagliato non uno ma due rigori di fila, rientra in partita come niente fosse, convinto che al 90’ sarà vittoria. Non si spiegherebbe la personalità con cui Cretella, 20 anni appena compiuti, ogni volta che si ritrova un pallone tra i piedi, verticalizza senza pensarci due volte, non si spiegherebbe una squadra che, sul 3-0, continua a correre e ad attaccare portando 3, 4, 5 uomini nell’area avversaria. 
“Questo Padova vi piacerà, questo allenatore vi stupirà” aveva detto il direttore sportivo Massimiliano Mirabelli nel giorno della sua presentazione, cercando di fare breccia nello scetticismo di una piazza profondamente ferita due volte in due anni. Aveva ragione lui: la terza vittoria di fila dopo la falsa partenza a Vercelli dà ampio respiro alla classifica ma non è il risultato che in questo momento fa la differenza o perlomeno non solo. E’ il gioco, l’organizzazione, l’idea di calcio che Bruno Caneo è riuscito a trasmettere alla squadra ricreando l’empatia che mancava da tempo coi tifosi. Lo zoccolo duro non ha mai fatto mancare il suo apporto allo stadio, è tempo anche per i più critici di lasciarsi andare e di tornare a vivere appieno il calcio Padova. Se non ora, quando?

BRAVO PADOVA, BRAVISSIMO CANEO

Il Padova ha battuto il Vicenza. La squadra più giovane (e in questo momento anche particolarmente incerottata) ha superato la corazzata. E lo ha fatto mettendo in campo cuore e coraggio. Il cuore perché il derby è la partita più sentita e non si poteva sbagliare, il coraggio perché, attraverso l’atteggiamento guerriero, i biancoscudati sono riusciti ad andare oltre i problemi e le assenze che in settimana si sono moltiplicate più dei pani e i pesci di Gesù. A Kirwan e Germano si sono aggiunti Gasbarro e Zanchi.  Pure Radrezza, alle prese con un virus intestinale, non era al meglio, così come Calabrese che ha recuperato solo in extremis. Ma il Padova visto in campo è stato davvero un fascio di luce che ha squarciato il velo di scetticismo che si sentiva intorno. Un cioccolatino che finalmente ha fatto gustare ai tifosi il suo ripieno. Un gruppo che ha messo davanti a tutto e a tutti la necessità di portare a casa il risultato, non solo per la classifica ma anche per l’ambiente ancora mortificato dopo le due finali playoff consecutive perse. 
A fare la differenza la qualità e la personalità di Dezi, che ha realizzato dal dischetto finalmente il suo primo gol in biancoscudato, la scaltrezza di Liguori nel procurarsi il rigore, la freddezza di Russini che appena entrato ha confezionato il capolavoro della serata segnando il 2-1 con un tiro a giro alla Insigne. Ma anche la padovanità di Vasic e Piovanello, instancabili dal primo minuto, e la prontezza di riflessi di Donnarumma sul missile sparato da Ferrari alla fine del primo tempo. C’è stata gloria per tutti, anche per chi questo gruppo sta cercando di forgiarlo e accompagnarlo per mano, quel Bruno Caneo che, arrivato a fari spenti e senza troppi cerimoniali a metà giugno, ora inizia a farsi conoscere e a farsi anche voler bene. A fine gara era il più emozionato di tutti, faticava quasi a trovare le parole per raccontare l’impresa, la sua impresa. Si è reso conto forse dopo, a casa, durante una notte in cui senz’altro non sarà riuscito a dormire, di quanto aveva fatto e di quanto importante sia stato questo passo per iniziare a dare un nuovo senso al corso biancoscudato. Si tratta del primo passo, non si è fatto ancora nulla. La camminata per arrivare alla fine è lunga e tortuosa. Ma era fondamentale mettere un punto e andare a capo e il Padova lo ha fatto. Ora quel che verrà è tutto da scrivere, da vivere, finalmente con un ritrovato entusiasmo.  

LA SOFFERENZA, QUESTA CONOSCIUTA!

Sarà un campionato duro e complicato quello del Padova, appena cominciato con una sconfitta a Vercelli. Per certi aspetti immeritata ma pur sempre una sconfitta. Il tifoso sa già che la squadra cadrà e sarà chiamata a rialzarsi e che i giocatori dovranno saper soffrire più di quanto si soffre normalmente quando si fa questo mestiere. All’ombra delle cupole del Santo è così da sempre: la tribolazione è parte integrante del DNA biancoscudato e per quello, ogni volta che si riesce poi a conquistare un successo insperato o a rendersi protagonisti di una esaltante cavalcata verso la parte nobile della classifica l’entusiasmo che si respira è doppio e la gioia più intensa e autentica. Perché il pubblico padovano sa quanto da queste parti nessuno regali niente ed è consapevole che gli episodi, se possono essere a sfavore, lo saranno sempre, chissà perché poi, ma è così. Bisogna essere più forti degli avversari, più determinati della malasorte e mettere un’attenzione nei dettagli che va oltre i limiti dell’essere umano. Prendi il debutto a Vercelli: la squadra di casa non ha fatto molto più del Padova, anzi, a tratti, l’ha subìto, andando spesso in difficoltà. Ma il risultato finale dice che la Pro ha vinto e lo ha fatto approfittando con Comi dell’unico momento in cui Valentini e compagni non si sono sistemati a dovere nella fase difensiva, su palla inattiva. All’unico vero errore è scattata la punizione.
Prendendo atto che è così, però, il Padova non deve abbattersi, a maggior ragione in questa stagione in cui è partito senza i favori del pronostico. Deve navigare a vista, mettendo ogni maledetta domenica la mano fino in fondo al sacco della sua giornata per tirare fuori anche quello che non sa di avere. Sudore, prestazione, gol, possibilmente le vittorie. Solo alzando continuamente l’asticella e pretendendo da sé stessi più del massimo si potrà sopperire ad una rosa più giovane, meno esperta ma comunque dotata di qualità e giocatori che possono esplodere da un momento all’altro.

SVOLTA NECESSARIA, ORA RIACCENDIAMO L’ENTUSIASMO

Difficile, impossibile. Sono ancora questi gli aggettivi che accompagnano il verbo “dimenticare” (o quanto meno “digerire”) riferito al terribile epilogo della passata stagione. A quella finalissima piena di grandi aspettative persa malamente, senza lottare, senza mettere in campo tutto quello che aveva caratterizzato la bellissima rimonta in campionato e il culmine dei playoff con la vittoria sul Catanzaro firmata Curcio e Chiricò al 97′. Inutile negarlo: a quel disgraziato 12 giugno penseremo ancora a lungo. E anche quando crederemo di aver accantonato le immagini della sconfitta, della testata di Ronaldo, dell’espulsione di Pelagatti e del tabellino con 0 calci d’angolo battuti, grazie magari ai primi successi del nuovo corso biancoscudato, le stesse torneranno a galla qualche volta, ricoprendo il cuore di chi ama il Padova con un velo di malinconia e rimpianto. L’attacco di tristezza sarà sempre dietro l’angolo ma ancora una volta il tifoso padovano sarà chiamato ad uno sforzo emotivo (cui purtroppo è abituato) per guardare avanti e sperare che le cose possano cambiare in meglio. Che la serie B possa arrivare quanto prima, magari con un decimo della sofferenza che ha caratterizzato gli ultimi tre anni.
La società, dal canto suo, la rabbia per la pessima figura del “Barbera” l’ha già dovuta smaltire e anche in fretta, per programmare la prossima stagione senza perdere ulteriore tempo sulle dirette concorrenti, avvantaggiate dal fatto di non aver disputato i playoff. Il patron Joseph Oughourlian ha recuperato a tempo di record la lucidità che la prestazione di Palermo ha rischiato di fargli perdere del tutto e ha deciso di tagliare decisamente i ponti col passato.
Credo questa sia stata la scelta più giusta che potesse fare, senza guardare i contratti già in essere e quelli in scadenza eventualmente da rinnovare. E la conferma della bontà della decisione mi si è palesata ancor di più domenica 10 luglio quando in stazione ho assistito in prima persona alla partenza della squadra per il ritiro di Rivisondoli. Il nuovo allenatore Bruno Caneo non è tipo di tante parole, anzi. Ma le poche che ha pronunciato sono state dirette e senza fronzoli, soprattutto quando ha detto che l’inizio di una nuova avventura porta sempre entusiasmo. Ecco, questo è il nodo. Il Padova (e Padova) deve saper ritrovare un po’ di entusiasmo. E a portarlo devono essere sia i nuovi, visto che non hanno addosso il peso psicologico dei due fallimenti consecutivi degli ultimi due anni, sia quel che rimane della “vecchia guardia”. Quei giocatori che, nonostante Alessandria e Palermo, sono ancora in grado di servire la causa biancoscudata con la voglia di cambiare il destino infame di questa squadra. Antonio Donnarumma (che per la verità ha vissuto solo Palermo e da migliore in campo viste le importanti parate) è il primo che cito a esempio di questo nuovo percorso: ha voluto restare, nonostante le insistenti sirene della serie B, e ce l’ha fatta a rinnovare il contratto giusto in tempo per partire per il ritiro che l’anno scorso aveva saltato e che voleva fare a tutti i costi perché “è lì che un gruppo diventa una squadra e una squadra diventa una famiglia”. Il suo sorriso e la sua forza di volontà mi hanno assolutamente convinto che, nonostante i grandi cambiamenti e l’alleggerimento del budget investito dalla proprietà, si può e anzi si deve continuare a credere che la B arriverà. La difficoltà più grande la piazza e la squadra la stanno vivendo adesso che sono chiamate a rialzarsi dopo la brutta caduta. Una volta in piedi, tornerà a tutti la voglia di saltare, correre e sognare.

IL PADOVA CHE FA E DISFA. ORA RIFONDAZIONE

La testa bassa, l’incapacità di trovare consolazione. Soprattutto nei volti di quelli che c’erano anche l’anno scorso e hanno dunque vissuto a Palermo la seconda finale playoff consecutiva persa con rammarico e amarezza.
C’è però, ed è bene sottolinearlo subito, una profonda differenza tra la serie B sfumata ad Alessandria, a causa dell’ultimo rigore sbagliato, e quella non conquistata a Palermo, al termine di una prestazione non all’altezza da parte dei biancoscudati. L’anno scorso sono uscite lacrime di dispiacere e di impotenza, di fronte a un verdetto troppo severo, di fronte ad un avversario, l’Alessandria appunto, che non meritava la promozione più del Padova per quello che si era visto in campo, quest’anno invece c’è posto solo per la rabbia. Perché il Palermo ha avuto più fame e voglia di andarsela a prendere e la squadra di Oddo non è stata all’altezza della situazione.
Cosa sia successo e perché sia successo lo capiremo tra un po’, a bocce ferme, quando si potrà cominciare a ragionare senza farsi trascinare dall’onda emotiva del momento. Per ora non si può che rimanere basiti (e, come ho detto in diretta domenica sera, sentirsi traditi) di fronte all’ennesimo corso e ricorso storico del Padova, che ancora una volta ha prima fatto e poi disfatto, ha prima illuso e poi deluso, ha prima entusiasmato e poi demolito, riportando tantissimi tifosi allo stadio a suon di vittorie e rimonte e poi lasciando impietriti quegli stessi tifosi che per raggiungere Palermo si sono sobbarcati una trasferta impossibile e complicata. Roba da psicologo, davvero!
La verità è che il Padova non è affidabile. E il simbolo di questa non affidabilità è proprio il suo capitano, Ronaldo, bravissimo a fare la differenza con giocate, gol e assist in tantissime partite ma sempre a rischio cazzate per l’incapacità di gestire il suo nervosismo e le situazioni di difficoltà. Come quella che a inizio ripresa l’ha spinto a tirare una testata a gioco fermo a Perrotta e a lasciare così in dieci i suoi in un momento in cui ci si aspettava da uno con le sue qualità la giocata decisiva per far cambiare marcia alla partita. A fine partita ha chiesto scusa, ha detto che si prenderà le sue responsabilità ma la verità è che a questo punto è difficile tornare a fidarsi di lui. E arrivati a questo punto è dura anche continuare a riporre fiducia nel gruppo storico che l’anno scorso l’allora direttore sportivo Sean Sogliano ha voluto riconfermare in blocco per sfruttare l’onda del “vogliamo riprovarci tutti insieme perché ce lo meritiamo”. Ormai questi giocatori, indipendentemente dalle qualità tecnico-tattiche, sono psicologicamente a terra, schiacciati da un fardello che con la seconda sconfitta in finale si è fatto davvero opprimente. Meglio per loro e per il Padova se cambieranno aria.
Sono dell’idea che l’unica strada per ripartire sia quella della rifondazione. E che la stessa debba riguardare anche la panchina. Quando è arrivato Massimo Oddo ha fatto della personalità e dell’autorevolezza le armi in più per trascinare la squadra a tentare la rimonta sul Südtirol prima e ad affrontare i playoff con il giusto spirito e la giusta rabbia poi. Ma è evidente che, strada facendo, anche a lui la situazione è sfuggita di mano. Le due finali hanno messo in mostra un Padova nemmeno lontano parente di quello che in semifinale, con coraggio e convinzione, aveva rimontato l’iniziale vantaggio del Catanzaro coi gol di Curcio e di Chiricò al 97′.
La società dovrà essere brava non solo a dare continuità al progetto triennale dal punto di vista finanziario ma anche a capire come ricavare il messaggio migliore dalla sconfitta. In questo senso sono illuminanti le parole pronunciate dall’allenatore del Palermo, Silvio Baldini, che è riuscito a riportare i rosanero in B attendendo quest’occasione ben 18 anni. “Ormai è anni che passa il messaggio per cui se perdi sei un coglione, un fallito e uno che non capisce niente. E invece non è così: la sconfitta può permetterti di porre le basi per una rinascita, che passa dal lavoro e dall’applicazione. La sconfitta se la calpesti ti fa male, se la accarezzi ti sa dare suggerimenti importanti. Ti aiuta a cercare chi sei. E allora vengono fuori altri aspetti positivi che nella vittoria non trovi”.

IL BELLO DEL PADOVA, LA FORZA DEL PADOVA

Il bello del Padova è che, quando tutti lo danno per spacciato o quantomeno per non favorito, ti piazza la prestazione della vita e sovverte ogni pronostico.
La forza del Padova sta nel fatto che questa squadra non molla mai. Tante le rimonte che ha portato a termine in stagione regolare, ma quella che resterà nella memoria di tutti per i prossimi cinquant’anni sarà quella operata sul fortissimo Catanzaro nella semifinale di ritorno all’Euganeo. Firmata Curcio e Chiricò.
Il bello del Padova è che è forte. Individualmente. Ma anche collettivamente tutte le volte in cui decide che darsi una mano e sacrificarsi l’un per l’altro sono elementi fondamentali per portare a casa la vittoria.
La forza del Padova sta tutta in quel che hanno sofferto in questi due (ma in qualche caso anche tre) anni i giocatori della vecchia guardia. Ronaldo, Germano, Della Latta, Chiricò, Bifulco, Curcio, Gasbarro, Pelagatti, Jelenic. Dentro di loro cova una voglia di rivalsa che al momento giusto farà la differenza. Per loro la finale di Palermo è una sorta di ultima chiamata e so per certo che daranno l’anima per non piangere un’altra volta le lacrime di Alessandria. Non lo vogliono e non se lo meritano perché, aldilà delle sconfitte evitabili, delle prestazioni a volte non all’altezza, dei limiti caratteriali e di tutto il resto del bagaglio che fa parte di ogni essere umano, non solo del calciatore, hanno dato il massimo sempre per questa maglia.
Il bello del Padova è che ha fatto nuovamente innamorare di sé la città, la piazza, i tifosi, i bambini, le mamme, le nonne, i supporters storici che si erano un po’ distaccati. Questo è un patrimonio che resterà comunque vada a finire a Palermo, un patrimonio da cui ripartire con forza ed entusiasmo.
La forza del Padova sta nel risultato che porterà a casa dal Barbera. Qualunque esso sia, ci consegnerà un gruppo di cui potremo dire di essere orgogliosi.